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Il ricordo dello Spirito

Domenica di Pentecoste

At 2,1-11; Sal 104 (103); Rm 8,8-17; Gv 14,15-16.23-26

La liturgia di questa domenica di Pentecoste ci ripropone, in parte, un brano del Vangelo già proclamato due settimane fa nella VII domenica di Pasqua. È una singolare coincidenza che il passo affermi che il Paraclito, lo Spirito Santo, «vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto» (Gv 14,26). Nel loro piccolo, anche le letture liturgiche sembrano volersi conformare a questo richiamo al ricordo.

Il Paraclito può giungere solo se Gesù è andato via (cf. Gv 16,7). La sua azione dipende infatti da quella di colui che lo ha preceduto. È significativo che tutto quello che è detto del Paraclito, altrove sia riferito a Gesù: entrambi procedono dal Padre (cf. Gv 8,42; 14,26; 15,26), rendono testimonianza riguardo a Gesù (cf. Gv 8,14; 15,26), accusano e confutano il mondo (cf. Gv 7,7; 16,8-11). L’azione del Paraclito è legata all’atto di ricordare; non è qualcosa che nasce spontaneamente (Gv 16,7.12.14): è una presenza che fa capire quanto è già avvenuto («... prenderà del mio e ve lo insegnerà», Gv 16,14).

Attraverso l’azione del Paraclito si instaura una comprensione più piena di quanto è già avvenuto. L’«insegnare» equivale al «ricordare» in quanto, lungi dall’attestare cose diverse, rende manifesto il compimento, da parte del Figlio, dell’opera voluta dal Padre.

Su un piano più modesto e umile ciò ha luogo anche nelle nostre vite: più volte solo avvenimenti successivi ci fanno comprendere il senso autentico di quanto ci è già capitato. La comprensione implica il ricordo, in questo caso non si tratta però di un atto che ci fa volgere solo indietro, verso quanto è già stato; al contrario esso ci schiude orizzonti nuovi. Lo stesso vale per lo Spirito in relazione alla Pasqua di Gesù. Il Paraclito rende presente nel tempo della fede la morte e la risurrezione di Gesù. «Il Padre (...) vi darà un altro Paraclito» (Gv 14,16). Ce n’era dunque già stato uno: il Figlio stesso.

Lo Spirito di Gesù risorto ricorda l’opera dell’origine per renderla nuova. A Pentecoste il vento gagliardo e le lingue di fuoco si concentrano entro una casa (cf. At 2,1-2); ma già prima, secondo Giovanni, fu ugualmente nel chiuso di una dimora che il Risorto alitò sugli apostoli lo Spirito della rimessione dei peccati (cf. Gv 20,19.22-23). Ciò avvenne la sera stessa del giorno della risurrezione, «il primo giorno della settimana» (Gv 20,19). L’indicazione non è puramente cronologica, il soffio è piuttosto un’allusione all’inizio di una nuova creazione.

Prima della Pasqua una simbologia simile è presente nella guarigione del cieco nato. Gesù disse: «Finché io sono nel mondo io sono la luce del mondo”. Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco» (Gv 9,8), il quale, dopo essersi lavato alla piscina di Siloe, riacquistò la vista. Perché Gesù impasta la terra con la propria saliva? In principio il Signore Dio non aveva forse impiegato l’acqua per plasmare l’Adam dalla polvere del suolo (cf. Gen 2,6-7)?

Senza essere certi della sua esattezza, proponiamo una risposta che si appoggia sull’ovvia constatazione secondo cui la saliva esce dalla bocca. Il segno legato al cieco nato costituisce una specie di prima fase; quindi, dopo la sua risurrezione, Gesù è come se completasse l’opera; ora dalla sua bocca, in luogo della saliva, esce un soffio vitale che richiama l’animazione del primo Adam: «E soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne come un essere vivente» (Gen 2,7); «Soffiò e disse loro: “ricevete lo Spirito Santo”» (Gv 20,22).

Lo Spirito, il Paraclito, si colloca alla fine e non già all’inizio dell’opera, la riprende, la ricorda, la completa, la fa comprendere; proprio in ciò sta la sua perenne novità: «Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre vi manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto» (Gv 14,26).

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