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Alzàti gli occhi verso i suoi discepoli

VI domenica del tempo ordinario

Ger 17,5-8; Sal 1; 1Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26

È tipico di Luca presentare gli atti prima delle parole che ne svelano il senso. La comprensione di quanto è avvenuto ha luogo in un secondo momento (cf. Lc 24,19; At 1,1; 10,39).

Le beatitudini poste da Matteo all’inizio dell’attività pubblica di Gesù, in Luca coronano una lunga serie di atti già compiuti dal Maestro. Gesù aveva predicato nella sinagoga di Nazaret, era stato rifiutato dai suoi compaesani (cf. Lc 4,16-30), aveva guarito un indemoniato a Cafarnao (cf. Lc 4,31-37) e risanato altri malati (cf. Lc 4,38-41), aveva annunciato il Regno (cf. Lc 4,42-44) e chiamato i primi discepoli (cf. Lc 5,1-10), aveva compiuto altre guarigioni (cf. Lc 5,12-16), chiamato Levi dal banco delle imposte (cf. Lc 5, 27-32), sostenuto discussioni con i propri avversari e infine aveva scelto i Dodici qualificandoli come apostoli (cf. Lc 6, 12-19).

Nei fatti si stava realizzando quanto Luca aveva messo sulle labbra del vecchio Simeone: Gesù è posto per la caduta e la risurrezione di molti in Israele ed è segno di contraddizione (cf. Lc 2,34). Nel Vangelo di Matteo prima delle beatitudini Gesù aveva già chiamato i primi discepoli e aveva compiuto alcune guarigioni, ma non si era ancora scontrato con il muro del rifiuto. Forse per questo in Matteo non ci sono «guai», mentre Luca non è nelle condizioni di prescindere da un linguaggio duale.

Il discorso della pianura non è piano: alle quattro beatitudini si contrappongono i quatto «guai»; non solo, l’ultima e più articolata beatitudine si riferisce apertamente al linguaggio della persecuzione, dell’odio, del disprezzo. Le linee di demarcazione si fanno meno nette. Bisogna rallegrarsi per due motivi: per la ricompensa in cielo e per l’essere associati a quanto capitò agli antichi profeti (cf. Lc 6,23).

Il linguaggio duale presente nella prima lettura di oggi (cf. Ger 17,5-8) e nel salmo responsoriale (cf. Sal 1), nella quarta beatitudine – la più sconcertante tra tutte – subisce una «complicazione». Benedizione e maledizione si pongono su due piani non comunicanti; mentre la beatitudine propria dei perseguitati incrocia l’odio e il disprezzo dei persecutori. In realtà qui vi è qualcosa di più stringente del paragone con i profeti. Per i discepoli a cui è rivolto il «voi» che contraddistingue le beatitudini lucane («Beati voi»), il legame più intenso è non già con gli antichi uomini di Dio, bensì con Gesù stesso. Egli nel corso della sua missione aveva già iniziato a sperimentare la povertà, la fame, il pianto e la persecuzione.

Tra i motivi che hanno indotto Luca a collocare il discorso delle beatitudini in un luogo piano c’è una componente di umiltà che si trasforma in esempio. Nella premessa al discorso si trova una notazione insolita: «Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva» (Lc 6,20).

In tutte le iconografie ispirate al «discorso della montagna» Gesù si trova nella posizione più elevata. In questo caso i suoi occhi, lungi dall’alzarsi, devono piuttosto abbassarsi. Luca invece pone Gesù in una condizione umile, quasi che i suoi discepoli stessero più in alto di lui.

In questo particolare è racchiuso un insegnamento. Esso invita tutti i discepoli di ieri e di oggi a collocarsi più in basso di quello che si è. Se non si è in proprio poveri occorre stare dalla loro parte, se in prima persona non si ha fame non bisogna dimenticarsi di chi ce l’ha, se non si piange è necessario condividere il pianto altrui, se non si è perseguitati si deve essere consapevoli che molti lo sono.

Luca non parla di «poveri in spirito» (Mt 5,3), non parla di «fame e sete di giustizia» (Mt 5,6); esplicitamente parla solo di poveri e di affamati, ma implicitamente invita a stare dalla parte dei poveri, degli affamati, dei piangenti e dei perseguitati.

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