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Moralia Dialoghi

Nella morale fondamentale: un nodo imprescindibile, una tensione feconda

L’applicazione del binomio carisma-istituzione all’etica implica anzitutto la considerazione della radice antropologica da cui tale binomio trae origine. Il suo fondamento ultimo va infatti ricercato nella persona, la cui unità originaria non implica uniformità, ma è costituita da una differenza, quella tra spirito e corpo, i quali vanno intesi non come elementi del tutto autonomi che confluiscono successivamente in unità – come vogliono le posizioni dualiste –, ma come dimensioni costitutive della stessa realtà.

La compresenza di queste due dimensioni non è tuttavia del tutto pacifica: a spirito e corpo corrispondono istanze diverse legate alla natura dell’uno e dell’altro, che danno origine a una situazione tensionale. Mentre infatti lo spirito tende al superamento dei limiti spazio-temporali e ad esaltare l’interiorità umana, e in quanto tale de-situa la persona proiettandola costantemente oltre se stessa, il corpo la situa, circoscrivendola entro uno spazio e un tempo definiti e obbligandola a fare concretamente i conti con i propri limiti. La dialettica tra le due dimensioni appare inevitabile. E tuttavia, lungi dall’assumere connotati di radicale opposizione, diventa in definitiva sorgente di reciproco arricchimento.

La tensione tra spirito e legge

Il rapporto tra carisma e istituzione affonda le proprie radici, in ultima analisi, proprio in questo dato antropologico. Se vale il principio secondo il quale agere sequitur esse, l’agire morale, in quanto espressione di un soggetto insieme spirituale e corporeo, riflette (e non può che riflettere) questa dialettica. Le dinamiche che qualificano in modo specifico l’impianto dell’eticità rinviano al rapporto tra l’aspetto soggettivo e l’aspetto oggettivo dell’agire, che viene declinato nei rapporti tra coscienza e norma, tra atteggiamento buono e comportamento giusto (o retto), tra intenzionalità ed efficacia storica; in sintesi, tra spirito e legge.

La ragione ultima della moralità va senz’altro rintracciata nel mondo interiore della persona, perciò nello spirito che anima di sé la decisione e nel quale si rende trasparente il coinvolgimento della persona nella concretezza dell’azione. Ma lo spirito, in quanto espressione della persona, che è realtà strutturalmente relazionale, esige il ricorso a un dato oggettivo – il mondo dei valori e delle norme – il quale fornisce le condizioni per il corretto sviluppo delle relazioni interpersonali. Si determina così una circolarità virtuosa tra spirito e legge; anche se si tratta di una circolarità non perfettamente bilaterale, perché il primato è dello spirito, e l’adesione alla legge costituisce un segno importante ma non univoco di valutazione della moralità.

La conferma di questo assunto viene dalla teoria dell’opzione fondamentale, la quale evidenzia con chiarezza, nella determinazione dell’eticità, l’importanza primaria del progetto di vita, ma rinvia anche alla sua necessaria mediazione nelle scelte particolari quotidiane, riconoscendo peraltro che tra le due realtà non si dà perfetta equivalenza. Le scelte particolari infatti non sono sempre e necessariamente espressione della scelta fondamentale e in sintonia con essa, la quale proprio per questo può (normalmente attraverso un processo graduale di segno opposto) venire ribaltata.

Carisma e istituzione manifestano dunque, sul terreno dell’etica, la loro indispensabile correlazione, pur nel riconoscimento della distinzione dei rispettivi ambiti e nell’ammissione della presenza di una gerarchia di valori. Questa assegnando al carisma, cioè allo spirito, il primato (non rinunciando, in altri termini, a evidenziare la priorità della coscienza, dell’intenzionalità e dell’atteggiamento buono), mette tuttavia nel contempo in luce l’importanza dell’istituzione, rendendo trasparente come la moralità comporti, nella sua piena espressione, l’implicazione dei due fattori.

La “novità” della morale evangelica

La dialettica tra carisma e istituzione trova, a sua volta, riscontro anche nell’ambito del messaggio evangelico. L’aperta polemica nei confronti del formalismo farisaico o l’affermazione che a contare nella valutazione del comportamento umano non è ciò che entra nella bocca dell’uomo ma ciò che esce dal suo cuore (Mt 15,15-20; Mc 7,15) evidenziano con chiarezza il primato assegnato dalla morale evangelica allo spirito o al mondo interiore dell’uomo.

Questo primato non implica, tuttavia, rifiuto di attenzione alla legge, la quale conserva intatta la propria validità: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (Mt 5,17). Le stesse antitesi del discorso della montagna (“Avete inteso che fu detto agli antichi… ma io vi dico”, Mt 5,21-48), che sembrano opporre la novità inaugurata da Gesù ad alcune istanze della legge mosaica, rappresentano in realtà un “portare la legge al suo compimento” (al suo pleroma). La “novità” di Gesù consiste dunque piuttosto nel dare corso a una “giustizia migliore” o “superiore” (Mt 5,20), cioè nell’adesione interiore a ciò che la legge propone, privilegiando lo spirito e incentrando l’agire attorno al comandamento dell’amore.

Il primato è assegnato in questo caso al carisma, senza che questo debba significare la rinuncia a fare i conti con l’istituzione, con gli aspetti più specificamente normativi dell’esperienza morale, che rappresentano un fattore permanente (e necessario) di confronto per l’agire umano. Il rapporto tra carisma e istituzione trova, infine, piena esplicitazione nella relazione tra le norme-precetto, che segnano il limite da non oltrepassare e obbligano perciò a un assenso senza eccezioni e senza limitazioni, e norme escatologico-profetiche, che rinviano costantemente oltre, perché hanno come obiettivo il perseguimento dell’ideale di perfezione e conferiscono, di conseguenza, alla condotta del credente il carattere di un cammino di conversione permanente.

La dialettica è dunque qui tra due istanze, che hanno entrambe un carattere normativo, ma che al tempo stesso mettono in luce la strutturale tensione che caratterizza l’esperienza cristiana: che non può ridursi al rispetto di una serie di divieti, ma sollecita una costante apertura al bene i cui contenuti non sono mai del tutto circoscrivibili, perché coincidono con la carità, essenza stessa del Dio trinitario.

Le conseguenze per la definizione dell’eticità

Il dinamismo dell’etica in generale, e di quella cristiana in particolare, è dunque radicalmente riconducibile alla dialettica tra carisma e istituzione. Questo conferisce una particolare duttilità alla valutazione della condotta morale, dove il contenuto materiale dell’azione risulta essere una spia (non univoca) della moralità soggettiva, la quale rinvia al mondo interiore della persona e può essere colta (in termini mai radicali e definitivi) dalla stessa persona coinvolta. L’esortazione di Gesù a “non giudicare” (e a non giudicarsi) per “non essere giudicati” scaturisce da questa constatazione. Come, d’altronde, l’insistente invito di papa Francesco a esercitare la misericordia – è questo il messaggio del prossimo giubileo – non va confuso con una sorta di buonismo irenico, ma è espressione di un essenziale dato antropologico, la percezione dell’impossibilità di formulare un giudizio radicale e definitivo su qualsiasi comportamento umano.

Ma il discorso non deve essere ristretto soltanto a questo ambito. Ha implicazioni importanti anche nell’ambito della definizione della verità morale. Il dualismo, che ha caratterizzato in passato (e tuttora caratterizza in larga misura) questa definizione, e che tende a separare nettamente l’aspetto oggettivo da quello soggettivo, riconducendo di fatto l’eticità al primo e considerando il secondo soltanto in fase applicativa, è insufficiente.

Non è questa, infatti, la specificità della verità morale, che non si identifica con la verità metafisica, ma include (e non può che includere) la soggettività come elemento costitutivo, essendo l’eticità radicata, in ultima analisi, nella coscienza del soggetto e dovendo tuttavia contemporaneamente fare riferimento a un dato oggettivo. Il rapporto tra carisma e istituzione rappresenta pertanto il connotato fondamentale del fatto etico, poiché appartiene alla stessa definizione della sua identità.

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