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Moralia Blog

Samaritanus bonus, alcune criticità

Leggendo il documento nella sua integralità, come si diceva nei post precedenti (qui e qui), emergono grande attenzione e rispetto per la persona umana nelle fasi ultime della sua esistenza.

Il testo quindi non si poneva, nelle sue intenzioni, come una riproposta dei «no» già peraltro conosciuti, ma come una rilettura di essi nel più ampio conteso di tale cura integrale alla persona.

Nel far questo si proponeva, al tempo stesso, alcuni intenti chiarificatori. Bisogna chiedersi (ma sarà soprattutto la sua recezione a darci una risposta definitiva) se ha raggiunto lo scopo. A mio avviso a una prima lettura del testo, a parte alcune luci e ombre evidenziate nei due post precedenti, mi sembra che emergano due criticità.

Nutrizione: occorre distinguere di più

La prima riguarda il problema della nutrizione nelle fasi terminali e, soprattutto, negli stati vegetativi. Com’è noto è stato questo il punto più dibattuto nell’approvazione della legge italiana sulle DAT e rimane, in qualche modo, un nodo irrisolto. La stessa Congregazione ha affermato il suo deciso no alla sospensione di tali procedure negli stati vegetativi il 1° agosto 2007. Tuttavia, date le perplessità che aveva suscitato tale risposta è tornata sull’argento con una Nota, i cui contenuti sono ripresi (in modo un po’ disordinato perché disperso in vari punti) in Samaritanus bonus.

Alimentazione e idratazione non «costituiscono una terapia medica in senso proprio, in quanto non contrastano le cause di un processo patologico in atto». Se costituissero terapia potrebbero essere, a determinate condizioni, sospese.

Indubbiamente il testo presenta una concezione un po’ imprecisa del concetto di terapia. Innanzitutto quella presentata è solo la fattispecie causale o etiologica della terapia. Vi è poi una terapia sintomatica che è pur essa terapia, una terapia preventiva, una terapia comportamentale ecc.

Nell’ambito della nutrizione parenterale, poi, credo si debba fare una più pertinente distinzione tra terapie «leggere» e in qualche modo ordinarie, come l’alimentazione attraverso un sondino nasogastrico, e quelle più impegnative, magari attraverso apposizione di una gastrostomia endoscopica percutanea (PEG) con bilancio dei nutrienti, dei liquidi ecc. Questa non è terapia? Non richiede uno specifico intervento chirurgico?

A mio avviso consapevole di questa criticità valutativa, già a suo tempo la Congregazione interveniva con una successiva Nota di commento (14.9.2007), i cui contenuti sono riproposti dalla Samaritanus bonus, ancora una volta in più punti: la somministrazione va sospesa «qualora non risulti di alcun giovamento al paziente» o «provochi sofferenze inaccettabili». E qui ovviamente si apre un ampio ambito di opinabilità su cosa sia una somministrazione che provochi sofferenze, quali sofferenze e come queste possono condizionare la sua sospensione. Anche il concetto di «giovamento» può essere discutibile. È un giovamento in termini di semplice prolungamento della vita? Comporta componenti umane e relazionali? Forse il positivo intento chiarificatore rischia di non raggiungere pienamente il suo scopo.

Sostenere le cure palliative

Una seconda criticità che mi sembra opportuno evidenziare riguarda il concetto di «cure palliative». Ovviamente il testo si esprime a favore sia di esse, sia del correlato istituto degli Hospices.

Tuttavia vi sono alcune affermazioni e valutazioni che rischiano di essere fraintese. Innanzitutto si fa riferimento ad alcuni paesi esteri in cui le cure palliative vengono affiancate a provvedimenti legislativi che includono eutanasia e suicidio assistito. Non solo, ma in tali paesi tra le cure palliative vi è la possibilità anche di sospensione della nutrizione artificiale o di somministrazione di farmaci che possano anticipare la morte.

Pur se vero, tutto questo rischia di costituire, nella recezione del testo, un pericoloso fraintendimento che può portare a perplessità riguardo alle cure palliative, finora viste invece come un grande antidoto alla richiesta di eutanasia.

Si noti, peraltro, come il termine «palliativo» da noi sia abbastanza riduttivo, e come abbiamo impiegato anni a far capire che non si tratta di fare qualcosa quando non c’è più niente da fare, ma di fare esattamente quello che c’è da fare in quella situazione.

Introdurre un ulteriore elemento svalutativo rischia di mettere in crisi il ricorso a tali cure.

 

 

Salvino Leone, medico, è docente di teologia morale e bioetica alla Facoltà teologica di Sicilia e vicepresidente dell'ATISM. Tra le sue opere più recenti Bioetica e persona. Manuale di bioetica e medical humanities, Cittadella, Roma 2020.

Tag Bioetica

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