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Un bimbo è nato in Israele

Maria santissima madre di Dio

Nm 6,22-27; Sal 67 (66); Gal 4,4-7; Lc 2,16-21

Se rileggiamo Luca a partire dal versetto 15 possiamo avere un quadro esauriente della scena dei pastori alla grotta: «Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento (rēma) che il Signore ci ha fatto conoscere”». Da questa reciproca esortazione parte il cammino che essi intraprendono affrettandosi (speusantes, v. 16) e, di seguito, il resoconto della costatazione di quanto è stato loro annunziato.

La scena è piuttosto concitata: l’impressione è che tutti parlino tutti insieme, come accade nelle vicende in cui siano coinvolti spettatori anche casuali.

Poi subentra un momento di improvvisa e imprevista quiete: Maria è concentrata ad ascoltare, custodire e far combaciare i pezzi di quello che ha appena vissuto, di quel che ora sente e vede e di quel che la memoria le richiama. Il testo parla espressamente di rēmata, ovvero «avvenimenti» e «cose dette», termine che Luca aveva già usato al v. 15 a proposito dei pastori e che corrisponde un po’ al dabar/dübarim ebraico col doppio significato di «parola» e «fatto».

I pastori stessi, del resto, quando ripartono lodano Dio «per tutto quello che avevano udito e visto» (epi pasin ois ēkousan ai eidon, v. 20), endiadi che corrisponde al rēmata del v 19. «Fatti e parole», «vedere e udire» danno il senso pieno della rivelazione: le parole rendono ragione dei fatti, i fatti avvalorano le parole ed è necessario confrontarsi con entrambe queste realtà. I due sostantivi e i verbi corrispondenti diventano tecnici e ricorrono anche altre volte nel Nuovo Testamento (cf. Lc 7,22 e Mt 11,4; Gv 3,32; 1Gv 1,1.3).

Nello stesso tempo i pastori ci mettono davanti a un intero processo di evangelizzazione: ascoltano l’annuncio dell’angelo, obbedendo vanno a vedere, trovano il segno annunciato, constatano i fatti e riferiscono quello che hanno sentito, infine tornano indietro in un clima di lode e azione di grazie che equivale a un annuncio. Il passaggio da evangelizzati a evangelizzatori passa per quella che Paolo chiamerebbe «obbedienza della fede» (Rm 1,5), ovvero un ascolto che mette in movimento l’intera esistenza.

Il breve testo di Luca si conclude con una notazione importante, purtroppo spesso sottovalutata. Giuseppe e Maria sono ebrei osservanti, perciò all’ottavo giorno (il bambino è evidentemente in buona salute) fanno circoncidere e impongono il nome al neonato – cosa che deve essere avvenuta in una modesta sinagoga di villaggio. Con la circoncisione egli entra a pieno titolo nella qahal, «l’assemblea», e nell’alleanza d’Israele (cf. Gen 17,10-11; Lv 12,3).

Possiamo leggere questo dettaglio in vari modi: come conferma dell’incarnazione, per esempio; come relazione con un sistema di simboli che sottolineeranno tutta la vita di Gesù; e in particolare con un’appartenenza indiscutibile a una tradizione: «Gesù è ebreo e lo è per sempre», come si legge nel Sussidio per una corretta interpretazione dell'ebraismo (1985) – affermazione anticipata dai vescovi tedeschi nel 1980: «Chi incontra Gesù Cristo incontra l’ebraismo». Il non aver ricordato l’ebraicità di Gesù ha condotto a conseguenze nefaste, come sappiamo, che ne contraddicono persino il nome.

Luca in realtà cita diversi nomi per il bambino: Gesù (1,31), Figlio dell’Altissimo (1,32), Santo, Figlio di Dio (1,35). Su Gesù concorda anche Matteo (1,21) che ne dà una sorta di traduzione. Verrebbe allora da pensare che gli altri Nomi citati da Luca non siano semplici titoli, ma a loro volta interpretazione di Ješuʻa in una sorta di climax.

Ješuʻa sappiamo essere una semplificazione aramaica dell’ebraico Jehošuʻa, nome molto diffuso all’epoca, che rimanda al successore di Mosè, ma, nell’etimo, al tema della salvezza. Ora la salvezza vera, non occasionale o temporanea, nella sua dimensione storica ed eterna può venire solo dall’Altissimo, dal Santo, da Dio.

Luca compie un’operazione audace e prudente a un tempo: inserisce del tutto il bambino nella storia di Israele, grazie alla circoncisione e al nome, e ne mostra contemporaneamente la dimensione sovrastorica.

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