«Mentre essi andavano»
XXVIII domenica del tempo ordinario
2Re 5,14-17; Sal 98 (97); 2Tm 2,8-13; Lc 17,11-19
Gesù e i discepoli camminavano verso Gerusalemme. Era un itinerario iniziato da tempo. Gesù era consapevole di cosa l’attendesse nella città di Davide: il mettersi risolutamente in marcia in quella direzione rappresentava la messa in pratica dei primi due annunci della Passione (cf. Lc 9,22.43-45.51). L’immediato riscontro pratico di quella decisione fu la mancata accoglienza da parte di un villaggio samaritano (cf. Lc 9,53). Un gruppo di galilei che andavano in Giudea appariva, a occhi samaritani, come un gruppo stranieri tendenzialmente ostili. Giacomo e Giovanni auspicarono che sul villaggio cadesse la punizione celeste, Gesù li rimproverò aspramente per il loro desiderio di vendetta (Lc 9,54-55).
All’inizio della sua missione nella sinagoga di Nazaret, Gesù proclamò l’adempimento del passo di Isaia incentrato sul buon annuncio ai poveri, sul risanamento dei malati e sulla liberazione degli oppressi (cf. Lc 4,16-19; Is 61,1-2). Subito dopo, di fronte allo sconcerto dei suoi concittadini, Gesù evocò il detto secondo il quale nessuno è profeta in patria e citò, accanto a quello della vedova di Sarepta, il caso di Naamàn il Siro, l’unico lebbroso a essere purificato dal profeta Eliseo (cf. Lc 4,23-27; cf. 1Re 17,7-24; 2Re 5). In Israele c’erano molti altri affetti dalla lebbra, ma solo quello straniero fu risanato.
Gesù è in Galilea e ha appena chiamato i primi quattro discepoli (cf. Lc 5,1-10), gli viene incontro un lebbroso e gli chiede di essere purificato. Gesù lo tocca e lo risana, in tal modo l’impurità scompare simultaneamente nel guarito e nel guaritore (toccare un lebbroso era fonte d’impurità); poi ordina all’uomo di andare dal sacerdote e di compiere un’offerta per la sua purificazione «come Mosè ha prescritto, a testimonianza per loro» (Lc 5,12-14). Quest’ultima espressione si riferisce alla prescrizione del Levitico, stando alla quale spetta ai sacerdoti constatare l’avvenuta guarigione di un lebbroso (cf. Lv 14,2-3), e tuttavia resta difficile sfuggire alla suggestione che il fatto di essere stato inviato alle autorità sia anche una testimonianza volta a indicare che ora in Israele vi è chi tocca un lebbroso per risanarlo e non già per contrarre impurità.
La purificazione dei dieci lebbrosi contenuta nel Vangelo di questa domenica non avviene a tu per tu. Forse per questo motivo Gesù non li tocca, ma invia ai sacerdoti coloro che sono ancora affetti da impurità. All’interno di una scena che inizia evocando un cammino, la guarigione avviene, non occasionalmente, lungo la via (Lc 17,14). Tutto lascia ritenere che l’ordine di presentarsi ai sacerdoti sia stato accolto dai lebbrosi come un segno di speranza. Le prescrizioni della Torah costringevano i lebbrosi a una vita isolata fuori dalle città e dai villaggi (cf. Lv 14,45-46). I sacerdoti, constatando l’avvenuta guarigione, sancivano il loro reinserimento sociale. Finché erano impuri, i lebbrosi erano stranieri al loro stesso popolo. La loro era un’emarginazione motivata a un tempo dalla malattia e dalla Legge.
I dieci lebbrosi sono purificati improvvisamente lungo il cammino. A tornare indietro è soltanto il samaritano. Tra ebrei e samaritani si ergeva un reciproco muro di estraneità. I dieci lebbrosi erano accomunati tra loro dalla malattia, ma divisi dalla legalità. Anche i samaritani avevano (anzi, hanno) la Torah scritta (Pentateuco), pure per loro valevano le regole del Levitico; i loro sacerdoti e quelli giudaici erano però reciprocamente ostili. Nulla lascia prevedere che il lebbroso samaritano, per quanto risanato, sarebbe stato accolto benevolmente dai sacerdoti giudaici. In ogni caso egli non avrebbe potuto consegnare loro l’offerta prescritta dalla Legge di Mosè (cf. Lv 14,1-32; cf. Lc 5,14). Per lui la purificazione non comportava un pieno reinserimento cultuale e sociale; egli sarebbe rimasto in ogni caso uno straniero. Con le differenze del caso, pure oggi per molti essere soccorsi non significa di per sé essere integrati.
Il samaritano anche se guarito non esce dall’emarginazione; per questo, lodando Dio, ritorna verso colui in cui ha riposto la propria fede (cf. Lc 17,19). Torna da Gesù che, dopo aver sperimentato il rifiuto, si trova ora in cammino verso Gerusalemme per compiervi il proprio esodo (cf. Lc 9,31) e non già per consegnare un’offerta nelle mani dei sacerdoti.