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Il tempo ultimo

Domenica delle Palme

Is 50,4-7; Sal 22 (21); Fil 2,6-11; Mt 26,14-27,66

La lettura della Passione secondo Matteo richiede da una parte un riferimento trasversale anche alle altre narrazioni della Passione, e dall’altra di cogliere almeno un elemento tipico del racconto di Matteo.

Per quanto riguarda gli elementi più o meno comuni, potremmo dire che con questo evento Gesù realizza in pieno quanto proclamato dallo Shema’ Israel – cosa a cui avevamo accennato a proposito del Vangelo della tentazione. La fede nel Dio unico con «tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima/forza vitale e con tutti le tue forze/beni» trova infatti nella morte in croce la sua piena attuazione.

Gesù muore per aderire alla volontà del Padre liberamente e in piena consapevolezza, consegnandosi spontaneamente. E questo è «tutto il tuo cuore», ossia la riconsegna al Padre della propria volontà con libera decisione. La morte fisica è la riconsegna del proprio corpo e della forza vitale, ovvero dell’anima.

La riconsegna delle forze equivale allo spogliamento di tutti i suoi beni (i soldati si dividono i vestiti, come da consuetudine), ma soprattutto del proprio buon nome e della dignità personale, come mostrano i diversi scherni e oltraggi, e non ultima la mancata comprensione da parte di discepoli, folla, soldati e autorità di quanto sta accadendo. Talché Gesù resta nel più completo abbandono evidenziato dal grido di Mt 27,46, ovvero del Sal 22,2. Neppure questo grido del resto viene capito, perché il salmo non è citato in ebraico ma in aramaico di Galilea – praticamente un dialetto, quanto a pronuncia – e chi sta sotto la croce non capisce.

In comune c’è ovviamente anche il paesaggio: tutto accade a Gerusalemme e nei suoi immediati dintorni, benché non sia facile ricostruire né i diversi spostamenti, né la data e il momento preciso dei singoli episodi. Sebbene qualcuno faccia risalire a Sukkot, quindi all’autunno, l’ingresso di Gesù nella Città santa, per via dei rami agitati e della citazione del Sal 118,25, si può ricordare che lo stesso salmo si recita anche a Pesah e che il fatto di agitare rami in segno di festa o di stendere i mantelli per strada può non essere rituale, quindi l’ingresso può benissimo essere avvenuto in primavera, là dove lo colloca il nostro calendario.

Gerusalemme invece è nominata nel corpus neotestamentario come Ierosolyma e Ierousalem. La prima denominazione, la più frequente, riguarda la Gerusalemme terrestre e compare solo in contesti negativi, in cui Gesù si trova o è messo in difficoltà: è la città della sua morte. La seconda invece identifica la città celeste e compare in Gal 4,25, Eb 12,22, Ap 21,2. Anche questa attenzione ai termini ci colloca mentalmente in un contesto agonico, di lotta e di perdita.

Infine tipico di Matteo è un verbo molto raro, seio, che significa scuotere, agitare, far tremare. Compare in tutto cinque volte nel NT, tre delle quali in Matteo. Si va dall’agitazione della folla quando Gesù entra in città (21,10); al terremoto al momento della sua morte (27,51); al tremore spaventato dei soldati quando risorge (28,4). Potremmo quasi dire che tutto il concitato racconto di Matteo è percorso da un brivido sotterraneo che coinvolge uomini e ambiente.

Ora una tradizione attestata in Pesikta Rabbat afferma che i patriarchi risusciteranno nel mese di Nisan all’apparizione del Messia sofferente o Messia di Ephraim, tradizione che pare nota a Mt 27,52 e che colloca, assieme al terremoto, la morte di Gesù in un clima escatologico e apocalittico. A dire che il tempo ultimo è questo.

È la Pasqua nel suo complesso infatti a introdurci nel tempo ultimo, quello in cui il Veniente si rivelerà in maniera definitiva (cf. Mt 23,39), ma la cui presenza deve essere scoperta e manifestata dai credenti già adesso.

Le grandi tragedie della storia e quelle della vita quotidiana sono segno di quell’agonia – nel senso letterale di «lotta fino alla morte» – che è presente nella vita di tutti. L’ultima parola però non è della morte ma della vita: la risurrezione dei patriarchi evocata da Matteo ne è già un primo indizio, in attesa del fremito di spavento che proveranno i custodi del sepolcro.

L’evangelista ne parla con ironia. È curioso e contraddittorio infatti che dorma, lasciandosi sottrarre un corpo, chi è stato pagato per sorvegliarlo, tanto più che questa spiegazione gli è suggerita dai committenti.

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