Dall'inizio della creazione
XXVII domenica del tempo ordinario
Gen 2,18-24; Sal 128 (127); Eb 2,9-11; Mc 10,2-16
All’inizio della creazione le cose stavano diversamente da quanto sono ora, eppure a essere creato è stato proprio il nostro mondo, non un altro.
I primi 11 capitoli della Genesi sono dominati dal paradosso insito in questa prospettiva. Essa fa insorgere enormi difficoltà quando la si ritiene confrontabile con altre narrazioni delle origini compiute attraverso linguaggi differenti (primo fra tutti quello scientifico), mentre dischiude orizzonti se è intesa su un piano mitico-simbolico.
Non si risale lungo le epoche per sapere cosa avvenne «in principio». Se fosse così il discorso, un tempo plausibile, oggi diverrebbe insostenibile: per la Bibbia sarebbero migliaia d’anni, per la scienza milioni o miliardi. La prospettiva del mito cerca di rispondere simbolicamente al perché le cose stanno in questo modo e non già altrimenti. In definitiva è un modo per andare alla ricerca del senso di molti nostri comportamenti.
I racconti della Genesi rispondono miticamente a domande del tipo: perché valutiamo la realtà e le azioni in base al bene e al male (cf. Gen 2,17)? Perché c’è il senso del pudore (cf. Gen 2,24; 3,10)? Perché si partorisce con doglie mentre l’unione sessuale produce piacere (cf. Gen, 3,16)? Perché, a differenza degli erbivori, gli esseri umani si nutrono anche di carne (cf. Gen 9,3)?
Tra le domande c’è anche quella del perché ci si sposa e si mettono al mondo figli. La Genesi propone al riguardo due spiegazioni. La prima afferma che l’essere umano è costituito originariamente come maschio e femmina e che in ciò sta la radice della fecondità (cf. Gen 1,27-28); la seconda descrive una solitudine maschile superata solo quando l’uomo trova una compagna che sia ossa delle sue ossa e carne della sua carne (cf. Gen 2,18-23). Dal punto di vista delle istituzioni dell’antico Israele, lo scopo di questo secondo racconto è di motivare il perché l’iniziativa di sposarsi spetti al maschio (cf. Gen 2,23-24).
Il Vangelo unisce le due spiegazioni: «Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diverranno una carne sola» (Mc 10,6-7). Così facendo Marco orienta verso la parità del primo racconto il rapporto tra maschio e femmina, dominato dall’iniziativa maschile nella versione contenuta nel secondo capitolo della Genesi.
La posizione ideale assunta «dall’inizio» si trova innanzitutto in questa «correzione testuale». La logica del ripudio è l’opposto di quanto dice la Genesi: l’uomo qui non lascia padre e madre per unirsi alla sua donna, al contrario manda via la propria sposa (cf. Dt 24,1). L’uno e l’altro caso sono comunque dominati da un’egemonia maschile. Il fatto trova, in Marco, una corrispondenza a parti rovesciate nel suo prospettare un ripudio accessibile sia a uomini sia a donne (cf. Mc 10,11; procedura pensabile nel diritto romano ma inconcepibile in quello biblico). Anche nel caso del fallimento del matrimonio, l’uomo e la donna sono perciò posti sullo stesso piano.
Il principio ideale ricavato dal riferimento interpretativo all’origine sta nell’affermare la parità tra i coniugi. Quanto alla durezza del cuore, il problema non è sciolto. Fu per questo motivo che Mosè scrisse la norma del ripudio (cf. Mc 10,5). Qual è il nostro cuore? Un tempo nella Legge Dio si era lasciato spazio alla durezza, eppure già nel profeta Malachia si legge un forte richiamo all’unità originaria: «Non fece egli un essere solo dotato di carne e soffio vitale? Che cosa cerca quest’unico essere se non prole da parte di Dio? Custodite dunque il vostro soffio vitale e nessuno tradisca la donna della sua giovinezza. Perché io detesto il ripudio, dice il Signore, Dio d’Israele» (Ml 2,16).
Il riferimento ideale alle origini gioca un suo ruolo, tuttavia viviamo nel tempo della contraddizione. La risposta qual è? Sapere sia che i nostri cuori sono ancora duri sia che in essi riposa un desiderio profondo di unione e di purezza (cf. Mt 5,8). Cosa significa tutto ciò nel caso del matrimonio? Che nell’ordine dei fatti è astratto e non corrispondente al vissuto parlare di un matrimonio comunque indissolubile, mentre è concreto e aperto alla speranza affermare che per i coniugi il matrimonio sia riannodabile lungo il succedersi di giorni costellati dalle difficoltà della vita.