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Il Regno delle Donne

Essere uomini: una questione di storia e di percezione

Dopo le riflessioni di Fabio Colagrande e di don Marco Uriati un altro intervento sulla soggettività maschile, che sottolinea il bisogno di un discorso antropologico e teologico in cui gli uomini possano dirsi evitando astrattezza e autoreferenzialità.

Visito i Musei Vaticani e noto la capigliatura dibattuta dell’Apollo nel Cortile Ottagono: perché tenta quasi un avvicinamento del maschile e del femminile e perché il riferimento mi è utile per proseguire la riflessione sul maschile che questo blog ha avviato.

Quello delle identità sessuate è un tema centrale, incluso per la teologia. Tuttavia, non si tratta più solo di una questione di integrazione delle identità, ma di una questione di percezione del soggetto rispetto al suo pensare. Storicamente, è un momento successivo al riconoscimento della parità tra i sessi, dopo che l’idealizzazione del maschile ha causato la difficoltà di rilevazione dei coinvolgimenti culturali e sociali nei maschi. Ma questo ha ingenerato anche un rapporto di derivazione del femminile, ovvero un modo di definire il femminile alla luce del maschile.

Ognuno è anche storia

La prima considerazione è di ordine antropologico, ovvero l’importanza della storia personale dei soggetti. Intendo dire che ognuno è anche storia (ricevuta, vissuta, sognata…), che è il motivo per cui le interazioni umane sono mediate e alcune questioni attendono di essere affrontate con il coraggio dei limiti riconosciuti. Ciò è vero sia che si guardi alla postura maschile generalmente intesa, sia che ci si accorga dell’opportunità di una questione maschile nel contesto teologico.

Nella società, il maschile comincia ad accusare una sorta di indeterminazione per un’identità che si sa esistere, ma sulla quale si è smesso di avere parole. In passato, l’identificazione coincideva con l’assorbimento naturale dell’ordine ereditato e condiviso, a proposito del quale sembravano perfino mancare le ragioni di una messa in discussione. Oggi, al contrario, il maschio è tendenzialmente “uno che insegue”, in quasi tutti i contesti di vita.

Quello della Chiesa è un contesto curioso. In un certo senso, rappresenta il baluardo di un’identità maschile che è configurabile nel diritto di parola autorevole e nella potestà canonica. L’importanza di questo argomento per la percezione maschile può essere vista nel caso della formazione dei futuri presbiteri, sulla quale occorre sempre una pluralità di competenze allo scopo di ragionare intorno alle motivazioni dei candidati.

L’immagine nella corrispondenza

La seconda considerazione è di ordine teologico. Se l’immagine di Dio è inscritta in un’alterità simboleggiata dal rapporto tra corrispondenti, come si vede nel racconto di creazione, nel caso degli uomini è ancora rilevabile una strana uniformità nelle aspettative e nelle abitudini, che annulla o può annullare il mistero dell’essere umano e il valore che l’incontro con l’altro ha nella costruzione del proprio sé. Ciò ha praticamente smesso di esistere per le donne. Nel mondo femminile è nota la liberazione da tutta una serie di costruzioni stereotipate e la coraggiosa presa di posizione sulle differenze nelle identità personali.

L’assenza di una riflessione teologica sul maschile è diventata ora più percepibile che in passato: quei temi rimasti in silenzio oggi hanno un peso per gli uomini e per il rapporto tra i due sessi. Potrebbe essere un momento di inversione per un nuovo tipo di relazionalità e di pensabilità di genere, ad esempio nel senso di un’attenzione alle questioni circa il desiderio, il disagio, la reciprocità o l’affettività, ma serve la responsabilità di uomini che diventino capaci di dirsi e di dire chi sono o chi vogliono essere.

Un pensiero della percezione è necessario, e non solo perché è qualcosa di scarsamente avvertito tra i maschi, ma perché è anche e principalmente un modo di accorgersi della finitezza di ogni pensiero umano. Teologicamente, è il significato essenziale delle prospettive sulle differenze. In questo senso, l’Apollo del Belvedere sembra dire qualcosa dell’inscindibilità delle identità sessuate e della necessità per ciascuno di calarsi nella propria realtà empirica.

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