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Il Gesù quotidiano

V domenica del tempo ordinario

Gb 7,1-4.6-7; Sal 147 (146); 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39

          La guarigione della suocera di Pietro non riceve molta attenzione da parte dei commentatori, benché sia un episodio presente in tutti e tre i Sinottici (cf. Mt 8,14-16, Lc 4,38-39). Nel passato alcuni padri della Chiesa si sono affrettati a dire che Pietro era vedovo, altri che la moglie lo accompagnava poi nei suoi viaggi e morì infine martire, quasi che l’avere famiglia costituisse un elemento imbarazzante. Attualmente della suocera si valorizza solo il fatto che, appena guarita, ha servito gli ospiti, ma nel complesso la pericope non viene commentata, anzi alcuni (per esempio Drewermann) non le dedicano neppure una riga.

          Il testo risponde alle caratteristiche già notate: vuol formare un lettore «spiazzato» e veloce nei suoi movimenti.

          In poche righe troviamo infatti svariati spostamenti e soprattutto di nuovo l’avverbio euthus, «subito» (vv. 29.30), che diventa come un filo conduttore di questo primo capitolo di Marco (cf. vv. 10.12.18.20.21.23.28.29.30.42.43).

          Il primo spostamento è dalla sinagoga alla casa di Pietro: non ci viene detto in che momento del sabato siamo, certo è che, quale che esso sia, il pasto che attende padrone di casa e ospiti è importante non meno della preghiera in sinagoga.

          La malattia della suocera fa risaltare ancora di più il fatto che la tavola non sia pronta né forse potrà esserlo. Oltre alla premura per la donna, evidenziata dal fatto che parlino di lei a Gesù ed egli intervenga prontamente, c’è anche questo aspetto da considerare. Esso risalta proprio quando si dice che la donna, alzatasi, si mette a servirli (diekonei, v. 31): un pasto sabbatico, anche in una casa modesta, ha sempre delle caratteristiche di abbondanza e di accuratezza.

          Alla fine del sabato, quando compaiono le prime tre stelle in cielo, i malati vengono portati da Gesù che si trova – ulteriore spostamento – «alla porta» (pros ten thuran, v. 33). Secondo qualche commentatore si tratta della porta cittadina, che tradizionalmente era il luogo d’incontro serale degli anziani per discutere i problemi della città, esprimere qualche giudizio o semplicemente condividere notizie. Secondo altri è la porta della casa di Pietro: Gesù sarebbe dunque sulla soglia e il suo spostamento, benché modesto, attesta un atteggiamento di disponibilità e accoglienza. La casa è infatti segno della sua prossimità con i discepoli (Marguerat) e la porta di casa, lo stare sulla soglia, evoca la prossimità con la quotidianità e con la gente. Di costoro Gesù si prende cura (etherapeusen, v. 34), verbo frequente in Marco che dice non solo ricerca di guarigione, ma attenzione e rispetto. Il verbo therapeuein ha infatti anche il senso di «servire» e «prendersi cura» nell’ambito del culto.

          Dopo quindi la diakonia della suocera, che rimanda al linguaggio ecclesiale, troviamo la therapia da parte di Gesù, ovvero un servizio devoto nel rispetto dell’uomo.

          Infine, ancora uno spostamento verso un imprecisato «luogo solitario» (v. 35) in cui pregare. L’orario rimanda alla quarta veglia notturna, cioè tra le tre e le sei del mattino. È probabile che la casa di Pietro sia immersa nel sonno, quando Gesù decide di andarsene: il testo è vago, ma è da pensare che Simone non abbia faticato a rintracciarlo. Il breve dialogo con Gesù serve solo ad annunciare un ultimo e radicale spostamento (v. 30).

          Della preghiera invece Marco non dice nulla, ma trattandosi di un momento privato potrebbe voler dire recita dei salmi, magari a memoria, secondo l’uso allora già corrente.

          Nel mondo ebraico la recita o la lettura dei salmi ex integro et per ordinem è pratica consolidata che consente di mantenersi custoditi dalla dissipazione.

          Naturalmente la consuetudine porta alla memorizzazione. Non meraviglia quindi che si possano recitare salmi anche nel buio della notte, come fossero parole che scaturiscono spontanee e con le quali chi prega ricapitola il proprio vissuto, gli incontri, i dolori e le necessità sue e dei prossimi.

          Che Gesù frequentasse i salmi lo dice poi il fatto che ne pronunci qualche versetto al momento della sua morte – dal Sal 22, secondo Matteo e Marco, dal Sal 31 secondo Luca –, e si sa che in quel momento ognuno dice ciò che davvero ha nel cuore.

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