Come pecore senza pastore
XVI domenica del tempo ordinario
Ger 23,1-6; Sal 23 (22); Ef 2,13-18; Mc 6,30-34
Il Vangelo di questa settimana è speculare a quello di domenica scorsa; là i Dodici erano mandati a due a due sulle strade e nelle case a guarire, a scacciare gli spiriti impuri e a proclamare la conversione (cf. Mc 6, 7-12); qui essi ritornano a Gesù per annunciargli (verbo apanghello, cf. Mc 6,30) tutto quanto avevano fatto e insegnato.
Preso atto della loro faticosa opera, Gesù invita i discepoli a raggiungere un luogo deserto per riposarsi un poco, perché erano pressati dalla folla (cf. Mc 6,31). Prima si va verso la gente, mentre ora capita il contrario: sono le folle ad accalcarsi attorno a Gesù e ai Dodici. Come avviene per la circolazione sanguigna, operano sia la diastole sia la sistole; tuttavia quando ci si affatica il ritmo dell’una e dell’altra si fa tumultuoso.
Fin dai primi capitoli del Vangelo di Marco la folla è una presenza continua e più volte assillante (cf. Mc 1,33.37.45; 2,1-3; 7-10; 3,20.32; 4,1; 5,21.32). In questi episodi la folla preme da tutte le parti. Gesù ne è come assediato, tanto è vero che cerca vanamente riposo lontano dalla città, ma anche là lo raggiunge la folla (cf. Mc 1,45); la pressione di quest’ultima è tale che, a volte, tanto lui quanto i discepoli sono impossibilitati a prendere cibo (cf. Mc 3,20). Il particolare è riproposto nell’odierno brano evangelico: «Erano infatti molti coloro che andavano e venivano e non avevano neppure il tempo di mangiare» (Mc 6,31).
Non resta allora che cercare di sottrarsi ancora una volta alla pressione: «Allora andarono con la barca in un luogo deserto, in disparte» (Mc 6,32). Ma come era già avvenuto all’inizio della predicazione di Gesù (cf. Mc 1,45), anche ora l’aspirazione a riposare è frustrata dalla folla che raggiunge a piedi un luogo che si era immaginato isolato (cf. Mc 6,33-34).
Dapprima si va alla gente; poi si è quasi soffocati dalla folla: si sono messe in moto dinamiche in parte impreviste. Un conto infatti è insegnare nelle sinagoghe e nelle case, vale a dire comunicare con chi si trova in luoghi dedicati all’ascolto e all’accoglienza; altro è entrare in relazione con le folle, il cui adunarsi è mosso da motivazioni quasi sempre ibride. A spingerle in tale direzione sono tanto la curiosità, il senso d’imitazione, la volontà di affermare «c’ero anch’io», quanto autentici bisogni spiritual. Tutti questi fattori si mescolano in una stoffa composta da molti ed eterogenei fili. Avveniva un tempo, avviene ancor di più oggi (e non solo in piazza San Pietro).
Gesù «vide una gran folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore (cf. Nm 27,17)». La folla si accalca attorno a Gesù, va lui ed egli la giudica come pecore prive di pastore. Per comprendere questo brano di Vangelo occorre partire dall’apparente paradosso che andare da Gesù non significa di per sé aver trovato la propria guida. Quell’atto da solo non basta. Gesù dapprima vuole sottrarsi alle folle, ma poi quando la vede ne ha compassione (verbo splagchnizomai); è lo stesso stato d’animo da lui provato all’inizio della sua missione nei confronti di un lebbroso (cf. Mc 1,41).
Le folle vanno a Gesù, eppure sono come malate. Anch’esse hanno bisogno di essere risanate. Il primo modo per farlo è di considerarle alla stregua dei presenti nelle sinagoghe o nelle case, cioè come persone capaci di ascolto: «E si mise loro a insegnare molte cose» (Mc 6,34). La compassione di Gesù si concretizza nell’atto di riconoscere le folle che lo tormentano come un soggetto a cui rivolgere il proprio insegnamento. Subito dopo avverrà la prima moltiplicazione dei pani (cf. Mc 6,35-44). Come avviene nella liturgia, anche nelle campagne della Galilea la parola precede la mensa.