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Attualità
Attualità, 8/2020, 15/04/2020, pag. 255

Arriva la pandemia

Francesco guida la Chiesa con la preghiera

Luigi Accattoli

Della Quaresima di quarantena il papa ha fatto una scuola di preghiera: l’ho seguita traendone conforto e qui provo a dire gli insegnamenti che ne ho ricavato. 

Per primo metto l’invito ad ampliare la «preghiera universale della Chiesa» alla dimensione del mondo, accogliendo la provocazione dei giorni e portando in preghiera ogni necessità. 

Per secondo la chiamata da parte del papa gesuita, già maestro di esercizi ignaziani, all’audacia nell’invocazione.

Per terzo, la dimostrazione di come si possa guidare la Chiesa con la preghiera.

Per prima viene la diretta
della messa del mattino

Una scuola continuata. Francesco ha condotto la sua scuola di preghiera in tanti modi. Con la messa quotidiana a Santa Marta innanzitutto. Con gli Angelus e le catechesi dalla Biblioteca privata. Ma anche con gesti occasionali e creativi: con il videomessaggio per la Giornata romana di preghiera e di digiuno dell’11 marzo, collegandosi con il «Rosario per l’Italia» del 19 marzo, con il pellegrinaggio a due santuari romani di domenica 15 marzo, con il Pater noster ecumenico del mezzogiorno del 25 marzo, con la supplica serale sul sagrato di San Pietro del 27 marzo, con il videomessaggio ad extra del 3 aprile affidato in anteprima al TG1, con la celebrazione delle Palme del 5 aprile.

Alle Palme si ferma la mia rassegna, ma immagino che il resto della grande settimana avrà portato a pienezza questo magistero della preghiera.

Preghiera universale. Quella del papa è stata innanzitutto una «preghiera universale», nel significato antico che questa espressione ha nelle rubriche liturgiche, dove indica una preghiera per tutti. Ogni giorno, da quando sono iniziate le dirette della messa mattutina, cioè dal 9 marzo, Francesco prima di avviare la celebrazione è venuto proponendo un’intenzione per la molteplice umanità martoriata. Questo l’invitatorio del primo appuntamento: «In questi giorni, offrirò la messa per gli ammalati di questa epidemia, per i medici, gli infermieri, i volontari che aiutano tanto, i familiari, per gli anziani che stanno nelle case di riposo, per i carcerati che sono rinchiusi». 

Nei giorni successivi Francesco ha poi convocato alla mensa della sua preghiera le famiglie con disabili; i lavoratori delle farmacie, dei supermercati, del trasporto, i poliziotti; gli anziani impauriti; i cercatori del vaccino, il personale ospedaliero; «i soldati che sulla strada cercano di mantenere l’ordine»; chi non può lavorare; «le paure di ognuno di noi»; «i moribondi oppressi dalla solitudine»; «gli addetti alle pulizie, le badanti, i trasportatori»; «tanta gente che rimane spaventata e non riesce a reagire»; per chi non aveva un lavoro fisso e incomincia a soffrire la fame; per chi pensa al dopo pandemia ma anche per chi è tentato di approfittare del bisogno altrui.

Ha pensato persino ai giornalisti: «Oggi vorrei che pregassimo per tutti coloro che lavorano nei media, per comunicare, perché la gente non si trovi tanto isolata; per l’educazione dei bambini, per l’informazione».

Lo ha fatto con viva intuizione delle situazioni, degna del pastore che conosce le pecore, indicando alle une l’esempio delle altre: «In modo speciale, vorrei che pregassimo per gli operatori sanitari che sono morti in questi giorni. Hanno donato la vita nel servizio agli ammalati». 

La preghiera per gli anziani così li fotografava: «Soffrono questo momento in modo speciale, con una solitudine interna molto grande e alle volte con tanta paura». 

Riaffiora il parroco
che è in Bergoglio

Vicinanza ai casi concreti. Qualche volta la preghiera gli arriva dal vasto mondo: «Sul giornale, oggi, c’è una foto che colpisce il cuore»; «L’altro ieri mi hanno dato la foto di un sacerdote che nella neve portava l’ostensorio ai piccoli paesini per dare la benedizione».

Il parroco che è in Bergoglio pensa subito alle famiglie: «Uomini, donne che muoiono soli, senza potersi congedare dai loro cari»; «Le famiglie che non possono uscire di casa. Con i bambini, i ragazzi. Perché sappiano trovare il modo di comunicare bene tra loro»; «Un’anziana ha capito che stava morendo e voleva congedarsi dai suoi cari». 

Francesco chiama cioè nel cerchio della sua orazione l’intera umanità: «Tutti i cristiani, tutti gli uomini e le donne di buona volontà che pregano per questo momento, qualsiasi sia la tradizione religiosa alla quale appartengono». 

La sua preghiera insegue i dimenticati: «Non vorrei che questa epidemia tanto forte ci faccia dimenticare i poveri siriani che stanno soffrendo al confine tra Grecia e Turchia». 

La sua scuola di preghiera Francesco è venuto svolgendola fattualmente, formulando invocazioni e intenzioni, indicando in quanti mai modi e luoghi e tempi si possa condurre l’orazione, fino a realizzare una supplica ininterrotta nei giorni della prova. Si è trattato di una scuola di preghiera accessibile a ognuno, in quanto insegnava a pregare pregando e non svolgendo una teoria.

La messa da Santa Marta è divenuta in queste settimane un modello per le tante messe teletrasmesse, offerte in streaming, tramite Facebook e Instagram. Quasi ogni parroco ha trovato il suo canale e Francesco ha mostrato a tutti come condurre le celebrazioni da remoto, ha suggerito di chiuderle con la benedizione eucaristica, ha mostrato come invitare alla «comunione spirituale» chi non può fare quella sacramentale.

«Se non trovi un confessore parla a Dio» ha detto il 20 marzo. Tramite la Penitenzieria ha richiamato le indulgenze e la possibilità delle assoluzioni collettive negli ospedali.

Preghiera del pastore. In più occasioni la preghiera papale di queste settimane ha assunto il carattere di un grido del pastore che guida il gregge: voce che dice vicinanza ma anche sprona. Almeno in tre casi l’intenzione detta prima della messa ha costituito un’indicazione del cammino: quando si è rivolto ai sacerdoti, ai governanti, ai vescovi.

L’invocazione «per i nostri sacerdoti» è del 10 marzo: «Perché abbiano il coraggio di uscire e andare dagli ammalati, portando la forza della parola di Dio e l’eucaristia e accompagnare gli operatori sanitari, i volontari, in questo lavoro che stanno facendo». Il 28 marzo ha incoraggiato le suore a uscire per la carità. 

Il 12 marzo è stata la volta delle autorità: «Devono tante volte decidere su misure che non piacciono al popolo. Preghiamo per i nostri governanti: che si sentano accompagnati dalla preghiera del popolo».

Il 13 marzo ha pregato «per i pastori che devono accompagnare il popolo di Dio in questa crisi: che il Signore gli dia la forza e anche la capacità di scegliere i migliori mezzi per aiutare. Le misure drastiche non sempre sono buone».

«Fermala con la tua mano»
ho pregato per questo

Preghiera audace con il Signore. Queste intenzioni prese nel loro insieme vengono a costituire una preghiera di governo. Esse sono risultate audaci, tanto da far riaprire le chiese a vescovi che le avevano chiuse (e tra questi c’era anche il cardinale De Donatis, vicario di Roma) e più di una volta hanno provocato polemiche.

Il nostro caro papa si è confermato anche in questa occasione audace con i credenti, i vescovi e i sacerdoti, ma audace anche con il Signore, come dev’essere chi intercede per il popolo. Ed ecco su questo fronte l’uscita per Roma del 15 marzo, con il simbolico pellegrinaggio di supplica perché cessi il contagio, che lo ha portato dalla Salus populi romani in Santa Maria Maggiore e ai piedi del crocifisso di San Marcello al Corso. 

Francesco in questi due cammini di supplica, in una Roma deserta, non ha detto una parola, ma, interrogato due giorni dopo dal quotidiano La Repubblica, ci ha informati sul contenuto della sua invocazione: «Ho chiesto al Signore di fermare l’epidemia: fermala con la tua mano. Ho pregato per questo».

Pandemia e figura papale. Grazie al papa e alle immagini televisive abbiamo potuto partecipare da lontano a molti atti di pietà. Disponendo di una relativa autonomia – anzi, sovranità – rispetto a ogni autorità statuale, Francesco ha potuto svolgere in questo tempo di quarantena un ruolo di celebrante e di predicatore per l’intero orbe cattolico. Questa unicità di ruolo credo non l’abbia mai sperimentata nessun altro papa nella storia: perché mai una pandemia fu così globale e perché, quando ce ne furono di simili, i papi non disponevano degli attuali mezzi di comunicazione.

Se preghi ti tirano le pietre. Dicevo delle polemiche a cui può dar luogo una preghiera audace come quella del papa. L’hanno rimproverato d’invitare i sacerdoti a uscire quando le autorità civili dicevano «restate in casa». L’hanno accusato di dare il cattivo esempio quand’è uscito lui di persona. 

Ha fatto riaprire le chiese
dov’erano chiuse

Qualche giornale ha parlato di «preghiere smisurate». Altri di «accanimento religioso». Alcuni hanno accusato Francesco di cedimento alle indicazioni dei governanti, ma altri l’hanno rimproverato per aver detto ai preti e alle suore di «uscire» per i sacramenti e la carità.

Più ancora l’hanno deplorato per aver fatto riaprire le chiese dov’erano state chiuse, per essere uscito lui pellegrino in Roma mentre a tutti veniva fatto obbligo di restare in casa, per la tenacia con cui continua a fare messe e suppliche che movimentano decine di persone, con ciò incoraggiando i vescovi a imitarlo. Persino per aver sollecitato – tramite un’istruzione della Penitenzieria – la costituzione di «gruppi di cappellani ospedalieri straordinari».

Con la gran messe di intenzioni di queste settimane il papa ci ha introdotti nel laboratorio della sua orazione e, con ciò, ci ha mostrato da dove gli venga l’ispirazione di gesti controversi e il coraggio di proporli alla Chiesa.

 

www.luigiaccattoli.it

 

Tipo "Io non mi vergogno del Vangelo"
Tema Francesco
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