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I giorni e l’ora

 

II domenica del tempo ordinario

Is 62,1-5; Sal 96 (95); 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-11

La versione liturgica del Vangelo di questa domenica inizia con «In quel tempo». Si tratta di un’espressione non certo ignota al lessico evangelico (cf. per esempio Mt 11,25; 12,1; 14,1). Essa non ha nulla da spartire con il detto latino «in illo tempore», inteso come un’allusione a una realtà temporale imprecisata e remota. L’operare di Gesù non è consegnato all’indefinita vaghezza di un «c’era una volta». Con tutto ciò, la versione liturgica non ci conforma alla lettera del testo giovanneo; nel quarto Vangelo infatti si legge «il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana» (Gv 2,1). Terzo rispetto a che?

Il Vangelo di Giovanni si preoccupa di contrassegnare l’inizio dell’attività pubblica di Gesù indicando una serie di scansioni temporali. Si comincia descrivendo il battesimo nel Giordano; «il giorno dopo» (Gv 1,29) il Battista addita Gesù come agnello di Dio e attesta di aver visto lo Spirito come una colomba scendere e rimanere su di lui; «il giorno dopo» (Gv 1,35) avviene l’incontro con i primi discepoli; «il giorno dopo» (Gv 1,43) c’è la chiamata di Filippo e di Natanaele; infine tre giorni dopo le nozze di Cana.

«In principio» (Gen 11,1; Gv,1,1) dell’attività pubblica di Gesù si enumera una settimana, lo si fa quasi per evocare l’inizio della Genesi. Con la missione di Gesù siamo di fronte a un nuovo inizio. Alla conclusione del miracolo dell’acqua trasformata in vino l’affermazione si fa esplicita: «Questo a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i discepoli credettero in lui» (Gv 2,11).

Il primo di tutti i segni non è compiuto spontaneamente da Gesù, esso è innescato da una constatazione che, in realtà, è una richiesta: «Venuto a mancare il vino la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”» (Gv 2,3). La risposta di Gesù è stata da sempre motivo di imbarazzo per il tono che suona aspro e poco filiale; tuttavia al suo interno è contenuta una parola che, da sola, apre un orizzonte: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4). Nell’interpretazione della replica del figlio vi è un punto sicuro: l’accostamento con l’unico altro passo nel quale Gesù, rivolgendosi a sua madre, la chiama con il termine «donna»: «Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”» (Gv 19,26-27). Una volta giunta l’ora (cf. Gv 7,39; 8,20; 12,27), Gesù dalla croce fonda una maternità e una figliolanza nuove che non passano attraverso «carne e sangue».

Nel contesto di nozze posto alla fine della prima settimana vissuta assieme ai suoi discepoli, Gesù preannuncia un nuovo tipo di figliolanza. A Cana lo sposo e la sposa di cui si celebra il convito nuziale non compaiono neppure una volta. Quelli che, a tutti gli effetti, avrebbero dovuto essere i protagonisti è come se non ci fossero. Il Vangelo non si occupa del genere di nozze che rende i due una carne sola (cf. Gen 2,24).

Il vino migliore che lo sposo ha conservato fino a ora è il preannuncio della figliolanza nello Spirito. Per Giovanni lo sposo autentico è Gesù stesso. Nella sua ultima testimonianza il Battista avrebbe detto in riferimento a Gesù: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo (...) Lo sposo è colui che appartiene alla sposa» e l’amico dello sposo se ne compiace (cf. Gv 3,29).

A essere sceso dal cielo su Gesù, ma non su Giovanni Battista, è lo Spirito che nel momento del compimento sarà consegnato (Gv 19,20) e alla sera di Pasqua sarà alitato sui discepoli (Gv 20,22). A Cana di Galilea Gesù inizia un cammino che avrà il suo compimento a Gerusalemme nell’ora della croce e nel giorno della risurrezione.

 

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