Amazzonia: il “diaconato” di suor Círia e delle molte altre
Pagine di diario estivo dalla Bolivia, accompagnando una religiosa che coordina più di 160 comunità e ha battezzato finora novecento bambini. Come lei, nella regione centinaia di altre donne svolgono un servizio diaconale. E la pastorale interroga in modo esigente la teologia.
Riberalta, 28 luglio
Come molte e molti impegnati nella vita ecclesiale, sto approfittando delle vacanze per conoscere l’esperienza pastorale di alcune comunità cristiane della Bolivia amazzonica e per condividere con loro momenti di celebrazione, formazione, festa, nella comune esperienza di fede. Nel mese di ottobre verrà celebrato a Roma il Sinodo pan-amazzonico, e agli incontri di riflessione e di ricerca teologica in cui sono stata coinvolta ho voluto unire un tempo per partecipare alla vita ecclesiale e incontrare in particolare alcuni gruppi di donne.
Estremamente articolato è stato il cammino di preparazione del Sinodo, che – nella prospettiva indicata anche nella costituzione apostolica di papa Francesco Episcopalis communio – ha coinvolto ad oggi circa 87.000 persone e ha visto la realizzazione di circa 280 incontri zonali, seminari di ricerca e convegni sui temi indicati nel Documento preparatorio: dall’ecologia integrale alla teologia della creazione, dall’inculturazione della liturgia alla ministerialità.
L’apporto determinante delle donne nelle comunità dell’Amazzonia
Nelle sintesi consegnate alla Rete panamazzonica (REPAM) e nell’Instrumentum laboris, pubblicato a giugno di quest’anno, viene messo in evidenza l’apporto determinante delle donne alla vita delle comunità cristiane. La maggioranza degli operatori pastorali (catechisti, coordinatori di comunità, animatori liturgici, servizi di assistenza e carità, ecc.) sono donne: sono le donne a garantire, con fedeltà e competenza, praticamente tutti i servizi che rendono una comunità cristiana viva, in maturazione costante, in servizio attento a tutti; sono le donne nella maggior parte dei casi a guidare e animare le celebrazioni in assenza di presbitero. In media le donne rappresentano più del 70% delle persone impegnate nella vita e nel servizio ecclesiale.
Non sorprende, anche per questo motivo, il rilevante numero di richieste e gli appelli al Sinodo in favore dell’ordinazione ministeriale di donne: una domanda che mi sono sentita rivolgere più volte durante questi incontri con gruppi di donne nel vicariato apostolico del Pando, nel quale mi trovo; una riflessione che è emersa in me più volte, accompagnando suor Círia nella sua attività pastorale in questi giorni.
Suor Círia, “presenza della Chiesa”
Hermana Círia Catarina Mees, 54 anni, religiosa brasiliana della congregazione delle suore della Divina Provvidenza, una laurea in infermieristica e una esperienza pluriennale di amministrazione ospedaliera, è infatti oggi la direttrice dell’Istituto di pastorale rurale del Vicariato apostolico del Pando. Coordina più di 160 comunità rurali, nelle quali non è presente né diacono né presbitero: visita le comunità (distanti dal centro pastorale molte ore di jeep o molti giorni di navigazione lungo i fiumi) e annuncia loro la Parola di Dio, guidando le celebrazioni domenicali; promuove e coordina la formazione degli operatori pastorali, in particolare gli animatori di comunità a cui è affidata la guida delle celebrazioni domenicali in assenza di presbitero; elabora i sussidi liturgici e catechetici necessari. Nel quadro di una ministerialità laicale di uomini e donne estremamente variegata e vivace, garantisce coordinamento e orientamento alla vita di piccole comunità disseminate su un territorio vastissimo, molto lontane tra loro, che il vescovo e i presbiteri riescono a visitare in media una volta all’anno o, più spesso, una volta ogni due/tre anni. Ha ricevuto dal suo vescovo il mandato per assistere ai matrimoni e per celebrare i battesimi, laddove vescovo e presbitero non possono garantire una presenza in tempi brevi (ha battezzato circa 900 bambini in sei anni). Suor Círia è la “presenza della Chiesa”; è l’occhio e l’orecchio del vescovo, come nell’antichità si diceva dei diaconi.
«…i quali di fatto esercitano il ministero di diacono». E se fosse anche «le quali»?
Mentre la accompagnavo, partecipando alle celebrazioni nelle comunità, e vedevo l’accoglienza e il riconoscimento che le venivano riservati, mentre ascoltavo le parole di uomini e donne delle diverse comunità che ringraziavano per la sua presenza, attenta e qualificata, mi sono venute più volte alla mente alcune parole del documento del Vaticano II Ad gentes, laddove si parla della necessità di preparare un clero autoctono nei paesi di missione (cf. AG 16). La re-istituzione del diaconato permanente veniva motivata in quel testo a partire dalla constatazione che molti uomini già esercitavano un ministero veramente diaconale, nell’annuncio della Parola di Dio, nell’animazione di comunità lontane, su mandato del vescovo o del parroco, nel servizio di carità e di assistenza. Si concludeva affermando che era bene per la Chiesa che tali uomini (viri) fossero «fortificati per mezzo della imposizione delle mani, trasmessa dal tempo degli apostoli, e [fossero] più strettamente uniti all’altare, per poter esplicare più efficacemente il loro ministero con l’aiuto della grazia sacramentale del diaconato» (AG 16).
In Amazzonia ci sono centinaia di donne, religiose e laiche, che, come suor Ciria, sono già impegnate in servizi “vere” diaconali, gli stessi indicati in AG 16; non dobbiamo forse pensare come possibile e necessario, che – sul fondamento della Tradizione ecclesiale del primo millennio – per queste donne si realizzi quanto indicato dai padri conciliari in AG 16 per uomini diaconi? Come Febe (Rom 16,1-2), come Maria diacona di Archelais e la diacono Goulasi, che conosciamo dalle epigrafi funerarie, così anche le tante donne che già sono coinvolte in un servizio veramente diaconale nelle comunità cristiane dell’Amazzonia? Come Aerie, nella cui epigrafe è scritto «fedele serva di Cristo, diacono dei santi, l’amica di tutti», così anche suor Círia?
La presenza di diacone ordinate, grazie a una parola pubblica di proclamazione del Vangelo, all’apporto vitale e fecondo dell’omelia, al coordinamento delle comunità su mandato del vescovo, alla completa celebrazione del battesimo (di cui i diaconi sono ministri ordinari, come richiamato in LG 29), permetterebbe nella regione amazzonica un servizio al Noi ecclesiale che oggi non è pienamente realizzabile. I tempi sono maturi perché durante il Sinodo ci si confronti, con parrhesia e coraggio, sulla possibilità di una ordinazione ministeriale di donne diacono, assumendo la prospettiva adottata dai padri conciliari nel momento della re-istituzione, dopo secoli, del diaconato come grado autonomo e permanente. La visione del ministero ordinato del Vaticano II rende possibile un tale confronto; la prassi pastorale lo esige.