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La meta ultima e come raggiungerla

II domenica di Quaresima

Gen 12,1-4; Sal 33 (32); 2Tm 1,8-10; Mt 17,1-9

Come il racconto delle tre prove, anche il racconto della trasfigurazione compare in tutti e tre i Sinottici ed è ricordato in 1Pt 1,16-18. Come sempre i tre racconti si differenziano in dettagli peculiari a ciascuno. 

Dal canto suo Matteo ne fa un racconto midrashico dell’Esodo, specie Es 24,1ss, a partire dalla precisazione temporale. Ma, come nell’Esodo, compaiono anche il particolare del volto luminoso e della nube ugualmente luminosa. Il racconto è poi segnato da tre piccoli colpi di scena marcati da «ecco» (idou, vv. 3, 5a-b) che introducono rispettivamente Mosè ed Elia, la nube e la voce.

Esistono di questo episodio due letture che vengono generalmente proposte e che hanno entrambe diritto di cittadinanza: una fa riferimento all’Esodo come si è detto, l’altra la colloca nel contesto liturgico della festa di Sukkot, specialmente se si accetta la traduzione «capanne» (v. 4). Il testo in realtà usa un termine (skenas), che vuol dire anche «tende» e che meglio rende l’idea di «una casa da viaggio». 

È possibile però una terza ipotesi, non in alternativa, ma a integrazione delle due precedenti: si tratta di una lettura che privilegia i dettagli escatologici del racconto di Matteo. Alcuni sono trasparenti, come la luce e il biancore delle vesti, altri devono essere cercati nella tradizione, specialmente la presenza di Mosè e di Elia.

Che essi rappresentino la Torah e i Profeti, ovvero una sorta di embrionale canone biblico, è cosa affermata da una lunga tradizione, per quanto anche per Mosè sarebbe possibile un’interpretazione profetica (cf. Dt 18,15). Tale lettura non è però sufficiente. Elia ha un ruolo escatologico fin da Ml 3,23-24, ruolo che si è ampiamente affermato nella tradizione ebraica e di cui troviamo tracce anche nel Nuovo Testamento. 

E anche la presenza di Mosè può essere letta in questa chiave, se riprendiamo la quarta notte del Targum Neophyti a Es 12,42: «La quarta notte il mondo arriverà alla sua fine per essere dissolto; i gioghi di ferro saranno spezzati e le generazioni perverse saranno annientate. Mosè salirà dal mezzo del deserto e il re Messia verrà dall’alto [o, con diversa vocalizzazione, “da Roma”, cf. Sanh 98a]. Uno camminerà alla testa del gregge e l’altro camminerà alla testa del gregge e la sua Parola camminerà fra i due. Io e loro cammineremo insieme. È la notte di Pasqua per la liberazione di tutte le generazioni d’Israele». La presenza di Mosè conferma dunque che il tempo ultimo è venuto, e che sul monte Gesù si trasfigura, mostrando ai tre apostoli la gloria ventura che li aspetta.

Alla fine del c. 16 Gesù aveva detto quale sarebbe il destino dei discepoli, compendiandolo in una specie di proverbio (Mt 16,28). Adesso il racconto procede indicando la meta ultima e la necessaria condizione per raggiungerla con un imperativo che scende direttamente dal cielo: «Ascoltatelo» (17,8). 

Abbiamo già incontrato il «figlio amato» (v. 8) nel racconto del battesimo. Là ci veniva detto che cosa egli rappresenti per il Padre, qui ci viene detto che cosa debba essere per noi: una voce a cui obbedire.

Alla luce di tutti questi elementi si può capire perché e come il mistero della trasfigurazione sia paradigmatico per la vita monastica. La tradizione orientale ha orientato la sua ecclesiologia guardando a questo mistero e i monaci, in modo speciale, lo considerano specchio della loro vita. 

Il racconto esige infatti un’atmosfera notturna, nella quale irrompe a tratti la luce del volto di Gesù e della nube, insieme al biancore degli abiti. Il monaco, come tutti i credenti, vive immerso in una storia per lo più oscura, nella quale cerca di intravvedere quella luce di speranza che illumini un presente spesso doloroso e non facile da interpretare, e in cui il mistero dell’iniquità sembra quasi sempre avere il sopravvento. Questa luce proviene dal tempo ultimo e illumina tutto il percorso della storia.

Ci sono dei momenti di pausa – come quello che Pietro, equivocando, vorrebbe rendere permanente –, che anticipano e prefigurano il tempo ultimo, ma sono solo momenti, perché è necessario smontare solleciti la tenda e riprendere il cammino. I monaci sono nella Chiesa la memoria di tutto questo, per sé stessi e per tutti.

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