Di che cosa stavate discutendo per strada?
XXV domenica del tempo ordinario
Sap 2,12.17-20; Sal 54 (53); Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37
«Se qualcuno vuole venire dietro me, rinneghi se stesso...» (Mc 8,34), aveva detto Gesù ai discepoli e alla folla; poco prima aveva duramente ammonito Pietro ingiungendogli: «Va’ dietro a me Satana» (Mc 8,32). Gesù apre sempre la fila, occorre camminare dietro di lui.
Per mettersi davvero alla sua sequela non basta però seguirlo spazialmente sulle strade della Galilea. Un messaggio trasmessoci dal Vangelo di questa domenica è riassumibile con queste parole: non è sufficiente trovarsi sulla strada giusta per essere veri discepoli; si tratta di un’esperienza tutt’altro che estranea alla vita quotidiana dei credenti.
A partire dal detto di Pietro «Tu sei il Cristo!» (Mc 8,29), la strada di Gesù è scandita dagli annunci della Passione (cf. Mc 8,31-33; 9,30-32; 10,32-34). È proprio questo itinerario a palesare l’incomprensione dei discepoli. Lungo il cammino Gesù insegnava che il Figlio dell’uomo sarà ucciso per poi risorgere il terzo giorno. I discepoli, che pur lo stanno seguendo sulla via, non capiscono e temono di interrogarlo (cf. Mc 9,32).
Quanto fosse grande la loro incomprensione lo si scopre allorché si è giunti in casa. La domanda posta ai discepoli da Gesù evidenzia il fatto che una vicinanza fisica non garantisce una prossimità spirituale: «Di che cosa stavate discutendo per strada?». Non è immaginazione impropria pensare a una scena nella quale Gesù lungo la via precedesse di qualche metro i discepoli. Procedeva da solo seguito dalla non comprensione dei suoi.
Nel terzo annuncio della Passione l’annotazione sarebbe del resto divenuta esplicita: «Mentre erano per la strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti» (Mc 10,32). Sulla strada Gesù esperimenta in anticipo parte della grande solitudine che avrebbe contraddistinto la sua passione.
La distanza spaziale in sé è piccola cosa rispetto a quella manifestata dai contenuti del discorso: «Per la strada essi infatti avevano discusso chi fosse il più grande» (Mc 9,34). Da un lato Gesù annuncia la croce e la risurrezione, dall’altro i discepoli sono prigionieri della logica opposta, incentrata sul desiderio di primeggiare. La casa è il luogo in cui si dà la spiegazione di quanto era già avvenuto; si cammina ma per capire occorre sostare.
La spiegazione propone un capovolgimento radicale: «Se uno vuole essere primo, sia l’ultimo e il servitore di tutti» (Mc 9,35). La figura del bambino posto al centro della cerchia dei discepoli simboleggia l’essere ultimi (cf. Mc 9,36); per comprenderlo bisogna tener presente la concezione antica e non quella contemporanea dell’infanzia. Si è fuori strada se si pensa a supposte innocenze o purezze infantili. Il bambino abbracciato da Gesù simboleggia l’essere servitori di tutti. I piccoli sono l’antitesi dei discepoli che discutevano chi fosse il più grande. Per essere ultimi occorre conformarsi alla logica della croce: «Se qualcuno vuole venire dietro me, rinneghi se stesso...» (Mc 8,34).
Lo si dice, lo si scrive, lo si ripete; ma ancora una volta noi, nella vita di ogni giorno, ci troviamo più dalla parte dei discepoli che da quella di Gesù. Camminiamo dietro di lui sulla strada giusta, ma non mettiamo in pratica il suo esempio. Anzi, a volte seguire quei passi diviene, all’interno della comunità ecclesiale, un modo per ambire a essere grandi e non già per diventare piccoli.