L’alto e il basso
Ascensione del Signore
At 1,1-11; Sal 47 (46); Ef 4,1-3; Mc 16,15-20
La chiusa canonica del Vangelo di Marco, nelle sue ultime righe, collega tra loro l’«alto» e il «basso»: «Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme a loro e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano» (Mc 16,29).
Il Signore Gesù è in cielo e agisce in terra. Ora egli siede alla destra di quel Dio che da sempre disse di se stesso: «In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare lo spirito degli oppressi» (Is 57,15). Per il Risorto l’ascensione non costituisce un «disimpegno» dalle vicende terrene.
Nella fede nata dall’Evangelo, tra cielo e terra non si dà separazione assoluta. Ciò è sempre vero; tuttavia il rapporto tra l’«alto» e il «basso» è vissuto in modo diverso se, rispetto al Signore Gesù seduto alla destra del Padre, si privilegia lo sguardo rivolto dall’alto verso il basso o, al contrario, si esalta l’aspirazione verso l’alto di chi si trova ancora in basso.
La seconda direzione è ben riassunta da un passo della Lettera ai Colossesi: «Se dunque siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù non quelle della terra» (Col 3,1). Portato agli estremi, questo orientamento è aperto al rischio di sfociare in una spiritualità «disincarnata». Esso trova riscontro in una visione che tende a separare la natura del Risorto dalla sua umanità. Scrisse Leone Magno: «L’umiltà della nostra natura fu in Cristo innalzata (...) oltre i sublimi seggi di qualsivoglia potestà (cf. Ef 1,21), fino a sedere in un unico trono con l’eterno Padre»; subito dopo, il grande papa ammonisce che, proprio a partire da quell’evento di esaltazione, «la fede con più consapevolezza, mediante i passi della mente, cominciò ad accostarsi al Figlio, riconoscendolo uguale al Padre, e a fare a meno di esperimentare in Cristo la sostanza corporea, che è minore del Padre» (Sermo 74,4: PL 54, 398-399). Anche senza discutere la portata teologica dell’affermazione, essa invita senza dubbio a volgere il cuore dei fedeli verso l’alto.
L’altra direzione è espressa dalle parole (già citate) che chiudono il Vangelo di Marco: «Il Signore agiva insieme a loro e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano» (Mc 16,29). Chi è in alto sostiene l’annuncio compiuto da chi è rimasto in basso. È quanto afferma anche Matteo a conclusione del suo Vangelo: «Ed ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,19). Ora egli continua a essere con noi affinché noi si possa essere compiutamente con lui.
I modi scelti dal Nuovo Testamento per esprimere la dimensione escatologica impiegano soprattutto il linguaggio della discesa, e non già della salita. Chi è asceso deve di nuovo venire sulla terra. Proprio su questa chiave si chiude il racconto dell’ascensione contenuto nella prima lettura: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (Ap 1,11).
Sullo stesso registro termina l’intera Scrittura. Il sigillo che chiuderà la storia umana è costituito dalla venuta in terra di quanto era custodito nei cieli «e vidi (...) la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,1-2). La parola nuova e ultima spetta alla discesa, non all’ascesa.