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Moralia Blog

Perché vivere moralmente? Conversando con Anselmo e Abelardo

«Non può sorgere nessuna discussione sulla proposizione “L’etica è l’etica”: qualsiasi argomentazione che consideri l’etica come qualcosa di diverso da quello che è, deve esser falsa».

Questa lapidaria convinzione del filosofo Stephen E. Toulmin sembra quasi sconfessare la stessa azione di scrivere questa breve riflessione sull’interrogativo tremendo e affascinante: Perché dovremmo vivere moralmente? Se la massima ha una dose di verità, dovremmo rispondere: se l’etica si spiega con l’etica, smettiamo di chiederci perché vivere eticamente, in quanto un perché non lo troveremo mai fuori dalla convinzione già chiara che vivere moralmente si deve. Si deve? Sì, si deve!

E neanche ci aiuta nell’impresa provare di trasformare l’interrogativo in una altra forma interrogativa: Perché si deve fare ciò che è giusto? In quanto a detta di Wittgenstein si tratterebbe di un argomento tremendo, ma proprio tremendo nei confronti del quale si può al massimo balbettare. Ma proviamo a farlo, ma non da soli!

Sulle spalle dei giganti

Ma se accettassimo di partire da un principio, perché la natura di un principio esclude che ci sia qualcosa prima di esso? Alcuni autori, grandi nel pensiero, lo hanno fatto e quanto hanno trovato è stato straordinario.

Ci riferiamo ad Anselmo d’Aosta e ad Abelardo, legati dalla convinzione che, sebbene sullo sfondo rimanga in loro il riferimento all’unico Creatore, difendere la plausibilità della natura intuitiva delle percezioni morali è il primo passo da fare riguardo alla comprensione della natura del bene.

Proviamo a rivolgere la domanda ad Anselmo: perché vivere moralmente? La risposta la articolerebbe pressappoco così: vivere moralmente è da preferire perché se lo fai «vuoi ciò che devi volere». Il punto inquietante è il seguente: cosa dovrebbe un uomo volere? La risposta è lapidaria: dovrebbe volere ciò che deve volere, ovvero che la sua volontà sia retta in se stessa e non per altro motivo.

Allora perché devi vivere moralmente? Perché è giusto, retto, per vivere moralmente, in quanto l’unico motivo del volere morale è il senso stesso della giustizia. È la stessa volontà di cui Abelardo parla in prima battuta come elemento innato che diviene spazio di lotta il cui esito è sempre contraddittorio: o buona o cattiva.

Chiediamo ad Abelardo: se la volontà umana è qualcosa di innato, in che termini si parla di decisione responsabile? Risposta: esiste una cosa che si chiama «consenso», che circoscrive una zona interiore dell’animo umano, che è equidistante da tutto ciò che è innato e da tutto ciò che è esteriore. L’«acconsentire» è l’unico a cadere sotto il pieno potere dell’essere umano, in quanto ciò che è innato non è scelto e ciò che si realizza non sempre dipende dalla decisione dell’uomo senza interferenza di elementi che sopraggiungono in contesto.

Alla rovescia: un tentativo per capire ancor di più

Per essere ancora più chiari su questo principio che non sopporta altri motivi se non se stesso, Anselmo acutamente farebbe a noi una domanda: vi siete mai chiesti da dove viene quella volontà con la quale l’angelo ribelle volle disobbedire a Dio?

Lui la risposta ce la offre ed è questa: volle perché volle. La tautologia conferma alla rovescia che l’uomo conserva la rettitudine per se stessa e non per altro motivo. Ed è qui il punto più alto perché è il principio. Anzi: è in principio!

 

*Pietro Cognato insegna teologia morale e bioetica presso la Facoltà teologica di Sicilia, la Facoltà di giurisprudenza - LUMSA e la Facoltà di servizio sociale – LUMSA. Ha scritto Prendersi cura della vita. Prospettiva etico-normativa e riflessione teologico-morale del valore vita (2008), Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il rinnovamento della teologia morale (2012), Etica teologica. Persone e problemi morali nella cultura contemporanea (2015)

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