Italia - Bologna: rideclinare la speranza
Intervista a mons. Matteo Zuppi
Primato della Parola, centralità dell’eucaristia, urgenza della carità: attorno a questi tre punti nodali si snoda sia la visita che papa Francesco ha compiuto alla Chiesa di Bologna il 1° ottobre scorso sia la lettera pastorale che mons. Zuppi ha inviato, a conclusione del Congresso eucaristico diocesano, alla Chiesa e alla città di Bologna.
Primato della Parola, centralità dell’eucaristia, urgenza della carità: attorno a questi tre punti nodali si snoda sia la visita che papa Francesco ha compiuto alla Chiesa di Bologna il 1° ottobre scorso sia la lettera pastorale che mons. Zuppi ha inviato, a conclusione del Congresso eucaristico diocesano, alla Chiesa e alla città di Bologna.
– Mons. Zuppi, qual è la priorità?
«La centralità dell’eucaristia. Qui si rivela il mistero cristiano e la sua proiezione sulla città degli uomini. L’eucaristia è la presenza di un Dio che continua a spezzarsi e versarsi per i suoi e per quei “tutti” ai quali pensa e che ci affida. L’eucaristia è la Pasqua di Gesù che raggiunge in ogni tempo tutti i luoghi della storia, anche della nostra storia, misera e contraddittoria com’è. L’eucaristia si fa storia e ci insegna a entrare nella storia. È la concreta modalità con cui l’amore di Dio, nel sacrificio di Cristo, si rende presente e opera nel nostro cammino. Come potrebbe non riguardare anche noi, questa nostra città, la sua vita, le persone che l’abitano? Essa ci aiuta a incontrarle con i sentimenti di Gesù, con la sua stessa misericordia, l’unica che permette di vederle.
Dall’eucaristia, poi, al primato della Parola. Essa riguarda l’interiorità della fede che si nutre della Parola. Diceva san Giovanni Crisostomo che per “diventare cristiani adulti occorre imparare l’intimità con le Scritture”. Come Chiesa di Bologna, nel prossimo periodo, dovremo andare alla scuola della Parola, metterla in cattedra, ascoltarla, meditarla, impararla, viverla.
La Parola sine glossa, esigente e personale, possibile e umanissima, deve diventare una buona prassi pastorale. È creativa e ci trasformerà come noi non riusciamo a immaginare. È lei che aprirà tutti i piani e i programmi e non viceversa, perché ci fa correre come i due discepoli di Emmaus, facendoci ardere il cuore d’amore. La Parola genera speranza, è la nostra scuola d’identità.
Poi l’urgenza della carità. Che è l’urgenza della storia. Attraverso la carità percepiamo l’urgenza della vita. Quando Gesù dice ai discepoli di fronte alla folla: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mt 14,16), dice: siate voi stessi Vangelo. Non è vero che c’è sempre tempo. Gesù ha il tempo e l’urgenza della nostra fame. Pensa la misericordia a partire dalle attese della gente, non da quello che noi abbiamo o possiamo dare. Questo è Vangelo vivo, che accoglie, assiste, accompagna.
Allora dall’eucaristia si arriva alla carità. Nei momenti di divisione l’eucaristia diventerà luogo di pace e di unità; quando tanti immigrati cercano ospitalità e inserimento, l’eucaristia sarà accoglienza; di fronte al dolore, alla povertà, alla miseria morale, sarà il risveglio della speranza. La carità va allora alla ricerca d’ogni uomo, soprattutto di quelli che Dio privilegia: gli scarti della società. A essi dice che nulla è perduto. Il card. G. Lercaro voleva fosse incisa sugli altari la scritta: “Se condividiamo il pane celeste come non condivideremo il pane terreno?”. E la bellissima immagine del pranzo in San Petronio con il papa e più di mille fratelli più piccoli di Gesù ci mostrava concretamente le due mense che dobbiamo apparecchiare».
Pane e pietre
– Nella sua lettera – intitolata Non ci ardeva forse il cuore?, consegnata il 4 ottobre (nel prossimo numero di Documenti) – ricorda anche i mali e le difficoltà della città: la crescita di nuclei di singoli, il disagio giovanile, la crisi del lavoro e della famiglia, le zone d’illegalità. Un suo predecessore, il card. G. Biffi, aveva parlato di città «sazia e disperata». Oggi Bologna è forse meno sazia?
«I mali sono una condizione, non l’orizzonte. Le analisi possono essere anche le più dure. Bologna somiglia a molte altre città del mondo, non solo d’Italia. L’elenco dei mali, delle difficoltà va poi aggiornato. Ma non ci si può limitare a questo. Non posso dimenticare, senza ignorare il rischio delle facili indulgenze, il severo monito di papa Francesco a non trasformare le pietre in pane, né il pane in pietre.
Tra l’altro dobbiamo anche domandarci che cosa abbiamo fatto noi. È la vera preoccupazione di carattere pastorale che ci viene chiesta: come raggiungere la folla che aspetta? Ho riflettuto spesso sulle parole dei miei predecessori e, pur riconoscendo la verità interna del loro insegnamento, sento oggi urgente pronunciare un’altra parola: speranza. Da essa tutto può rinascere. A noi Gesù oggi dice quel che ha detto a Nicodemo: che si è generati dall’alto, dallo Spirito, che dunque si può rinascere dall’alto (cf. Gv 3,1-21). Lui era scettico, ma serio analista di se stesso, consapevole e non ipocrita. Sa di essere vecchio e pensa sia impossibile rinascere».
– Tra vent’anni Bologna sarà ancora cristiana?
«Se sapremo trasportare la fede nelle scelte della vita, se sapremo ravvivare il dono di Dio che è in noi, se sapremo incontrare tutti senza paure, gratuitamente, allora sì. Se ci trinceriamo dietro le abitudini, dietro la difesa di noi stessi, se diveniamo settari allora non lo so. Ma io ho speranza.
Papa Giovanni XXIII metteva in guardia dai profeti di sventura. Questi non sono finiti con il Concilio. Anzi. Ognuno di noi lo è quando vede solo “rovine e guai”, afferma che i nostri tempi sono peggiori del passato e che non si ha nulla da imparare dalla storia, come se in passato tutto procedesse felicemente quanto a dottrina cristiana, morale, giusta libertà della Chiesa. Noi dobbiamo vedere i “misteriosi piani della divina Provvidenza”, che spesso al di là delle nostre aspettative dispone tutto, “anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa”.1 Ecco la speranza!
C’è un passaggio della Dei Verbum che mi ha sempre impressionato. Quello che dice che con l’assistenza dello Spirito “cresce la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro, sia con la profonda intelligenza delle cose spirituali di cui fanno esperienza, sia per la predicazione” dei vescovi che hanno ricevuto il “carisma sicuro di verità” (n. 8; EV 1/883).
È tutto il popolo di Dio che è convocato e la sua formazione è fatta di riflessione e d’esperienza nella Chiesa al ritmo dello Spirito. Solo così la Chiesa può crescere, come ha sempre fatto, attraverso i suoi maestri e testimoni, lungo la storia. Papa Francesco ci dice di stare al ritmo dello Spirito e seguirne la creatività».
Un nuovo cristianesimo sociale
– Nella lettera lei indica un orizzonte di profonda ristrutturazione delle parrocchie e delle chiese a livello di vicariati. Ha in mente le «unità pastorali»?
– «Sarà una riflessione che faremo assieme, sinodalmente, con tutta la nostra Chiesa. Certamente la situazione attuale non dà più quel che dava un tempo. Mancano i sacerdoti; è cambiato il volto urbanistico della città e il suo rapporto con le zone circostanti, la pianura e la collina; è cambiata la conformazione sociologica del tessuto urbano. Dovremo tenere conto dei cambiamenti, nel rispetto delle fatiche dei sacerdoti e dei religiosi.
Dovremo approntare una figura snella di presenza della Chiesa nei diversi territori, d’aiuto reciproco tra sacerdoti e tra religiosi, fatto di condivisione delle risorse e maggiore sussidiarietà. Occorre un maggiore coinvolgimento di tutto il popolo di Dio, a cominciare dai laici. Anche le risorse culturali della nostra Chiesa andranno coltivate e valorizzate.
Troveremo le risposte, però, non pensandole a partire dalle necessità e nemmeno da un disegno interno ma solo con la conversione missionaria e pastorale. Questa è la grande intuizione di papa Francesco: la Chiesa trova se stessa uscendo, non chiudendosi, se pensa alla moltitudine, non al proprio “condominio”».
– Quale bilancio tracciare della visita del papa a Bologna e Cesena da un punto di vista pubblico e civile?
«A Cesena il papa ha fatto un discorso anche di natura civile e politico; da noi è intervenuto sui temi sociali e culturali. Potremmo dire che vi sia un significato generale di ripresa dell’impegno sociale del cristiano che viene indicato dal papa nelle sue diverse visite alle Chiese in Italia. Una sorta di nuovo cristianesimo sociale.
So che storicamente l’espressione può sembrare ambigua, ma c’è nei diversi appelli del papa – è stato così anche a Firenze, nel suo discorso per il V Convegno nazionale della Chiesa italiana – la preoccupazione che al nostro paese non venga meno il contributo critico dei cattolici in ogni settore della vita pubblica: dalla società civile, all’economia, all’università, alle istituzioni politiche.
Credo che sia un appello da mettere in pratica con urgenza e con la castità delle parole, cioè evitando che diventino slogan o portino a noia perché non si traducono in percorsi e storie. Certo è necessario un profondo ripensamento. Indicando i tre diritti su cui sognare e sacrificarsi – alla speranza, alla cultura e alla pace – ha chiesto all’università di essere se stessa e di non tradire l’umanesimo che eredita e che può aprire il futuro. E le tre parole che ci ha lasciato al termine della santa messa – “pane”, “Parola” e “poveri” – sono una sintesi efficace e possibile per tutti.
Abbiamo bisogno di una lucida e consapevole lettura della nuova situazione, senza distanze da “salotto” e senza cedere alle sirene del consumismo culturale. “Oggi – ha detto Francesco – non abbiamo bisogno di chi si sfoga strillando, ma di chi promuove buona cultura. Ci servono parole che raggiungano le menti e dispongano i cuori, non urla dirette allo stomaco”.2
Forse c’è un nuovo profondo lavoro di formazione e d’educazione da compiere. Forse serve una maggiore libertà del laicato, affinché rischi i propri talenti. Ma non possiamo abdicare alla nostra responsabilità civile come Chiesa e come singoli. Senza la presenza pubblica dei cattolici l’Italia non sarà un paese migliore».
a cura di
Gianfranco Brunelli
1 Giovanni XXIII, discorso Gaudet mater Eclesiae nell’apertura del concilio ecumenico Vaticano II, 11.10.1962, 4, 2-4: AAS 54 (1962), 789; EV 1/41*.
2 Francesco, Incontro con gli studenti e il mondo accademico, 1.10.2017.