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Attualità
Attualità, 14/2017, 15/07/2017, pag. 447

Biffi contro Dossetti e la monaca che li legava

Cosa insegnano le Lettere a Emanuela Ghini

Luigi Accattoli

A metà giugno sono stato tra i presentatori, all’Archiginnasio di Bologna, del volume del cardinale Biffi Lettere a una carmelitana scalza 1960-2013 (Itaca editore) ed è stata un’avventura con piccoli insegnamenti che provo a mettere in fila.

A metà giugno sono stato tra i presentatori, all’Archiginnasio di Bologna, del volume del cardinale Biffi Lettere a una carmelitana scalza 1960-2013 (Itaca editore) ed è stata un’avventura con piccoli insegnamenti che provo a mettere in fila.

Quando Adriano Guarnieri, portavoce dell’arcivescovo Zuppi, mi ha telefonato per invitarmi ero pieno di meraviglia. Conoscevo Guarnieri solo per telefono da quasi trent’anni, cioè da quando il cardinale Biffi lo volle portavoce nel 1988 e tale poi è rimasto con Caffarra e con Zuppi. Telefonate tutte mie, nei decenni, per chiedere colloqui con i due cardinali e sue risposte tutte uguali: niente da fare. Ero così stupito dal sentirmi chiedere qualcosa che subito ho detto di sì.

Ricolloca «padre Giacomo»
sulla scena d’Italia

C’erano altri motivi per accettare l’invito. Sono amico d’ambedue gli autori del volume: incontrai la prima volta Biffi all’indomani della nomina a Bologna (1984) e sono in corrispondenza con Emanuela Ghini – la monaca destinataria delle lettere e curatrice del volume – da un trentennio. Ho consuetudine con il cardinale Caffarra e con l’arcivescovo Zuppi che firmano la Prefazione e la Postfazione, nonché con i due presentatori che all’Archiginnasio hanno parlato prima e dopo di me, Lucetta Scaraffia e Giuliano Ferrara, già compagni di scrivania o di pagina al Corriere della sera. Forse non mi è mai capitato di leggere un libro in compagnia di tanti amici.

Al microfono ho dato un’impressione generale sul volume, ho tentato un approfondimento del conflitto Biffi-Dossetti e ho abbozzato un’applicazione all’oggi.

L’epistolario aiuta a ricollocare Biffi sulla scena della vita pubblica italiana. Ci mette per 53 anni in presa diretta con un uomo che non era facile conoscere da lontano. Chiunque legga le 300 pagine entra nella schiera di quanti ebbero la fortuna di conoscerlo da vicino e d’amarlo almeno un poco. O d’apprezzarne le attitudini: io ero tra questi.

Giacomo Biffi non era riconducibile alla figura di «vescovo reazionario» su cui amava motteggiare (101 e 145) e che i media hanno fatto propria e hanno ingigantito fino a oscurare ogni altro aspetto. Il libro apre sugli altri aspetti.

Ma la lettura è anche una festa della lingua perché i due autori, Biffi e Ghini, sono veri scrittori che ricorrono all’arte della scrittura per capirsi, per collaborare, per restare vicini in vicende che tendono ad allontanarli.

Il volume ha 128 lettere di Biffi e 17 della Ghini e documenta come, nei decenni, tra loro crescano sia l’affetto sia le divergenze. La coltivazione dell’amicizia li avvicina mentre alcuni convincimenti confliggono in maniera via via più chiara. Il maggior dramma arriva alla fine con lo scontro su Dossetti.

L’originalità e la forza della scrittura di Biffi è nota. Ne do un saggio. Quando incontra per la prima volta papa Wojtyla, Biffi lo descrive così a Emanuela: «È davvero un uomo magnifico: riesce a incantare anche me, con l’affabilità, la bontà, la scioltezza dalle forme, con le splendide risonanze di una bellissima voce, con l’intelligenza degli occhi» (25). Evidenzio «intelligenza degli occhi».

Anche per Emanuela offro un saggio di scrittura: «Il tempo di Dio è sempre una grande medicina, così ho lasciato che il Signore mi consolasse per l’immenso dolore che mi hanno dato molte delle sue parole sul santo Giuseppe Dossetti. Da anni mi pare di non aver sofferto tanto; ho perfino pianto, io che ignoro purtroppo il dono delle lacrime» (252s). Segnalo «il tempo di Dio».

Deplorazione post mortem
della teologia di don Giuseppe

Ed eccomi introdotto, dalla citazione della carmelitana, al secondo tema della mia presentazione. Tra le vicende anche aspre della cattolicità italiana al cambio del millennio, una delle più drammatiche è stata la deplorazione post mortem della teologia di Dossetti da parte del cardinale Biffi: questo fatto è al cuore del carteggio.

Dossetti muore nel 1996 e Biffi gli sopravvive per quasi vent’anni. In vita avevano collaborato, ma dopo aver lasciato nel 2003 l’episcopato attivo, il cardinale rivede il proprio giudizio e consegna all’autobiografia (Memorie e digressioni di un italiano cardinale, Cantagalli, Siena 22010) una stroncatura della teologia dossettiana che reputa «non conforme alla Rivelazione» e «ideologicamente condizionata» (256).

Dal silenzio del monastero Emanuela prende la difesa di don Giuseppe che ora «non aveva più la possibilità di spiegarsi» (250). Prega il cardinale d’interrogarsi «se non sarebbe stato meglio ancora farlo [pubblicare quelle “pagine dure”; nda] con un Dossetti in vita» (267). Nega che don Giuseppe nella sua ricerca di Dio si sia lasciato condizionare dall’ideologia: può aver «rischiato di incorrere nella tentazione dell’ideologia», ma «ritengo non vi sia caduto» (ivi). Gli chiede d’inviare un cenno di «calore umano» ai consacrati delle «famiglie» dossettiane sconcertati dal contenuto delle Memorie (283). Il cardinale resta irremovibile.

La carmelitana considera Biffi un maestro, ma è figlia spirituale di Dossetti, che l’ha iniziata alla vita monastica. La sua protesta a nome dell’uno nei confronti dell’altro è ardimentosa: «La mia sofferenza non include assolutamente alcuna valutazione dei suoi giudizi (…) Neppure sul modo mi permetto di esprimere riserve; la mia desolazione ha ragioni molto più profonde, indicibili. Chiedo allo Spirito (…) di fargliele intuire, perché anche lei possa pregare per me» (253).

Una prospettiva generosa
ma non illuminata

Emanuela è un’interlocutrice impegnativa per il cardinale, anzi una collaboratrice: ha curato tre antologie di suoi testi. Ma soprattutto si vogliono bene e da decenni si aiutano con la fedeltà dell’amicizia a crescere nella fedeltà alle rispettive vocazioni. Tant’è che il cardinale è indotto a giustificarsi.

Confida alla monaca che anche per lui «è stato drammatico» affrontare nelle Memorie «il “caso ecclesiale” di don Dossetti». Ricorda che don Giuseppe «è entrato nella mia vita intellettuale quando non avevo ancora vent’anni e non ne è uscito più». Rivendica la «stima reciproca che non ha avuto ombre», la sua concessione dell’approvazione canonica alla comunità dossettiana «alla quale ho anche affidato (…) la custodia orante dei luoghi sacri di Monte Sole».

Ed ecco il punto dolente: «Sulla virtù personale di don Giuseppe, sulla sua ascesi, sulla sua rigorosa coerenza cristiana ho dato nelle mie pagine attestazioni convinte e inequivocabili. (…) Tanto più è stato angosciante l’avvedermi che la sua visione teologica (e particolarmente la sua ecclesiologia) non mi pareva conforme alla Rivelazione ed era ideologicamente condizionata. E mi sono reso conto che toccava a me (…) l’ingrato compito di un chiarimento che potesse almeno per il futuro limitare i gravi inconvenienti di una prospettiva non oggettivamente illuminata, anche se soggettivamente generosa» (255s).

Non ha realmente conosciuto
il santo monaco

Ma come Biffi non si sposta nonostante la protesta della monaca, neanche questa si accontenta della giustificazione del cardinale e così chiude la trattazione della vicenda, narrando di una telefonata: «Avvertii che padre Giacomo – sempre si rivolge a lui con questo appellativo filiale – aveva capito la mia critica alle sue crude riserve su Giuseppe Dossetti come mossa solo dall’amicizia. Sono convinta che non abbia realmente conosciuto il santo monaco di Monteveglio e Monte Sole e che d’altra parte abbia creduto di adempiere alla sua missione agendo come ha fatto» (258).

Con la stessa fermezza la monaca difende dai giudizi affettuosi e aspri del cardinale il vescovo Luigi Bettazzi, anch’egli amico di ambedue fin dalla giovinezza: Bettazzi, assistente della FUCI di Bologna, e compagno d’università della giovane Ghini dai suoi 19-20 anni, aveva invitato Biffi a tenere una conferenza in città «verso il 1960» (16).

Per Biffi il confratello vescovo Bettazzi è un uomo di «bontà e candore» che «non riesce a vedere la devastazione che si va compiendo in questi anni nella cristianità» (111). Parole taglienti per la monaca che ama «don Luigi», primo sacerdote entrato nella sua vita e a cui deve il Vangelo.

Dal carteggio apprendiamo che ci fu una faccia drammatica nella deplorazione post mortem di Dossetti da parte di Biffi che ci era finora sconosciuta. Apprendiamo anche che due uomini di Chiesa così diversi possono avere a discepola una donna che riesce a tenerli uniti nel cuore nonostante il loro oggettivo conflitto. Una donna e chissà quanti altri, uomini e donne, in Bologna e altrove, che continuano a considerarli ambedue – Dossetti e Biffi – «padri» pur nel conflitto. Che in questo caso è un conflitto delle memorie più che delle persone.

L’amicizia può crescere
nonostante il conflitto

L’epistolario mostra che l’apprezzamento e l’amicizia possono sussistere e crescere nonostante il conflitto ed è un insegnamento di pregio negli anni di papa Bergoglio, di sicuro i più conflittuali che abbiamo conosciuto dopo la chiusura del Vaticano II. Un conflitto destinato a crescere. Conviene attrezzarsi.

Forse le parole più significative sulla possibilità di aiutarsi nel conflitto sono queste, che Emanuela scrive a «padre Giacomo» il 21 ottobre 2009, in uno dei momenti tesi dello scontro su don Giuseppe: «Non so dirle quanto sgomento da un lato e serenità dall’altro mi dia la percezione del limite umano nelle persone più amate e più importanti per il mio cammino cristiano. Lacera, ma è bello, lui solo è luce; tutti, anche i maestri, ne sono pallidi riverberi» (267s).

Per profittare delle diversità irriducibili occorre relativizzarle: è questa la lezione del carteggio. Si tratti pure delle eredità di maestri come Dossetti e Biffi.

 

www.luigiaccattoli.it

Tipo "Io non mi vergogno del Vangelo"
Tema Attualità ecclesiale Cultura e società
Area EUROPA
Nazioni

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