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Moralia Dialoghi

Serve ancora l’Europa? E il cristianesimo?

Un primo accenno, che non posso approfondire in questa occasione, è a chiedersi che cosa sia «Europa»: quando ne sia sorta la nozione, quali ne siano stati considerati, via via, i confini nel corso del tempo, dai lontani riferimenti nell’antichità all’indefinita area collocata a Nord del mare Mediterraneo, al primo precisarsi di un progetto politico-culturale di Europa con l’Impero carolingio – in realtà un’Europa corrispondente grosso modo a una parte di ciò che attualmente viene definita Europa occidentale – seguito poi dalla societas christiana medievale ecc.

La questione non è banale: a tutt’oggi, per limitarsi a minimi esempi, si discute se l’area del Caucaso e l’Anatolia debbano essere considerati parte dell’Europa; mentre Israele fa parte di numerose associazioni europee culturali e sportive e, in misura minore, un simile coinvolgimento riguarda alcuni paesi africani o del Vicino Oriente che si affacciano sul Mediterraneo.

L’idea di un’Europa unita è stata da oltre un millennio una suggestione e un progetto che hanno avuto nella storia diverse realizzazioni, nei termini di unificazione come esito di un processo di conquista militare e di dominio politico.

Questo permette di cogliere un primo tratto innovativo del progetto sviluppatosi sulle macerie della Seconda guerra mondiale (che, come già la prima, è per certi versi soprattutto una tragica «guerra civile» europea) e confluito nell’attuale Unione Europea: il moderno processo di unificazione dell’Europa sorge come progetto tra paesi che si riconoscono pari dignità e diritti, con lo scopo di favorire la pace, la cooperazione, il benessere e lo sviluppo tra di essi.

L’Unione Europea: tappe di un percorso recente

Eccone le principali tappe.

  • I Trattati di Roma (1957) tra Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, i primi sei membri di quella che assume il nome di Comunità economica europea (CEE), dopo che nel 1951 gli stessi sei paesi avevano dato vita alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA).
  • L’adesione della Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito nel 1973, della Grecia nel 1981, del Portogallo e della Spagna nel 1986.
  • Il passaggio all’elezione diretta, a suffragio universale, del Parlamento europeo, nel 1979.
  • L’entrata in vigore nel 1993 del Trattato di Maastricht, che ha creato l’Unione Europea (UE) fra i dodici paesi allora aderenti e ha previsto l’introduzione di una moneta unica, l’euro (2002).
  • Le ulteriori adesioni all’UE di Austria, Finlandia, Svezia (nel 1995), Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Cipro, Malta (2004), Bulgaria e Romania (2007), Croazia nel 2013, per un totale di 28 stati membri.
  • Il Trattato di Lisbona (in vigore dal 2009) che, dopo il fallimento del tentativo di introdurre una Costituzione per l’UE, ha previsto tra l’altro un presidente permanente del Consiglio europeo e la creazione dell’alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
  • Nel frattempo la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen ha comportato l’apertura delle frontiere e la libera circolazione degli individui e delle merci nei territori dei paesi firmatari.
Dalla centralità europea alla globalizzazione

Il processo d’integrazione europea s’inserisce all’interno di trasformazioni planetarie, che hanno portato a una perdita di centralità e via via a una marginalizzazione dell’Europa.

Il XIX secolo è stato definito il «secolo europeo», ma già a metà del Novecento la situazione era cambiata profondamente, in primo luogo a causa delle due guerre mondiali, con una decisa perdita di rilevanza del cosiddetto «vecchio continente».

Puntare a un’integrazione tra paesi europei è diventata la via intrapresa per assicurare un futuro all’Europa e ai suoi popoli. Oggi, anche per un’eccessiva concentrazione delle istituzioni europee sugli aspetti economico-finanziari, si sono perse di vista le significative correlazioni tra pace, sviluppo economico, benessere.

Ma come è difficile immaginare condizioni di pace durature in situazioni di gravi difficoltà economiche, è altrettanto arduo pensare che se lo sviluppo economico non si traduce in benessere diffuso per tutti gli individui coinvolti nel processo d’integrazione tra paesi europei, quest’ultimo possa incontrare un consenso diffuso e avere un futuro.

Il fenomeno della perdita di centralità dell’Europa – di cui non tutti gli europei hanno ancora una piena consapevolezza –, è stato ulteriormente accentuato dalla globalizzazione.

Questo però non priva l’Europa della possibilità di svolgere un suo ruolo nel tempo presente. Infatti la sua storia recente, in mezzo a non poche difficoltà e contraddizioni, ha portato a una lunga fase di pacificazione tra popoli e nazioni che erano risultati fra i più bellicosi del pianeta.

Inoltre, per quanto oggi profondamente messa in discussione da visioni tecnocratiche, nel contesto europeo sopravvivono importanti esperienze di matrice umanistica, di origine soprattutto filosofica, religiosa o più latamente culturale (spesso esiti di intrecci di queste tre dimensioni).

Per quanto a lungo caratterizzate, nel corso dei secoli, da un’autoaffermazione di sé stesse come uniche autentiche modalità di realizzazione della vita umana e da conseguenti propensioni di tipo proselitistico e colonialistico (i cui esiti segnano pagine tragiche nella storia dei paesi europei), più di recente una crescente rivisitazione critica di queste esperienze ha reso, almeno in parte, l’Europa e i suoi abitanti relativamente più propensi alla tolleranza, all’esperienza del pluralismo culturale, politico, filosofico-religioso.

Esperienze e consapevolezze che sarebbe un errore volere riproporre a livello planetario come un’ulteriore, tardiva concretizzazione della «civiltà europea», ma che, se vissute come contributo tra i possibili nell’ambito della più generale storia dell’umanità del XXI secolo, possono assumere un significato di indubbia importanza.

Rimpiangere una «civiltà europea» o collaborare da europei al futuro del pianeta?

Nonostante l’attuale crisi delle forme di partecipazione politica, non poco del futuro dell’Europa è nelle mani degli europei (intesi come tutti coloro – siano essi dotati o meno di cittadinanza europea – che vivono in Europa).

Il rischio di leggere in modo dolente la marginalizzazione dell’Europa come un declino cupo e inarrestabile è uno degli esiti possibili, cui si accompagnano nostalgie per un passato ormai lontano di cui si dimenticano troppo facilmente limiti e tratti negativi. Ma un’assunzione critica del passato e del presente può portare ad altri approdi.

Soffermiamoci, per esempio, sul ruolo del cristianesimo e delle Chiese cristiane in Europa – un caso marginale, per quella che ne è l’odierna percezione collettiva –.

Questa fondamentale esperienza della storia europea sembra segnata da un destino di progressiva marginalizzazione e scomparsa. Di conseguenza una parte dei suoi protagonisti odierni indulge a giudizi drastici sulla storia recente dell’Europa. Se considerassimo altrettanto superficialmente, nel cattolicesimo romano, lo spazio che l’attuale pontefice, Francesco, dedica all’Europa e alle sue Chiese, potremmo avere l’impressione di trovarvi una conferma di questo apparentemente inesorabile declino, dato che, dal magistero alle scelte pastorali, per il papato oggi non è l’Europa a costituire il cuore della proposta cristiana e prevale invece una visione sinfonica, ecumenica, frutto della convergenza e della comunione tra prospettive segnate ciascuna anche da aspetti specifici. Considerazioni almeno in parte analoghe potrebbero essere sviluppate per altre Chiese cristiane.

Nello stesso tempo, però, è evidente come il cristianesimo in Europa sia chiamato a misurarsi con una sfida peculiare, non irrilevante – anche se non assolutizzabile – per il suo futuro a livello mondiale.

Mi riferisco a quella del ripensamento delle proprie caratteristiche nell’ambito di una società radicalmente secolarizzata, pluralista, individualizzata, che costituisce una dimensione tra le più caratteristiche dell’Europa contemporanea. Elaborare dunque l’esperienza del pluralismo religioso, filosofico e culturale e della responsabilità/scelta individuale di fronte al religioso, non in termini di perdita, accompagnata da nostalgie per una società monoconfessionale, ma come arricchimento in termini di esercizio di libertà e di comprensione più profonda del significato della vita può costituire un apporto che l’Europa odierna può offrire ad altri contesti, oggi a loro volta tentati di intraprendere vie integralistiche.

Insomma, la sfida per l’Europa e le sue istituzioni mi sembra essere quella di partecipare in modo diverso alla storia dell’umanità, a cominciare dalle relazioni con i paesi del Mediterraneo, del Vicino Oriente e dell’Africa.

È un’alternativa possibile, anche se faticosa, che risulterà meno ardua da compiere qualora sia alimentata dalla consapevolezza della propria storia, dei suoi colossali errori, ma anche delle sue fondamentali acquisizioni, e si tornino a coniugare, in modo fecondo e aperto al contesto mondiale, impegno per la pace, sviluppo economico, diffusione del benessere.

 

Giovanni Vian* è docente di Storia del cristianesimo e delle Chiese all’Università Ca’ Foscari di Venezia

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