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Moralia Blog

Sei connesso? E libero? Guardiamoci dentro

Il cammino di quaresima che abbiamo iniziato ci è propizio per affrontare un tema di scottante attualità: la tecno-dipendenza.

Una ricerca condotta su 23.000 soggetti dall’Associazione nazionale Di.Te, che si occupa di tecno-dipendenze, dimostra che il 32% dei giovani passa 4 ore al giorno on-line, e più del 17% resta connesso tra le 7 e le 10 ore.

La ricerca ha interessato oltre 9.000 maschi e quasi 14.000 ragazze tra gli 11 e i 26 anni e conferma la sensazione che noi tutti abbiamo prendendo un treno o la metro, e le certezze di quanti hanno un compito educativo accanto ai giovani.

Paura di essere tagliati fuori

Le conseguenze sono le più diverse: esse vanno dal calo nella capacità di rimanere concentrati a lungo alla rarefazione delle relazioni, al molto altro che emerge dal testo dello psicoterapeuta Domenico Barrilà: I superconnessi, come la tecnologia influenza le menti dei nostri ragazzi e il nostro rapporto con loro.

Barrilà sottolinea in premessa che la questione è di carattere educativo e non tecnologico, e la peggiore delle soluzioni è quella di lamentarsi della realtà senza prenderla sul serio, agendo con cognizione di causa.

La tempesta digitale, come la chiama Barillà, non passerà ed è bene che non passi, dobbiamo affrontarla consci di quello che essa significa e del fatto che una risposta pedagogica ed educativa non può essere ulteriormente differita.

Una delle ultime novità (dire l’ultima è sempre un azzardo scrivendo di digitale) si chiama FoMo, acronimo di «fear of missing out»: la paura di essere tagliati fuori.

Si caratterizza per il desiderio ossessivo di essere continuamente connessi per verificare quanto accade alle persone con cui siamo in contatto, nell’ansia di «perdersi» qualche cosa. Come affrontare queste questioni ricordando che su ogni barca in tempesta continua a esserci il Signore?

Due costanti che non passano

Due parole continuano a essere centrali nei rapporti educativi, siano essi pre- o post-digitali: autorevolezza, che fa rima con coerenza, e relazioni. In termini diversi, si tratta di andare oltre le due grandi visioni pedagogiche e sociali del tempo antico.

Da una parte quella dei sofisti, convinti che non esistesse una verità dell’uomo, ma solo delle convenzioni sociali, che oggi possiamo tradurre nel bisogno di essere riconosciuti e dunque in un’educazione che conferisce semplicemente strumenti adatti e che ben si presta a una declinazione digitale.

Dall’altra si posizionavano i socratici, per cui a contare era la cura di sé a partire da una verità data sull’uomo, una verità che va scoperta, sintesi meno affine al digitale.

Il cristianesimo riprende parte della visione socratica e la porta nell’alveo della grazia, conferendo all’educazione un mandato: accompagnare all’interezza della persona e alla sua unità, che in Cristo trovano il pieno compimento.

In altri termini significa accompagnare la libertà della persona verso un’opzione fondamentale che punti a Cristo. Tale accompagnamento deve essere agito anche, se non soprattutto, nella dimensione digitale, con strumenti digitali in una coerente dinamica progressiva, quella dell’episodio di Emmaus, che incontri e tessa relazioni che conducano dall’incontro digitale a quello fisico, de visu, considerandoli entrambi – digitale e de visu – come incontri personali. Ragionare diversamente sarebbe un errore fatale.

La quaresima ci fornisce degli strumenti efficaci per educare la nostra libertà. Declinandoli nel digitale potremmo pensare a: digiuno dalla connessione, elemosina di relazioni più autentiche, stabili e durevoli; preghiera come relazione con il non visibile, computabile, misurabile, l’Oltre che è un Altro che non cerco in cloud, ma nell’intimo del cuore.

Buon cammino!

 

Luca Peyron, prete dell’arcidiocesi di Torino, è autore di Vangelo per matricole (Effatà, Cantalupa [TO] 2015) ed Elogio della generosità (Elledici, Torino 2018).

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