Il papa chiede preghiere / 2
E io prego perché arda l’inquietudine che accende
Mentre scrivo questa seconda puntata sul papa che chiede preghiere, vedo in TV Francesco che le chiede alla first lady turca Emine Erdogan e vedo il presidente che risponde prima della moglie e riporta la bilancia in pareggio: «Anche noi aspettiamo una preghiera da lei». Già Obama e Rouhani avevano chiesto a Bergoglio di pregare per loro: che ci dicono queste preghiere apolidi?
Mentre scrivo questa seconda puntata (cf. Regno-att. 2,2018,63s) sul papa che chiede preghiere, vedo in televisione Francesco che le chiede alla first lady turca Emine Erdogan e vedo il presidente che risponde prima della moglie e riporta la bilancia in pareggio: «Anche noi aspettiamo una preghiera da lei». Già Obama e l’iraniano Rouhani avevano chiesto a Bergoglio di pregare per loro: che ci dicono queste preghiere apolidi, randagie?
Forse oggi la preghiera è un animale smarrito e appartiene a chi la trova? Ovvero è sempre stata di tutti per tutti e solo oggi ce ne avvediamo?
Quando trovo un musulmano che stende il tappeto della preghiera sul marciapiede romano gli chiedo di pregare per me. Lo stesso faccio con i mendicanti sia nostri sia musulmani. E loro ricambiano la richiesta.
Dovrei essere capito anche meno di così
Un po’ come avveniva con il pane scambiato tra due sconosciuti. Ci sono ancora il pane e la preghiera sulla terra.
La via che mi propongo per il secondo tempo è quella di prendere sul serio la domanda del papa e le motivazioni con cui la presenta: ed è in questa chiave che ho accennato alla domanda che rivolge ai non cristiani. Qui un modo di prendere sul serio la richiesta è quello di fare altrettanto: cioè di tentare un ampliamento del campo dell’orazione alla dimensione del mondo. Ho un vicino che si chiama Mohammed con il quale scambio gli auguri per la Pasqua e il Ramadan. Io gli dico «buon venerdì» e lui mi dice «buona messa». Abbiamo in programma una cena e in quell’occasione gli proporrò lo scambio delle preghiere.
Volendo prendere il papa in parola sulle motivazioni che adduce per la sua richiesta, conviene ricapitolare quelle che avevo documentato la volta scorsa: ne ho bisogno perché sono un peccatore, perché il mio lavoro non è facile ed è insalubre, perché gli occhi del mio cuore vedano con chiarezza, perché sono vulnerabile, perché almeno non sia tanto cattivo.
Né voglio fermarmi alle motivazioni dichiarate ma cerco di cogliere anche quelle che il papa indica indirettamente: «alle volte prendo cantonate», «siccome io non sono un santo questo mi ha dato un po’ di fastidio», «sono incosciente», «sono indisciplinato», «a causa dei miei peccati dovrei essere capito anche meno di così». Vedo dietro a queste battute altrettante motivazioni per le richieste di preghiera: perché non prenda cantonate, perché accetti le incomprensioni, perché impari quella disciplina di cui non sempre sono capace. Festeggiando i 90 del cardinale Sodano ha detto di ammirarlo come «uomo ecclesialmente disciplinato».
Ho chiesto agli amici che ho in Vaticano, nel blog, in parrocchia, d’interrogarsi sulla richiesta papale. «È come se il papa volesse associare tutti a un compito che lui per primo ritiene umanamente non sostenibile», mi ha risposto Angelo Scelzo, che è stato vice di padre Lombardi alla Sala Stampa: «Vicario di Cristo, pur essendo un titolo che Francesco non utilizza mai, è certo il più solenne per un pontefice. Io credo che al solo pensarci, Francesco è preso da un sacro timore: chi sono io per ritenermi tale? Ai suoi occhi, l’unico modo per esserne meno indegno è quello di cercare aiuto per quel compito sproporzionato. La richiesta di preghiera è prima di tutto una manifestazione di umiltà e proprio per questo credo che accoglierla sia un gesto di misericordia posto in buone mani per il bene della Chiesa».
Si mette alla pari d’ogni altro orante
«Accompagnavo – racconta Angelo – una zia suora di bel carattere, Carmelina Quaglia, salesiana, all’udienza del mercoledì al compimento degli 80. Quando arriva dal papa Carmelina prende a cantare e poi d’un fiato: “Santità, volevo dirle che mi piacerebbe morire cantando al Signore per la vita che mi ha fatto vivere”. Francesco l’abbraccia e le chiede di pregare per lui “proprio come ha fatto ora, con questo sorriso: ho bisogno di preghiere vive, che arrivino al cielo”».
Chiede preghiere a tutti e a ognuno che incontra. «Cari amici vi ringrazio di cuore e vi chiedo di continuare a pregare per me»: è il primo messaggio su Twitter, il 17 marzo 2013, riavviando l’account @Pontifex che era stato attivato poco prima da Benedetto. «Pregate per me» in nove lingue è il motto del debutto in Instagram accanto alla sua foto in preghiera: 19 marzo 2016.
Non fa solo richieste rituali, ma anche mirate: «Alla vigilia del viaggio in Egitto ti chiedo di pregare per me», ha scritto l’aprile scorso al vescovo di Reggio Emilia, Massimo Camisasca, che conosce da più di vent’anni.
«A me – confida un visitatore del blog – sembra di scorgere in questa insistenza una vera richiesta d’aiuto che parte da un atto di umiltà, da un dubitare di se stesso». Ed è la stessa interpretazione di Angelo Scelzo.
È infatti facile scorgere nello scambio di preghiere chiesto e offerto dal papa una piena disponibilità a mettersi alla pari con ogni altro orante. Per esempio con i carcerati. Tre sono state fino a oggi le lavande dei piedi in carcere compiute da Francesco il giovedì santo: 2013 nel carcere minorile di Casal del Marmo, 2015 nella sezione femminile di Rebibbia, 2017 a Paliano (Frosinone). Sempre ha detto: «Pregate per me». Per lui il carcere è un luogo giusto dove cercare preghiera da chi più è nella prova e dunque – potenzialmente – è anche più vicino al Cristo sofferente: «Ero in carcere e mi avete visitato».
Coinvolge chi si trova al limitare del tempio
Il 17 luglio 2013 scrive a una detenuta di Buenos Aires che gli aveva mandato ostie fatte da lei e gli aveva chiesto preghiere: «Cara Gabriela, ringrazio per la fiducia e anche per le ostie. Da domani celebrerò la messa con queste ostie e pregherò per te. Mi rallegra e mi dà sicurezza sapere che anche tu preghi per me». Qui si vede come il papa si metta allo stesso inginocchiatoio della detenuta, proprio come fa con papa Benedetto: ringrazia Gabriela «per la fiducia» con cui aveva chiesto a lui e chiede a lei con lo stesso affidamento.
Un aiutante stretto di Francesco racconta che quella richiesta «incoraggia a coinvolgersi quanti gli vogliono bene e sono tantissimi e magari si trovano sul limitare del tempio». Aiuta anche molti ad «accogliere la visione di vita cristiana così impegnativa che lui propone».
«Da qui – dice un altro del Vaticano – abbiamo molti riscontri di questo pregare affettivo di persone che avvertono il bisogno di approfondire la propria fede per metterla sul binario di Francesco». Un terzo racconta di una coppia che ogni sera prega per il papa: «Gliel’hanno promesso e lo fanno sempre. Quella richiesta ha cambiato la loro preghiera».
«Mi sorprende – aggiunge un altro che gli è vicino ogni giorno – la concretezza della preghiera tradizionale per i papi, con quella invocazione perché il papa non sia abbandonato in balia dei nemici. Così vera oggi».
Sento il bisogno di rispondere alle critiche
Su questa faccenda dei nemici va anche un prete della mia Recanati, don Pietro, che mi racconta come all’inizio non facesse caso a quella richiesta, ma quando ha avvertito la crescita della critica aggressiva ha sentito «il bisogno di rispondere»: e ha scelto di farlo in ginocchio.
Anche diversi visitatori del blog vanno su questo e avvertono nel rigoglio delle critiche il segno di una «condizione paragonabile a quella che indusse il predecessore alla rinuncia». Uno invece – e io sto con lui – mi scrive che non prega a difesa di Francesco ma «perché l’inquietudine che accende resti aperta e interrogante».
Un altro del blog: «Credo che il papa davvero abbia bisogno del sostegno della preghiera per il difficile momento della Chiesa. Da tutti i fedeli, che apprezzino o siano dubbiosi o ritengano dannosi alcuni suoi interventi. In questa preghiera si dovrebbe ritrovare l’unità».
Per intendere tutta la richiesta papale è utile la testimonianza sua e di terzi su come gli fosse abituale già in Argentina. «Una volta – ha raccontato il 29 maggio 2013 all’omelia del mattino – ero in un momento buio e chiedevo una grazia. È venuta a confessarsi una suora anziana, più di 80 anni, ma con gli occhi chiari: era una donna di Dio. Le ho detto: “Come penitenza preghi per me, perché ho bisogno di una grazia e se lei la chiede al Signore, me la darà”. Lei si è fermata un attimo, come se pregasse, e mi ha detto: “Sicuro che il Signore le darà la grazia ma non si sbagli: al suo modo divino”. E il modo divino è questo fino alla fine: coinvolge la Croce».
Chiedeva una preghiera e aspettava la risposta
Era un «momento buio» e chiedeva l’aiuto di una suora. Ma poteva chiederlo anche a un giornalista, e magari in un momento meno buio. Racconta il collega Lucio Brunelli, direttore delle testate giornalistiche di TV2000 e di Radio inBlu, come la richiesta di una preghiera lo conquistò al primo incontro nel 2006: «Sapevo che non aveva gradito un mio articolo su Limes ma non lo conoscevo di persona. L’incontrai a casa di amici e mi prese a parte dicendo che doveva chiedermi qualcosa. Mi aspettavo un rimprovero: mi guardò invece negli occhi e mi domandò se avrei potuto pregare per lui. Rimasi spiazzato dal suo sguardo di attesa. Non dava per scontata la risposta e dava l’impressione che non ci fosse al mondo cosa più importante. Lentamente risposi di sì. Si sciolse in un sorriso e rispose che anche lui avrebbe pregato per me. Percepii che l’avrebbe fatto davvero. La sua umanità era implicata. Da quel giorno ogni nostra mail tra Roma e Buenos Aires si concludeva con la sua richiesta di preghiere accompagnata dall’assicurazione che lui chiedeva alla Madonna di accompagnarmi. Quale non fu dunque la mia emozione la sera del 13 marzo 2013 quando – in diretta da San Pietro per il TG2 – sentii il suo nome e poi lo vidi che chiedeva ai fedeli di pregare per lui e come lo chiedeva».
www.luigiaccattoli.it