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Moralia Blog

«Parole della bioetica»: sorella morte | 1

Secondo il mito greco, Sisifo ingannò Ade, la morte, e perciò fu costretto a spingere un masso di pietra dalla base fino alla sommità di una collina, dove il masso sarebbe immancabilmente scivolato a valle, costringendo Sisifo a una nuova scalata, a un lavoro «assurdo» (secondo la definizione di A. Camus), per l’eternità.

Da “ingannare la morte” a meditare su essa

Come si può oggi «ingannare» la morte, riducendo noi stessi a dei piccoli Sisifo, a vivere un’esistenza «assurda»? Ritengo che uno dei grandi inganni, che la nostra cultura contemporanea opera in svariati modi, sia la sua rimozione. Soltanto apparentemente oggi si parla molto della «morte». E, come spesso accade, l’apparenza inganna.

Molto, troppo spesso la «morte» viene rimossa nello spazio privato e, nel contempo, sfruttata nello spazio pubblico (relativamente ad alcuni temi bioetici quali l’eutanasia, il suicidio assistito, il testamento biologico…) per contrapporre ideologie o principi, non di rado proposti in modo «urlato» e senza valide argomentazioni.

Certo: parlare, riflettere, argomentare relativamente alla morte non è affatto facile, non solo per la profondità e gravità del tema, ma anche per i differenti punti di vista che si possono assumere: antropologici, filosofici, sociologici, storici, financo letterari e artistici. E naturalmente quello teologico, non soltanto cristologico ed escatologico, ma anche morale (dove, per il cristiano, la morte di Gesù è imprescindibile riferimento).

D’altro canto, ritengo che il meditare seriamente sulla morte, propria e altrui, possa aiutarci ad esplicitare alcune dinamiche morali, nella riflessione e nell’esistenza. Indico sommariamente quattro ambiti.

  • 1) Dal «si muore» al «io muoio» (responsabilità)

La morte non è un «incidente di percorso», non è un evento impersonale, non «si muore» come se la morte appartenesse alla sfera dell’«avere». Al contrario: appartiene radicalmente alla sfera dell’«essere». Pertanto, in questa prospettiva di «essere», la nostra responsabilità morale, umana, appare quanto mai chiamata in causa. Radicalmente.

  • 2) Degli altri e mia (solidarietà)

Se la morte appartiene alla sfera dell’«essere», ne consegue che la nostra responsabilità deve articolarsi anche in una seria riflessione e azione sulle condizioni necessarie per un morire umano, dignitoso. Trova così spazio per dispiegarsi la solidarietà morale e umana, in un duplice percorso: da una parte, proiettandoci fuori di noi, ci impegniamo a essere solidali con chi muore, dall’altra parte, tornando dentro di noi attraverso «l’altro» solidale, ci interpelliamo sul senso del nostro vivere e morire.

  • 3) Certezza e incertezza assolute (libertà)

Il detto latino mors certa, hora incerta (che ci richiama la parabola delle 10 vergini, Mt 25,1-13) ci ricorda come viviamo tra una certezza assoluta (sappiamo che ciascuno morirà) e un’incertezza assoluta (non sappiamo quando, come e dove ciascuno morirà).

Ora è proprio in questa tensione tra certezza e incertezza che si snoda la nostra libertà, la nostra autodeterminazione, in una prospettiva di durata – proprio perché limitata e non eterna – che invera il nostro agire morale, in ogni frazione di tempo.

  • 4) Passività e attività (consapevolezza)

Infine: la dialettica tra certezza e incertezza può aiutarci a riflettere sugli aspetti passivi e attivi della morte, ovvero a quanto non siamo noi a porre e a quanto dobbiamo noi stessi assumerci. E questa è la stessa dinamica del quotidiano, dove non siamo noi a porre le circostanze del nostro agire, ma dobbiamo assumerle attivamente e discernere a partire da esse. Si tratta quindi di allenare la consapevolezza, in un esercizio di coscienza sempre più interiorizzato.

Ecco allora che, diversamente da Sisifo, la morte per noi non è qualcosa da ingannare, o qualcosa di «assurdo», ma è pienamente «nostra sorella», nel nostro percorso di assunzione di umanità e di vita pienamente vissuta.

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