Dibattito - Donne e Sinodo: fare le domande giuste
Il commento di una canonista
In occasione del Sinodo dei vescovi, la stampa ha dato un certo rilievo a un movimento, nato spontaneamente in diversi paesi, che chiede al papa di concedere voto deliberativo alle donne partecipanti a vario titolo ai lavori sinodali. Le sintesi giornalistiche non hanno sempre aiutato a comprendere la portata della richiesta, trattando il Sinodo alla stregua di un’assemblea democratica le cui regole escluderebbero le donne in quanto donne, mentre darebbero pieni poteri deliberativi agli uomini ancorché non vescovi.
In occasione del Sinodo dei vescovi, la stampa ha dato un certo rilievo a un movimento, nato spontaneamente in diversi paesi, che chiede al papa di concedere voto deliberativo alle donne partecipanti a vario titolo ai lavori sinodali. Le sintesi giornalistiche non hanno sempre aiutato a comprendere la portata della richiesta, trattando il Sinodo alla stregua di un’assemblea democratica le cui regole escluderebbero le donne in quanto donne, mentre darebbero pieni poteri deliberativi agli uomini ancorché non vescovi.
È forse utile chiarire i termini della questione, non per sminuire la portata del movimento Votes for catholic women, ma proprio per incanalare meglio le energie verso riforme che possano contribuire a realizzare quella sinodalità che dovrebbe dare forma alle relazioni nella Chiesa.
Coadiuvare il vescovo di Roma
Stiamo parlando del «Sinodo dei vescovi», organismo istituito per coadiuvare il vescovo di Roma nell’esercizio personale del suo ministero. Nel delicato e mai statico equilibrio tra collegialità e primato, il pontefice si avvale di tutti quegli organismi di consultazione che gli permettono d’agire in comunione e al servizio della comunione delle Chiese.
Il Sinodo, benché composto da vescovi, non ha natura deliberativa, ma solo consultiva: il papa lo convoca, il papa lo presiede, il papa alla fine decide quale valore attribuire al documento finale elaborato dall’assemblea sinodale. Quando parliamo di diritto di voto nel Sinodo dei vescovi, non dobbiamo pensare a un potere deliberativo che immediatamente faccia diventare magistero ciò che viene deliberato dalla maggioranza. Chi ha diritto di voto al Sinodo, anche se è vescovo, non fa che contribuire alla formazione del magistero papale. E proprio su questo punto è avvenuta la più importante riforma nella recentissima costituzione apostolica Episcopalis communio (EC).
Ordinariamente, il documento finale, votato dall’assemblea, deve essere successivamente approvato e quindi entra a far parte del magistero ordinario del successore di Pietro. Ora si prevede che il papa possa concedere al Sinodo potestà deliberativa; in tal caso, il documento finale deve essere solo ratificato e diventa magistero ordinario del successore di Pietro, pubblicato con le firme del papa e di tutti i membri che lo hanno votato. È questa una rivoluzione? Non proprio: la norma rafforza ed esplicita quanto già previsto dal can. 343 del Codice di diritto canonico del 1983.
Episcopalis communio certamente insiste sulla dimensione sinodale dell’esercizio del ministero del vescovo di Roma e di ogni altro vescovo; valorizza il legame forte tra ogni singolo vescovo e la Chiesa particolare che gli è affidata, stabilendo ad esempio che il Consiglio ordinario della Segreteria generale sia composto da vescovi diocesani, cioè da pastori che fanno parte di una porzione di popolo di Dio loro affidata; rafforza la fase di consultazione preparatoria e prevede che i fedeli, come singoli o associati, possano far pervenire direttamente i loro contributi alla Segreteria generale.
È in questi termini che deve intendersi la «rappresentanza» del popolo di Dio. Il Sinodo dei vescovi non è un parlamentino ecclesiale in cui i membri con diritto di voto deliberativo cercano di ottenere la maggioranza dei voti per esaudire le istanze di un partito, di una categoria di fedeli o di una linea ecclesiologica. Il popolo di Dio viene rappresentato dai vescovi in quanto questi sono in comunione con le Chiese particolari in tutte le loro componenti.
Dunque, per sua natura, l’assemblea del Sinodo «dei vescovi» non sarà mai composta da tutte le componenti del popolo di Dio, in proporzione alla loro consistenza (caratteristica, questa, di altri organismi, come i consigli pastorali).
La composizione
Eppure, anche sotto il profilo della composizione del Sinodo, non mancano le novità in Episcopalis communio: si rimanda al can. 346, che prevede che la maggioranza dei membri siano vescovi, ma decade quel limite del 15% di persone non insignite del munus episcopale previsto nei Regolamenti precedenti; quanto agli esperti che partecipano alle assemblee, non si dice più che debbano essere «ecclesiastici».
Insomma, chi può partecipare al Sinodo, oltre ai vescovi? Tutti i soggetti previsti dal can. 346 del CIC e «anche alcuni altri, che non siano insigniti del munus episcopale, il ruolo dei quali viene determinato di volta in volta dal romano pontefice». Né il Codice né EC specificano che questi «altri» debbano essere ministri ordinati, religiosi o religiose, uomini o donne. Potrebbe essere loro concesso il diritto di voto, senza distinzione di stato di vita o di sesso.
Al momento, tra i 39 membri di nomina pontificia, 10 non sono vescovi, però sono tutti presbiteri. Si poteva forse auspicare più coraggio nella nomina, magari attribuendo un ruolo più forte ai giovani e alle giovani, visto che di loro si parla? È possibile, come del resto il papa potrebbe estendere il diritto di voto anche ad altri partecipanti ai lavori sinodali, e anche in corso d’opera, per cui staremo a vedere.
C’è un precedente. Il can. 346, confermato da EC, prevede che l’Unione dei superiori generali elegga alcuni membri rappresentativi degli istituti religiosi «clericali». Perché solo questi e non anche gli istituti maschili laicali e tutti gli istituti femminili, appare evidentemente una norma irrationabilis agli stessi superiori generali, tanto che nel Sinodo del 2015 avevano eletto a sorpresa un fratello laico, il priore dei Piccoli fratelli di Gesù.
Si pensava che partecipasse come semplice consulente, ma il papa, usando legittimamente le sue prerogative, gli concesse a sorpresa il diritto di voto. Anche in occasione del Sinodo 2018 l’Unione dei superiori maggiori ha designato due fratelli laici. Appare evidente che sarebbero da riformare i cann. 346 e 347: basterebbe togliere l’aggettivo «clericali» e, per prevenire dubbi, specificare che lo stesso diritto di elezione è in capo ai superiori e alle superiore generali.
Questo sarebbe sufficiente a rispondere alle istanze dei movimenti che chiedono un allargamento del diritto di voto nel Sinodo? Evidentemente no, evidentemente la posta in gioco è più seria e più alta.
Dalle donne una domanda radicale
Forse il Sinodo dei vescovi non è l’istituto adatto a raccogliere le esigenze che questi movimenti esprimono: continuerà a essere un organismo composto per la maggior parte da vescovi, dunque a larga composizione maschile, e avrà sempre una funzione prevalentemente consultiva.
Questo non deve distoglierci dall’accogliere con profonda gratitudine la domanda che sta dietro lo slogan «Votes for women». È dalle periferie che la Chiesa viene mossa e sospinta dallo Spirito. Le donne sono una periferia che chiede partecipazione, chiede di potersi mettere in gioco con passione, che chiede non una rappresentanza politica (non esiste un partito delle donne che voterebbe compatto se investito del diritto di voto in un Sinodo), ma chiede di essere visibile, di prendere autorevolmente la parola, perché altrimenti siamo tutti più poveri.
Questo movimento è un bellissimo dono dello Spirito che potrà contribuire a generare nuove forme sinodali, nuovi istituti, o il rinnovamento di prassi antiche (si potrebbero ripensare i concili particolari? Si potrebbero introdurre consigli a partecipazione democratica come già avviene negli istituti religiosi?).
Con gratitudine accogliamo l’entusiasmo di movimenti femminili che con nuova energia, assertività e autorevolezza innestano processi creativi.
Ci sarebbe piuttosto da chiedersi: dove sono i laici uomini? Si sentono già sufficientemente rappresentati da organismi a larga componente clericale? Non credono che la loro esperienza di vita dovrebbe contribuire al discernimento comunitario?
E infine una domanda, quella che brucia più di tutte. Non si vede un analogo movimento nel mondo giovanile, tra quei giovani per cui si sta celebrando il Sinodo? Non si saranno già silenziosamente allontanati, i ragazzi e le ragazze che non si sentono rappresentati e ascoltati nei processi decisionali, nelle strutture istituzionali e nel linguaggio di una Chiesa clericale?
Donata Horak*
* Il testo di Donata Horak, docente di Diritto canonico, che qui pubblichiamo è apparso con il titolo «Le regole del Sinodo, le domande delle donne», sul blog a cura del Coordinamento delle teologhe italiane Il regno delle donne, https://bit.ly/2Omnu4j l’8 ottobre 2018.
A p. 522: dal monologo Sic transit gloria mundi di Alberto Rizzi con Chiara Mascalzoni. Produzione: Ippogrifo – Verona, 2016.