Comunione anglicana: il primato del legame
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Il tema indicato dal titolo di queste mie riflessioni fa tornare in mente il verso con cui Dante, nel XXXIV canto dell’Inferno, descrive il proprio sgomento di fronte a Lucifero: «Io non mori’, e non rimasi vivo».
Northrop Frye, nel 1982, definì la Bibbia come un «grande codice» culturale, per dire che è stata e continua a essere un immenso repertorio da cui artisti, narratori, poeti, musicisti, filosofi, studiosi di tante discipline umanistiche, ma anche scientifiche, hanno ricavato e non cessano di trarre le loro immagini, i loro simboli, i loro concetti, i loro principali e più suggestivi riferimenti ideali, etici, estetici.
«La teologia del dialogo interreligioso non è una passeggiata. Ed è incardinata proprio sul tentativo di risemantizzare parole conflittuali, la più terribile delle quali – assieme a guerra – è “arma”: la verità è amore, e l’amore è l’arma vincente nel dialogo interreligioso, che per suo statuto è del tutto disarmato e disarmante». Nel corso di questo contributo intitolato «Le armi del dialogo: risemantizzare i linguaggi conflittuali», tenuto come introduzione al seminario «Armiamo la pace: per una nuova ermeneutica dei linguaggi religiosi» il 30 aprile scorso a Palermo presso la Facoltà teologica di Sicilia, il teologo Massimo Naro ha definito in vari modi il concetto-chiave dell’intero seminario, e cioè la «risemantizzazione». Significa, dice l’autore in riferimento ad alcuni detti di Gesù, «contestualizzare le parole, anche le più puntute e pungenti, per farne risaltare un altro senso, il senso altro»; far leva sulla loro «ambiguità (…), coglierne la virtù, trasfigurarla in un sovrappiù di senso, traducendo la tenacia in tenerezza»; e «innanzitutto, non esclusivamente dotarle di inediti significati, ma recuperarne e precisarne il senso originario». Oltre ad «arma», «armare», il testo porta altri esempi di parole che ricorrono tra le religioni: «dialogo» e «diverbio», «tra», «confronto» e «confine», «ospitalità», «digiuno» e infine «silenzio». Che, «allorché assorbe le grida, i pianti, le suppliche di chi patì nel Lager», è «come quello di Dio, anzi che... è condiviso con Dio e che, più radicalmente, coincide con Dio».
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