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La missione del Figlio amato

Battesimo del Signore

Is 42,1-4.6-7; Sal 29 (28); At 10,34-38; Mt 3,13-17

Il racconto del battesimo, nel quale Gesù riceve lo Spirito e l’investitura ufficiale della sua missione messianica, è costruito evocando altri personaggi chiave della storia della salvezza.

Il primo è certamente il Servo di Is 42, modellato a sua volta sulla figura dell’araldo reale di Babilonia. Questi, in caso di condanna a morte, percorreva la città gridando e alzando la voce, alla ricerca di testimoni che permettessero, se del caso, di evitare l’esecuzione. Teneva in mano una canna e una lampada. Se nessuno si presentava a discolpa del condannato, rompeva in un’azione simbolica la canna e spegneva la lampada, decretando così la definitività della pena. Una giustizia, quindi, che contemplava una condanna senza ritorno.

La giustizia del Servo invece adotta un comportamento opposto, fatto di senso del diritto, di verità, di ferma mitezza e, soprattutto, della consapevolezza che non si può impiantare la giustizia colpendo i deboli. La sua è una chiamata a una giustizia liberante che va al di là di Israele, ovvero una chiamata alla Torah in cui si manifesta la volontà del Signore.

Non solo di questa giustizia si parla nel dialogo tra Gesù e Giovanni.

In nome di una superiore giustizia, essi esercitano una reciproca sottomissione: Giovanni accettando di battezzare Gesù, Gesù accettando un battesimo di conversione pur nella consapevolezza di non avere peccato, per pura condivisione della condizione umana.

Se pensassimo in termini di rapporti di forza, Giovanni sa di essere il più debole rispetto a Gesù, eppure ne accetta la sottomissione «per ora» (v. 15), perché la giustizia da compiere è quella della volontà di Dio per quanto riguarda il Figlio, così come è quella della Torah che Giovanni predica al popolo.

Anche per Gesù però si tratta di un compimento di quanto scritto nella Legge e nei Profeti, ovvero nelle Scritture – cosa questa che evocherà più volte lungo la sua vicenda terrena –.

Il secondo personaggio, mai esplicitamente citato ma sempre presente nel Nuovo Testamento in riferimento a Gesù, è Isacco. In particolare la sua ʿaqeda, «legatura», di cui si parla in Gen 22.

Notiamo anzitutto che il «servo» diventa nel nostro contesto «figlio», e ugualmente che «eletto» diventa «amato». Questo slittamento lessicale non è senza importanza. Ma ciò più conta è il termine agapetos, che noi traduciamo, appunto, «amato».

Nel Primo Testamento infatti ha quasi un valore tecnico quando traduce il termine jaḥid, che designa un figlio unico morto prematuramente, sul quale si fa un compianto. Questo aggettivo, che di per sé significa «unico» (in greco monoghenes), è usato in particolare riferito a Isacco (cf. Gen 22,2.12.16) e indica, al di là del senso letterale, una persona dal cuore unificato (cf. Sal 86,11) perché in lei pensieri, decisioni e sentimenti sono indirizzati a un unico scopo. Nel nostro caso è un figlio disposto all’obbedienza, come Isacco o come Gesù.

Il Servo del primo canto di Isaia e la legatura di Isacco sono dunque entrambi presenti nel racconto del battesimo, così come nel racconto della trasfigurazione secondo i Sinottici, come ancora in Gv 19,37, che cita Zc 12,10.

Entrambi gli episodi – battesimo e trasfigurazione – rimandano al mistero della Passione e della Pasqua non solo per questo incrociarsi di tradizioni veterotestamentarie mediate dal giudaismo contemporaneo, ma per la piena sottomissione di Gesù alla condizione umana raccontata dal primo racconto e per la vicinanza temporale e le allusioni escatologiche presenti nel secondo.

La proclamazione del «Figlio amato» è dunque la rivelazione del progetto divino che si dispiegherà via via lungo le pagine dell’Evangelo e di cui Gesù viene investito, a compimento delle Scritture. È soprattutto il compimento della manifestazione del Signore che la tradizione associa all’adorazione dei magi e alle nozze di Cana.

Dopo anni vissuti nell’anonimato, nella pienezza (pleroma) del tempo e per «colmare» la giustizia (plerosai, v. 15), Gesù viene riconosciuto da Giovanni e, in lui, da una parte di Israele che attende il Messia promesso.

 

 

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