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Moralia Blog

Se il sole è capace di piangere…

Al ritorno da Lesbo papa Francesco, commentando uno dei disegni dei bambini che portava con sé, ha detto: «Guardate questo: c’è il sole che vede e piange: ma se il sole è capace di piangere, anche noi…». Non a caso a Lesbo aveva pregato Dio, che non è Indifferente, ma Misericordioso e Padre di tutti: «Destaci dal sonno dell’indifferenza, apri i nostri occhi alle loro sofferenze, liberaci dall’insensibilità frutto del benessere mondano e del ripiegamento su sé stessi».

 

È in gioco «l’umanità»

Nella visita comune all’isola greca la semplicità dei gesti, la denuncia di una situazione di gravissima crisi umanitaria, gli appelli accorati, i suggerimenti ragionevoli di soluzioni percorribili sono stati espressi in modo autorevole e convincente da Francesco, Bartolomeo e Ieronymos, e si sono imposti con forza di fronte al mondo come una vera profezia ecumenica, segno di contraddizione, richiamo che impedisce alibi, smaschera paure, interessi ed ambiguità.

È stato ben evidenziato che è in gioco «l’umanità», così spesso umiliata e ferita in mille modi nei profughi, negli immigrati, in chi ha lasciato tutto alla ricerca di un futuro migliore e possibile, ed anche in chi accoglie con generosità ed in chi respinge con fastidio.

I tanti rifiuti e le ottusità dei vertici politici europei sono in palese contrasto non solo con la cultura cristiana, ma anche con tutta la tradizione occidentale che ha elaborato, nei lunghi secoli della sua storia, il concetto di dignità della persona e le diverse tipologie di diritti (di libertà, di solidarietà), culminati nella dichiarazione dell’ONU dei diritti universali dell’uomo del 1948, ripresi poi anche nei testi fondativi dell’Unione Europea.

 

Parole al cuore dell’Europa

Il papa ricorda che «l’Europa è la patria dei diritti umani» e, per evitare un’astrattezza disumanizzante propria di una ragione strumentale, chiede di non dimenticare che i migranti «prima di essere numeri sono persone, sono volti, nomi, storia».

Facendo riferimento al senso di responsabilità di tutti indica le strade del dialogo, lo sforzo per rimuovere le cause profonde dei conflitti, il contrasto al traffico di armi e chiede lo sviluppo di «politiche di ampio respiro, non unilaterali» capaci di costruire ponti e non muri. È un appello alla coscienza, all’intelligenza, ai valori basilari della convivenza civile.

Parlando ai rifugiati Francesco ripropone inoltre un pilastro della fede cristiana e dell’insegnamento sociale della chiesa: «Dio ha creato il genere umano perché formi una sola famiglia», tema approfondito nella Laudato si’ (in particolare al n.93) dove si ribadisce che la terra è una eredità comune e che i frutti devono andare a beneficio di tutti.

Nel bel mezzo di una «sfida epocale»

«Nelle condizioni attuali della società mondiale, dove si riscontrano tante iniquità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali, il principio del bene comune si trasforma immediatamente, come logica ed ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà ed in una opzione preferenziale per i più poveri» (LS n. 158).

Le situazioni di guerra, sempre legate a molteplici forme di ingiustizia e di sopraffazione, creano nuove situazioni di povertà e d’insicurezza, producendo drammatiche ondate migratorie: sono crisi che possono far «emergere il meglio» dell’umanità, come si veda nella disponibilità di tanti e nell’impegno del volontariato organizzato, ma che costituiscono una «sfida epocale» a cui la comunità internazionale e l’Europa non sembrano per ora voler dare risposte ragionevoli, giuste, efficaci.

 

Un segno di comunione

La presenza tra i profughi di Francesco, Bartolomeo e Ieronymus, i loro atteggiamenti di ascolto e di sincera partecipazione al dolore ed ai disagi dei loro interlocutori sono apparsi anche più eloquenti ed efficaci delle pur toccanti e meditate parole. Nella preghiera per le innumerevoli vittime delle migrazioni si è ricordata la universale condizione umana di essere in cammino verso l’Oltre, e si è chiesto aiuto per saperlo riconoscere: «Tutti siamo migranti, viaggiatori di speranza verso di Te, che sei la nostra casa, là dove ogni lacrima sarà tersa, dove saremo nella pace, al sicuro nel tuo abbraccio».

La «Dichiarazione congiunta sul dramma dei migranti» ha sancito ufficialmente l’appello alla comunità internazionale da parte della Chiesa Cattolica e delle Chiese Ortodosse rappresentate da Bartolomeo e Ieronymos, perché si prende piena consapevolezza della attuale crisi umanitaria e la si affronti efficacemente ai massimi livelli.

Nella Dichiarazione si afferma, tra l’altro, il «diritto fondamentale di vivere in pace ed in sicurezza» nelle terre d’origine per individui e comunità, comprese quelle cristiane. In una situazione divenuta insostenibile, si ribadisce la necessità di proteggere le minoranze, di combattere il traffico di esseri umani, di eliminare, con alternative efficaci, le rotte pericolose, di estendere l’istituto di asilo temporaneo.

 

Verso nuove forme di dialogo

Accanto a queste indicazioni di carattere politico-umanitario generale, si pone l’appello diretto a tutti i discepoli di Cristo con le parole del capitolo 25 del vangelo secondo Matteo relative al giudizio finale: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito…».

Nel testo si sottolinea infine, come contributo specifico alla pace da parte delle tre chiese rappresentate ai massimi livelli a Lesbo, l’impegno ad intensificare gli sforzi per promuovere la piena unità di tutti i cristiani. La visita congiunta - apparsa già un forte segno di comunione tra le chiese nel loro agire a servizio di fratelli che si trovano in difficoltà - si pone, al tempo stesso, come punto di arrivo e punto di partenza verso forme nuove di dialogo e di collaborazione tra le varie comunità cristiane.

 

 

 

 

 

 

 

 

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