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Il silente padre

XXVI domenica del tempo ordinario

Is 5,1-7; Sal 80 (79); Fil 4,6-9; Mt 21,33-43

Leggiamo, con Mt 21,28-32, la seconda parabola di una sequenza di tre che hanno una vigna come riferimento paesaggistico. Le altre due sono Mt 20,1-16, letta sette giorni fa, e Mt 21,33-44. Queste tre parabole, a cui si associa quella degli invitati al banchetto (cf. Mt 22,1-14), sono state lette nel passato anche recente in chiave di teologia della sostituzione, come si è già accennato. In realtà Gesù parla sempre ai sacerdoti, agli anziani, ai capi del popolo, talché non c’è motivo di pensare a un popolo che soppianta un altro, ma a un problema intragiudaico: il popolo della terra, gli umili, i poveri prenderanno il posto di coloro che attualmente hanno posizioni di preminenza o sociale o culturale.

C’è dunque un padre, nella nostra parabola, che resta sempre sullo sfondo, e ci sono due figli. Egli fa loro una richiesta legittima, benché abbastanza perentoria, e non commenta né le loro risposte né le loro successive decisioni.

I due fratelli sono molto diversi tra loro, ma non così diversi come potrebbe sembrare. Già le Scritture, pur presentando la fraternità come dono e obbiettivo primari, non hanno molta stima degli uomini in quanto fratelli, specie se a coppie. In genere vivono situazioni di aspro antagonismo che può portare anche al delitto.

Nel nostro caso sono due persone ambigue, tanto ambigue che Gesù può facilmente passare dalla parabola a una quasi-allegoria. Non parlano tra loro, come fossero due estranei. Non si capisce bene che cosa pensino, perché quando rispondono al padre quel che dicono non corrisponde a quello che faranno. Nessuno dei due mostra di essere coerente: regolarmente fa il contrario di quello che ha detto. Il vero esempio di figliolanza – e quindi di fraternità – non è, a questo punto, che Gesù stesso, per il quale «sì» vuol dire «sì» e «no» vuol dire «no», esempio al quale Paolo apostolo si conforma (cf. 2Cor 1,17-19).

I due fratelli sono percorsi, ognuno dentro di sé, da un invisibile confine: quello che separa l’essere dall’apparire, il dichiararsi dall’agire; non tutto quel che appare, pur concretandosi in azione, genera un’azione coerente.

Quel che interessa a Gesù, come a ogni buon ebreo, è che ci sia un’azione rispondente alla richiesta del padre e alla giustizia. A ben guardare, nessuno dei due fratelli ha voglia di andare nella vigna e il padre non reagisce di fronte alla loro neghittosità; sembra solo voler e saper aspettare. La differenza tra i due infatti sta in un verbo raro nel Nuovo Testamento, metamelesthai «rammaricarsi, dispiacersi» e quindi «pentirsi» (cf. Mt 21,20.32, 27,3; 2Cor 7,8; Eb 7,21), di uso più frequente nella lingua quotidiana dei papiri. Certamente meno forte di metanoein, che è il verbo tecnico della conversione, indica quel provare un dolore acuto che può indurre al ripensamento.

L’attuale traduzione ha ripristinato la versione antica del testo. Alcuni manoscritti infatti pongono i fratelli in ordine inverso: il primo acconsentirebbe per poi non andare, il secondo si rifiuterebbe per poi obbedire. Questo ordine, portando a identificare il primo figlio con Israele, ha motivato la teologia della sostituzione, ma testimoni del testo altrettanto antichi e autorevoli sostengono l’ordine che oggi leggiamo, riportando quindi i termini del problema all’interno di Israele, come si è detto.

Il vero problema è capire che cosa accade nel cuore dei fratelli, con quelle ambiguità che sono poi anche nostre; capire dove passi il confine tra apparire, dichiararsi, essere e agire. In breve, quanto sia importante assecondare il desiderio del padre e percorrere il cammino nella giustizia.

In questo senso occorre non solo riflettere sul metamelesthai e, forse, su quella che la tradizione chiama compunctio, ovvero quel senso di contrizione che può indurre a una vita di conversione. Occorre anche, tenendo conto del contesto in cui la parabola compare (Gesù è appena entrato in Gerusalemme, ha scacciato i venditori dal tempio: tra una polemica e l’altra la passione è sempre più vicina), scrutare se e come il silente padre della parabola non usi il suo silenzio in chiave pedagogica e persino, in qualche modo, preannunci il silenzio del Padre nel momento decisivo della croce, perché chi può capire capisca.

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