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Moralia Blog

La trasformazione digitale vuole una nuova cultura sindacale

Tra i corpi intermedi che sembrano essersi un po’ eclissati, nella generale tendenza alla disintermediazione, ci sono certamente i sindacati.
Decenni fa sono stati un motore culturale efficace e potente, non semplicemente di rivendicazione e lotta, ma anche di pensiero ed elaborazione culturale. La varietà delle sigle sindacali ne era una rappresentazione eloquente: interessi di fatto comuni, ma approcci anche significativamente diversi.

Il loro peso culturale, al di là di una certa narrazione di parte e forse anche partigiana, è obbiettivamente venuto meno. Viene così a mancare quella preziosa presenza che il Compendio di dottrina sociale della Chiesa così sintetizza al n. 307: «Al sindacato, oltre alle funzioni difensive e rivendicative, competono sia una rappresentanza finalizzata a “organizzare nel giusto ordine la vita economica”, sia l’educazione della coscienza sociale dei lavoratori».

Il primo sindacato dell’ICT

E dire che di pensiero e di sindacato, nella trasformazione digitale, ci sarebbe molto bisogno. Qualcosa forse sta cambiando e ci invita a cambiare, proprio nella patria delle tecnologie emergenti, la Silicon Valley.
225 dipendenti di Google hanno creato l’Alphabet Workers Union, il primo sindacato all’interno delle grandi compagnie globali dell’information and communications technology (ICT). Ciò che rimarchiamo e salutiamo con favore è la promozione proprio di un pensiero sociale sugli impatti delle tecnologie digitali nelle mani di pochi epigoni. «Il nostro sindacato s’impegna a proteggere i lavoratori di Alphabet, la nostra società globale e il nostro mondo. Promuoviamo la solidarietà, la democrazia e la giustizia sociale ed economica».


Sino a qui affermazioni in linea con la storia sindacale, ma poco dopo la sorpresa: «Tutti gli aspetti del nostro lavoro dovrebbero essere trasparenti, inclusa la libertà di rifiutarsi di lavorare su progetti che non sono in linea con i nostri valori. Dobbiamo conoscere l’impatto del nostro lavoro, che si tratti di lavoratori di Alphabet, delle nostre comunità o del mondo» (4).
E ancora: «Diamo priorità alla società e all’ambiente invece di massimizzare i profitti a tutti i costi. Possiamo fare soldi senza fare il male» (6).
Per concludere con: «Siamo solidali con i lavoratori e i sostenitori di tutto il mondo, che stanno combattendo per rendere i loro luoghi di lavoro più giusti e chiedono che l’industria tecnologica si rifiuti di mantenere le infrastrutture di oppressione» (7).

Profeti dell’innovazione sociale

Papa Francesco ha invitato il sindacato a essere profetico accettando la sfida dell’innovazione. «I profeti sono delle sentinelle, che vigilano nel loro posto di vedetta. Anche il sindacato deve vigilare sulle mura della città del lavoro, come sentinella che guarda e protegge chi è dentro la città del lavoro, ma che guarda e protegge anche chi è fuori delle mura. Il sindacato non svolge la sua funzione essenziale di innovazione sociale se vigila soltanto su coloro che sono dentro, se protegge solo i diritti di chi lavora già o è in pensione. Questo va fatto, ma è metà del vostro lavoro. La vostra vocazione è anche proteggere chi i diritti non li ha ancora, gli esclusi dal lavoro che sono esclusi anche dai diritti e dalla democrazia».
Una nuova cultura nella condizione digitale può nascere e sta forse nascendo anche qui, tra coloro che il digitale lo costruiscono ogni giorno, ed è giusto, vero, e profetico che accada.

 

Luca Peyron, presbitero della diocesi di Torino, insegna Teologia all’Università cattolica di Milano e Spiritualità delle tecnologie emergenti all’Università degli studi di Torino. Ha scritto Incarnazione digitale (Elledici 2019).

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