Politica in Italia: prima noi, poi gli italiani
Il degrado della nostra democrazia
Indicare un qualche punto della situazione politica italiana, a 8 mesi dall’insediamento del nuovo governo, significa affrontare non solo l’analisi di ciò che il governo Lega-5Stelle ha fatto o non ha fatto, ma riprendere un’analisi complessiva della situazione del sistema politico italiano. E dunque affrontare quello che il governo è. Quello che sono i soggetti che lo compongono.
Indicare un qualche punto della situazione politica italiana, a 8 mesi dall’insediamento del nuovo governo, significa affrontare non solo l’analisi di ciò che il governo Lega-5Stelle ha fatto o non ha fatto, ma riprendere un’analisi complessiva della situazione del sistema politico italiano. E dunque affrontare quello che il governo è. Quello che sono i soggetti che lo compongono.
Questo non tanto perché l’attuale governo si è autodefinito retoricamente del «cambiamento», ma perché esso nasce come soluzione temporanea, necessitata – così è stato proposto anche dal Quirinale – di fronte all’impasse del sistema politico, evidenziato e determinato dal risultato elettorale sconvolgente del 4 marzo 2018.
Il contratto firmato tra i due soggetti di governo, Lega e 5Stelle, e affidato al portavoce Giuseppe Conte, definisce l’Italia come il campo nel quale i due gruppi si ritagliano, ciascuno per la propria parte, uno spazio di sviluppo politico-elettorale, mettendo assieme provvedimenti che assieme non stanno né per filosofia di fondo né per il principio di realtà dato dal fatto che non ci sono i soldi.
L’azione prevalente del governo è stata sin qui quella d’alimentare e mantenere il consenso ai partiti che lo compongono, in una sorta d’alleanza competitiva che, a mano a mano che si avvicinano le elezioni europee, è destinata a divaricarsi, aumentando la tensione interna al governo stesso.
Un primo bilancio fa emergere come oggi l’Italia sia un paese meno credibile e più isolato sul piano internazionale. L’Unione Europea – nonostante abbia al vertice personaggi incredibili come Jean-Claude Juncker – ha velocemente preso le misure al nuovo governo e dopo qualche mese di schermaglie e di nostre dichiarazioni velleitarie contro l’Europa, costate agli italiani alcuni miliardi, il governo e i due contraenti hanno riscritto buona parte della legge di stabilità, dividendosi 11 miliardi per mantenere le promesse elettorali circa il reddito di cittadinanza e la «quota 100» sulle pensioni.
Nelle trattative tra Italia e Bruxelles, i paesi «sovranisti» alleati di Salvini (dall’Austria all’Ungheria, alla Polonia) hanno votato contro le richieste del nostro paese. Non meglio sta andando sul fronte del Mediterraneo.
Dopo 8 mesi di governo, il duo Salvini-Di Maio è passato dall’antieuropeismo all’europeismo critico; del resto l’esito della Brexit rende tutti più prudenti, ma ha posto l’Italia in condizione di non essere presa in seria considerazione nelle sedi internazionali.
L’Italia è oggi un paese più povero, meno produttivo e con più disoccupazione (tutti i dati di tutte le agenzie nazionali e internazionali concordano), meno attrattivo per gli investimenti. La caduta del PIL negli ultimi due trimestri, il calo della produzione industriale, l’incertezza politica riflessa nell’aumento dello spread, il generale rallentamento dell’economia a livello mondiale (e in particolare in Europa) descrivono un paese in marcia verso una nuova crisi economico-finanziaria. Mentre il governo prevede una crescita del PIL dell’1%, l’Unione Europea la tara allo 0,7% e istituti di ricerca come Prometeia allo 0,5%.
La crisi della nostra democrazia
Da più parti ci si chiede quale governo sarà in grado di varare in autunno la prossima legge di stabilità, avendo Matteo Salvini e Luigi Di Maio, per motivi elettorali, scaricato su quella manovra una marea di miliardi, sperperati quest’anno. Questo aspetto sembra preoccupare più Salvini, che deve comunque rispondere al proprio elettorato, espressione anche del mondo produttivo e delle imprese.
Mentre Di Maio pensa «possibile un nuovo boom economico», e il presidente Conte ha argomentato che la «manovra anticiclica» serve proprio a fare riprendere l’economia italiana. In una politica ridotta a pura comunicazione, a dichiarazioni fini a sé stesse, nasce il sospetto che affermazioni come queste, se non rispondono a fenomeni di dissonanza cognitiva, descrivano una situazione nella quale il «governo del popolo» stia «facendo fesso» il popolo.
Ma il punto vero di criticità rimane il sistema politico e la sua crisi istituzionale. Può la nostra democrazia reggere a lungo un governo frutto di un compromesso che mette assieme velleità autoritarie con elementi eversivi? Salvini è tentato almeno in parte di seguire il modello Viktor Orbán, avendo assunto i temi del rigetto dell’immigrazione, della sicurezza e del nazionalismo come temi identitari.
Ma il rischio maggiore è posto dalla concezione ideologica espressa dal Movimento 5Stelle. Ci si potrà anche ironizzare sopra, ma la vera ideologia dichiarata e ora progressivamente messa in opera è il rifiuto della democrazia rappresentativa.
Dietro la rivendicazione della democrazia diretta, dietro a provvedimenti come quello dei referendum propositivi a bassa soglia di votanti non c’è la ricerca di una maggiore partecipazione popolare, il tentativo di riconnettere il «paese reale» al «paese legale», c’è la fine di questo sistema rappresentativo.
C’è l’antiparlamentarismo (i parlamentari 5Stelle sono già stati tutti commissariati dal Movimento), e il Parlamento che non discute più. C’è l’azione politica eterodiretta (nessun parlamentare e neppure i ministri possono dichiarare in proprio alcunché, tutto passa dalla regia comunicativa del duo Davide Casaleggio – Rocco Casalino). C’è la teorizzazione della distruzione dei corpi intermedi e la proclamazione dell’individualismo come unica regola e unica realtà: «uno vale uno».
Anche il PD…
Anche il Partito democratico sta dando una mano alla significativa crisi del nostro sistema politico. Non certo sul piano ideologico, ma certamente sul piano politico. Cosa sia oggi il PD è difficile da dire. Il suo arretramento politico è all’origine del suo arretramento elettorale e quest’ultimo ha innescato una spirale involutiva. L’assunzione del modello proporzionalistico, dopo il fallimento del mal gestito referendum del 2016, ha portato il PD a non rappresentare più un modello alternativo per il paese. Questa è stata la sconfitta di Renzi. Oggi il PD è un non-luogo, non il luogo dell’alternativa. Rispetto alla stagione precedente si sono fatti molti passi indietro fino a ritornare a una situazione pre-ulivista.
Quello che rimane, oltre Renzi, galleggia tra il ritorno alla «ditta» di bersaniana memoria (la proposta Zingaretti), aperta ai 5Stelle ritenuti «compagni in erba» o «compagni che sbagliano», e la conservazione dell’esistente, nell’attesa che la delusione provata verso questo governo riporti a casa una parte dell’elettorato andato altrove (Martina).
Nessuna delle due proposte che davvero si fronteggiano nel confronto interno al PD si qualifica come progetto politico alternativo, che sappia rispondere in primo luogo alla crisi istituzionale e di rappresentanza della nostra democrazia. Il PD non è stato in grado sin qui (e sono trascorsi quasi 11 mesi dal cataclisma del 4 marzo) di esprimere alcuna leadership nuova, alcun candidato davvero significativo alla segreteria.
Renzi non ha ancora accettato la sua sconfitta personale e politica e continua a esprimere pulsioni nuove, fino a immaginare la sua fuoriuscita dal PD e la creazione di un nuovo soggetto politico nello spazio tra il centro e il centro-sinistra. Un’ipotesi in sé interessante, ma gravata e condizionata dal fatto che è lui a proporla.
C’è da chiedersi fino a che punto Salvini reggerà questa alleanza competitiva di governo e fino a che punto egli possa proseguire nella strada di dissolvere, assorbire e risolvere l’elettorato e la composizione politica del centro-destra. Fino a che punto egli possa ridefinire, o anche solo ridurre, il centro-destra alla Lega.
Alla prosecuzione di questa alleanza competitiva con i 5Stelle corrisponde una progressiva trasformazione della natura identitaria della Lega. E certamente il ritorno della Lega nella figura politica del centro-destra potrebbe far uscire dall’impasse nel quale si trova il nostro sistema politico. Per fuoriuscire da questa situazione bloccata e progressivamente sfaldata serve una crisi di governo.
Gianfranco Brunelli