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Quando non vi accoglieranno

XIV domenica del tempo ordinario

Is 66,10-14; Sal 66 (65); Gal 6,14-18; Lc 10,1-12.17-20

 

Sia il nono sia il decimo capitolo di Luca iniziano parlando di Gesù che chiama e invia davanti a sé i propri seguaci: nel primo caso manda i dodici apostoli (Lc 9,1-6), nel secondo i 72 discepoli (Lc 10,1). Quest’ultimo invio, peculiare al terzo Vangelo, è stato da sempre interpretato come un’allusione al numero dei popoli (70 secondo l’ebraico, 72 secondo la traduzione greca dei LXX) contenuto nella tavola delle nazioni presente nel decimo capitolo della Genesi. Luca, in questo passo, prepara già indirettamente la seconda parte della sua opera, gli Atti degli apostoli, in cui l’orizzonte si sarebbe allargato verso le genti.

Il giorno dell’Ascensione Gesù disse agli apostoli che loro sarebbero stati suoi testimoni: «In tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). Anche tra l’invio dei 12 apostoli e quello dei 72 discepoli è inserito un riferimento ai Samaritani; pure allora Gesù inviò messaggeri davanti a sé, o meglio, tradotto alla lettera, «davanti al suo volto» (Lc 9,52); la stessa espressione impiegata per i 72 (Lc 10,1), e si tratta di un volto già orientato verso la passione (Lc 9,51).

Forse per questa ragione in tutti e tre gli invii si avanza l’eventualità del non accoglimento. È storia antica che chi chiede di entrare in una casa, in una città, in un territorio altrui sia respinto. In queste circostanze che cosa si deve fare? «Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dei vostri piedi come testimonianza contro di loro» (Lc 9,5); «ma essi [i Samaritani] non vollero riceverlo [Gesù], poiché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”» (Lc 9,53-54). Sappiamo dal Vangelo della settimana scorsa quale fu la risposta di Gesù (Lc 9,55); «Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi, sappiate però che il regno di Dio è vicino» (Lc 10,10-11 [non letto questa domenica se si opta per la forma breve del Vangelo]). In questi passi vi è, per così dire, un’oscillazione tra l’essere non ammessi e l’essere espulsi, sono entrambe forme per rifiutare chi viene dal di fuori percorrendo vie terrestri (si parla di polvere, non di gocce).

I discepoli respinti annunciano la prossimità del Regno. Non vanno perciò paragonati a un ospite qualsiasi. Per questo motivo il Vangelo prospetta una discriminazione diversa da quella legata al semplice rifiuto dell’ospitalità. Si tratta non tanto di respingere persone, quanto di rifiutare il buon annuncio del Regno. I Samaritani non accolgono Gesù in ragione del fatto che quel Galileo stava salendo alla città di Davide dove sorgeva il tempio da loro rifiutato (cf. Gv 4,20). In questo caso è espresso un motivo specifico del non accoglimento.

Non così a proposito dell’annuncio degli apostoli e dei discepoli: lì non si elencano cause. Implicitamente è dato affermare che l’atto di rifiutare attesta che si è soddisfatti per quello che si è; vale a dire, quando si respingono dei discepoli si stanno chiudendo le porte alla conversione e al Vangelo. Si rifiuta l’annuncio in nome della difesa della propria, soddisfatta identità.

Il nostro pensiero va di solito a chi non accoglie, ma come deve comportarsi chi è respinto? Non deve invocare subito il fuoco dal cielo, ma non deve neppure cedere a una rassegnata indulgenza. All’epoca della prima predicazione del Vangelo si credeva fermamente al giudizio di Dio. Ritenere di poter giudicare in prima persona comporta collocarsi al posto di Dio, tuttavia non appellarsi al giudizio divino significa accettare l’inaccettabile. Entrambe le posizioni sono improprie. Solo Dio è capace di giudicare, ma occorre avere molta fede per crederlo. «Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. (...) Al contrario “se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete dagli da bere; facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo” (Pr 25,21-22). Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12, 19-21).

Vincere il male con il bene significa non già illudersi di avere nelle proprie mani la capacità di trasformare il primo termine nel secondo, bensì operare in modo tale da uscire dalla logica della vendetta al fine di lasciare il giudizio a Dio.

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