L’Amazzonia siamo noi
Una lettura emotiva dello Strumento
Inaspettata sensazione leggendo lo Strumento di lavoro del Sinodo dell’Amazzonia pubblicato il 17 giugno (cf. Regno-doc. 15,2019, 449ss): che si parlasse di noi. Di noi cristiani europei sperduti nel gorgo secolare come quei nostri fratelli in quello vegetale. Chissà che da una Chiesa nascente – mi dicevo – possa venire un aiuto a una Chiesa che sente gli anni.
Inaspettata sensazione leggendo lo Strumento di lavoro del Sinodo dell’Amazzonia pubblicato il 17 giugno (cf. Regno-doc. 15,2019, 449ss): che si parlasse di noi. Di noi cristiani europei sperduti nel gorgo secolare come quei nostri fratelli in quello vegetale. Chissà che da una Chiesa nascente – mi dicevo – possa venire un aiuto a una Chiesa che sente gli anni.
Racconto questa mia lettura selvaggia partendo da quattro brani dello Strumento: quello che propone l’ordinazione di anziani sposati «preferibilmente indigeni», l’altro che tratta dei ministeri da affidare alle donne, uno sulla vita consacrata «inter-congregazionale», uno che vuole assemblee di tutti i battezzati.
Dell’ordinazione di anziani sposati parlano due paragrafi: il 126.c: «Le comunità hanno difficoltà a celebrare frequentemente l’eucaristia per la mancanza di sacerdoti»; e il 129.a.2: «Si chiede che, per le zone più remote della regione, si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile».
Le Chiese giovani sono più libere
Tra una generazione avremo anche in Italia scarsità di preti. È bene tenere d’occhio quello che può venire a noi dalla fine del mondo. Quando si tratta di esplorare il nuovo, il terreno migliore è il meno coltivato e trincerato. «Le Chiese giovani hanno un atteggiamento più libero», ha detto una volta Francesco conversando con Dominique Wolton (Dio è un poeta, Rizzoli, Milano 2018, 220).
Dell’ordinazione di anziani sposati per la celebrazione dei sacramenti (eucaristia, penitenza, unzione degli infermi), nelle comunità prive di sacerdoti, aveva parlato Francesco in aereo tornando da Panama lo scorso gennaio. I nostri vescovi fingono di non saperne nulla e intanto cercano preti in Polonia e in Nigeria. Se cercassero tra gli indigeni?
«Identificare il tipo di ministero ufficiale che può essere conferito alle donne, tenendo conto del ruolo centrale che esse svolgono oggi nella Chiesa amazzonica» è un altro passaggio forte dello Strumento, al paragrafo 129.a.3.
Nello stesso paragrafo, troviamo il capoverso C intitolato «Ruolo della donna», dal quale prendo queste pagliuzze: «Viene chiesto il riconoscimento delle donne a partire dai loro carismi e talenti. Esse chiedono di recuperare lo spazio dato da Gesù alle donne, “dove tutti/tutte possiamo ritrovarci”»; «Si propone inoltre di garantire alle donne la loro leadership, nonché spazi sempre più ampi e rilevanti nel campo della formazione: teologia, catechesi, liturgia, scuole di fede e di politica»; «Si chiede anche che la voce delle donne sia ascoltata, che siano consultate e partecipino ai processi decisionali»; «Che la Chiesa accolga sempre più lo stile femminile di agire e di comprendere gli avvenimenti».
Ci stiamo dentro da capo a piedi. Ma che s’intende per «ministero ufficiale che può essere conferito alle donne»? Un punto in negativo è stato chiarito dal vescovo Fabio Fabene, sottosegretario del Sinodo, presentando lo Strumento: «Nel documento non si parla del diaconato femminile, dal momento che il papa si è già espresso in proposito nell’Assemblea delle Superiore generali, dichiarando che il tema necessita di ulteriore approfondimento» (cf. Regno-att. 14, 2019,402ss).
Mi sono fatto l’idea che in verità nella preparazione del documento, tra la consultazione e la prima e la seconda bozza, si puntasse al diaconato femminile. Poi essendo arrivato il monito papale, l’hanno tolto dal testo. Ma hanno lasciato l’impianto, come quando togli una statua e lasci il piedistallo.
La storicità dei ministeri è un cantiere in espansione
Ho la mente rutilante. Avvicinandosi il Sinodo e prevedendo tempesta, il papa – che una volta ha detto di sapersi muovere – abbozza un sì all’ordinazione di anziani sposati e un no al diaconato femminile.
Dunque il «ministero ufficiale» di cui lo Strumento ci mette alla ricerca non è il diaconato femminile. Ma non può essere neanche quello di animatrice, o portavoce, o catechista, o «mamma» di comunità locali sprovviste di sacerdote: perchè è vero che la maggioranza delle comunità amazzoniche sono guidate da donne, ma non sarebbe possibile – immagino – dare un riconoscimento ufficiale a tale ruolo di guida escludendone gli uomini.
Senza fare riferimento all’Amazzonia, un teologo romano solitario, don Giampaolo Centofanti, ha suggerito ultimamente – con un intervento del 21 agosto su Vaticaninsider – di prendere in esame «se i laici possano non consacrare gli oli sacri ma conferire quello degli infermi e magari quello dei catecumeni». La storicità dei ministeri è un cantiere teologico aperto.
Sui consacrati lo Strumento ha parole di pregio: «Si propone quindi di promuovere una vita consacrata alternativa e profetica, inter-congregazionale, interistituzionale, con un senso di disponibilità a stare dove nessuno vuole stare e con chi nessuno vuole stare» (129.d.1).
Domani risulterà fuori luogo anche da noi proporre venti o quaranta vie di consacrazione, ma la vita consacrata sarà comunque essenziale e dunque occorre prepararsi a farne una nuova proposta. Il consacrato e la consacrata mostrano che è possibile seguire il Signore lasciando tutto. Meno rilevante è che tale possibilità sia proposta con intonazione francescana, o domenicana, o salesiana, o ignaziana.
L’Ordine delle vergini può fare da apripista
Non mancano, nello stesso paragrafo, altre scosse ai dormienti: «Sostenere l’inserimento e l’itineranza delle persone consacrate vicino ai più poveri ed esclusi e la partecipazione politica per trasformare la realtà. Proporre ai religiosi e alle religiose che vengono dall’estero di essere disponibili a condividere la vita locale con il cuore, la testa e le mani per disimparare modelli, ricette, schemi e strutture prefissate e per imparare lingue, culture, tradizioni di saggezza, cosmologie e mitologie autoctone (…) Dare priorità alle necessità delle popolazioni locali rispetto a quelle delle congregazioni religiose».
Ma il punto chiave mi pare quello della proposta «inter-congregazionale e interistituzionale». Chiedo a chi sa di più che vogliano dire quelle parole: una vita consacrata promossa insieme da più famiglie religiose (congregazioni, istituti), o promossa in proprio dalle comunità diocesane? Qualcosa di simile all’Ordo virginum che mi pare stia dando buona prova qui da noi? Esiste, da noi, un analogo esperimento maschile? Come si risponde all’obiezione sull’oscuramento o la perdita del carisma fondazionale che ne seguirebbe?
Come quarto elemento del testo che potrebbe darci insegnamento, da Chiesa giovane e Chiesa antica, segnalo il paragrafo 129.b.4 che invita ad «aprire nuove possibilità di processi sinodali, con la partecipazione di tutti i fedeli, in vista dell’organizzazione della comunità cristiana per la trasmissione della fede».
Fratelli che ci riportano alla dimensione apostolica
Quando l’apostolo Paolo, spinto altrove dallo zelo del Vangelo, lasciava le comunità che aveva appena fondato, in esse la Chiesa era l’assemblea di tutti i battezzati. Quando invece si fa assemblea in una nostra parrocchia, dove magari i battezzati sono 5.000, a essere chiamati, o addirittura a saperlo, sono i 50 del Consiglio pastorale. Se c’è. Se non c’è, lo sanno i soli collaboratori del parroco sui quali grava ogni attività. I cristiani dell’Amazzonia ci riportano alla dimensione apostolica. Forse da loro – che sono costretti al vero dalla povertà di membri e di strutture – possiamo apprendere qualcosa per l’impresa di rifare vive le nostre comunità.
Al paragrafo 138 trovo un raro invito a imparare dagli evangelici la vicinanza al popolo: «Altri gruppi sono presenti in mezzo alla foresta amazzonica vicino ai più poveri, svolgendo un’attività di evangelizzazione e di educazione; sono molto capaci di attirare i popoli nonostante non valorizzino positivamente la loro cultura. L’essere presenti ha permesso loro d’insegnare e diffondere la Bibbia tradotta nelle lingue originarie. Per la maggior parte questi movimenti si sono diffusi a causa della mancanza di ministri cattolici. I loro pastori hanno formato piccole comunità dal volto umano, dove la gente si sente apprezzata personalmente (…) Sono persone come gli altri, facili da trovare, che vivono gli stessi problemi e diventano più “vicini”, e meno “diversi”, al resto della comunità. Ci mostrano un altro modo di essere Chiesa, dove il popolo si sente protagonista e dove i fedeli possono esprimersi liberamente senza censura, dogmatismo o discipline rituali».
Quasi sempre i testi delle Chiese latino-americane parlano con deplorazione dei gruppi evangelici che tumultuosamente nascono e muoiono nell’umanità circostante. Qui abbiamo invece una disponibilità a imparare il buono di quei gruppi. Anche questa disponibilità io la leggo sulla base dell’accettata povertà delle comunità cattoliche.
Anche in Europa siamo pochi e dispersi
Siamo un resto d’Israele anche in Europa. Se continuiamo a ragionare sentendoci una grande Chiesa costituita, vuol dire che non accettiamo la verità di quello che siamo. Magari in una viuzza del nostro centro storico c’è una chiassosa comunità evangelica frequentata da immigrati e la guardiamo dall’alto in basso. I fratelli dell’Amazzonia ci stanno dicendo che dovremmo piuttosto imparare da chi magari fa confuse acclamazioni a Cristo ma ne diffonde il nome mentre noi – preparatissimi – lo custodiamo in un dotto silenzio.
Ho fatto una lettura grossolana dello Strumento di lavoro. Non ho neanche citato il tema sinodale: Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale. Ovvio che me ne vergogno. Sono andato alle parole che mi hanno segnalato che questo Sinodo parla anche di noi. Solo a questo miravo.
www.luigiaccattoli.it