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Moralia Dialoghi

Europa dove vai? «Dialoghi» verso le elezioni europee

Un secolo fa pochi chilometri di confine, armi benedette e un’insana passione per la guerra sacrificavano milioni di vite a quella che fu detta «guerra civile europea». Dopo sarebbe accaduto anche di peggio, se possibile.

Poi un continente diviso, da Trieste a Stettino; ma anche un sogno, condiviso dai padri fondatori (Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi, Sicco Mansholt, Robert Schuman e Jean Monnet, Simone Veil e Ursula Hirschmann, tra gli altri), che il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, del 1944, aveva lumeggiato in termini di «vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli», con una «consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale».

Un sogno tradottosi man mano in un’idea coraggiosa di condivisione: di politiche agricole, industriali, energetiche.

Un sogno messo poi alla prova dalle difficoltà del lavoro, delle diseguaglianze, dell’inquinamento, e rinforzato nella sua capacità di condividere e redistribuire mediante strumenti attenti.

Ancora, il crollo del Muro con l’allargamento a Est e nuovi equilibri, lo sforzo di dotarsi di architetture istituzionali efficaci e partecipative, in un contesto di globalizzazione e nuove tensioni.

Un’Europa oggi sempre più plurale, anche sul piano religioso e culturale, ma che non sempre riesce a gestire efficacemente tale condizione.

Un passaggio critico

In questo 2019, alla vigilia delle elezioni europee, mentre molti ancora coltivano il sogno di speranza in una rinnovata azione volta a includere, integrare e incrementare un benessere sostenibile a 360°, l’Europa sembra purtroppo anche attraversata da venti di regressione su alcune questioni fondamentali.

Già il Manifesto di Spinelli prefigurava l’inciampo di movimenti politici concentrati sulla conquista di un potere nazionale, in forme che farebbero «il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità».

A esse egli opponeva forze popolari che, anche attraverso l’impegno nelle politiche nazionali, lavorassero al consolidamento di uno stato unitario internazionale. Un’agenda che oggi sembra distante, ma che pure invita a ritrovare vie possibili di futuro vivibile per il continente europeo.

Il sogno europeo, infatti, nasce dalla convergenza di particolari situazioni socio-politiche con un’istanza etica forte. L’Europa si costruisce, cioè, come speranza di pace tra soggetti che per secoli si sono combattuti e si declina come (ancora troppo parziale) messa in comune di sovranità per il perseguimento di obiettivi politicamente alti – si pensi all’ambiente, cui è dedicato in questo «Dialoghi» l’intervento di Matteo Mascia.

La sfida è oggi quella di mantenere la fedeltà a tale orizzonte utopico anche nei momenti in cui esso sembra sfocato; di tradurlo in scelte e politiche che lo rendano concreto anche in tempi nuovi, apparentemente oscuri.

Senza un ruolo attivo dell’Europa, del resto, sarebbe impensabile procedere verso quegli Obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dalle Nazioni Unite come positiva figura di convivenza per la famiglia umana.

Etica, ambiente e cristianesimo

Gli interventi ospitati ripartono da qui: c’è un’etica dell’Europa, suggerisce Antonio Autiero nell’intervento conclusivo del dossier, chiamata ad articolarsi attraverso procedure definite senza rinchiudersi nel loro formalismo, mantenendole piuttosto al servizio della ricerca di un bene comune che incroci i destini concreti degli europei, con saggezza pratica tesa a una verità che sia garanzia di giustizia.

C’è, d’altra parte, un’etica per l’Europa, chiamata a sostenerne le istituzioni, per aiutarla a diagnosticare la crisi – radicata in una difficoltà al riconoscimento dell’altro – e per intraprendere nuovamente la via di un universalismo che globalizzi empatia e solidarietà, contro le indifferenze, non escludendo bensì integrando le tradizioni popolari per disinnescare i rigurgiti sovranisti. Al destino di un’Europa unita e integrata, osserva René Micallef, concorre la riscoperta di una fratellanza declinata in termini inclusivi e non esclusivi, sorgente di identità – un’identità di europei fratelli, appunto – e risorsa per entrare serenamente in rapporto con l’altro. E con questa espressione ci riferiamo all’altro interno o esterno ai confini continentali, ma anche rispetto a quei confini interni (di appartenenza, di diritto al voto), che differenti tensioni politiche vorrebbero consolidare come fortezze armate.

In tale orizzonte diviene possibile mantenere anche quel ruolo qualificante che l’Europa sta giocando – lo sottolinea il già citato intervento di Matteo Mascia – in ordine alla costruzione di un futuro sostenibile per la famiglia umana.

Ma anche il cristianesimo in Europa – sostiene Giovanni Vian nel suo excursus storico – pur nel momento che vede reciprocamente allentarsi il rapporto a doppio filo tra Chiese e vecchio continente, è chiamato a ritrovare se stesso nel servizio a un’unità che diventa oggi globale, dopo essere stata guadagnata a livello europeo mediante la pacificazione di popoli un tempo votati alla guerra. Un servizio dunque alla duplice sfida che attende l’Europa, di apporto umanistico alla scena globale, in discontinuità con le logiche colonialiste del passato, e di rinnovato legame tra pace e sviluppo per rifuggire l’appiattimento su tematiche economico-finanziarie.

Verso dove quindi?

Una sinfonia a più voci, quella ospitata, con temi portanti perché irrinunciabili: una ripresa della vocazione originaria dell’Europa unita, di pace, libertà e sviluppo sostenibile, senza riduzionismi economici; un allargamento dei confini interni – con il coinvolgimento di tutti coloro che in Europa lavorano e condividono un destino di vita, al di là del diritto di voto – e di quelli esterni, rispetto a logiche di puro arroccamento.

Soprattutto il bisogno di andare ai fondamenti spirituali e ideali del vivere comune, disinnescando logiche dettate da paure e consenso, per un’Europa di popoli che risveglino il sogno condiviso dell’unità a servizio della pace.

È quanto ha indicato, del resto, papa Francesco alla Pontificia accademia delle scienze sociali il 2 maggio 2019:

Lo stato nazionale non può essere considerato come un assoluto, come un’isola rispetto al contesto circostante. Nell’attuale situazione di globalizzazione non solo dell’economia ma anche degli scambi tecnologici e culturali, lo stato nazionale non è più in grado di procurare da solo il bene comune alle sue popolazioni. Il bene comune è diventato mondiale e le nazioni devono associarsi per il proprio beneficio. Quando un bene comune sopranazionale è chiaramente identificato, occorre un’apposita autorità legalmente e concordemente costituita capace di agevolare la sua attuazione. Pensiamo alle grandi sfide contemporanee del cambiamento climatico, delle nuove schiavitù e della pace. 

La sfida è ampia e anche questo dossier dei «Dialoghi» di Moralia mira a indicare alcune direzioni qualificanti cui guardare, per comprenderne eticamente il senso e il valore.

Per un’Europa attenta all’altro, disponibile a farglisi incontro; mai fortezza chiusa e pronta a punire anche chi della fragilità dell’altro si prende cura, salvando vite.

 

Pier Paolo Simonini* insegna Teologia morale presso l’Istituto superiore di scienze religiose, ed Etica ecologica presso il biennio di specializzazione della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale – Sezione parallela di Torino.

Simone Morandini* è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.

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