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Moralia Blog

La paura dei mostri e la dignità assoluta della persona umana

La paura di oggi è la stessa paura di ieri, quella dei mostri. E la domanda è una sola: i mostri esistono davvero? A detta dei nostri rotocalchi nazionali sembra proprio di sì. Le cronache quotidiane, quelle che chiamiamo «nere», sono infarciate di tragedie che con urgenza pongono la domanda: «L’uomo dov’è?». La risposta (comune) appare ripetersi: «Non c’è l’uomo perché chi arriva a compiere certi gesti non è un uomo, è una bestia!».

E così, rivolte ad un omicida, si sentono sempre più spesso parole come mostro, bestia… Un po’ per il senso di ripudio e di rigetto che alcune notizie provocano alla nostra sensibilità, un po’ per la necessità di un’autoassoluzione della stessa umanità dinnanzi ad episodi che dovrebbero a questa esserne estranei. Perché, d’altronde, bollare come mostro o come bestia una persona significa spogliarla della sua (e della nostra) dignità di essere umano. Vuol dire, in altre parole, legittimare, pure senza volerlo, una certa dose di indifferenza nell’esigenza di protezione di un nucleo essenziale di situazioni giuridiche che attengono ad ogni persona umana in quanto tale. Sempre.

Chi sono i «mostri»?

Nel diritto romano monstrum era il bambino che nasceva –testimonia Giulio Paolo- «con sembianze diverse da quelle umane» e, pertanto, era considerato non-nato, privo di capacità giuridica; tranquillamente poteva essere gettato da una rupe e la sua uccisione non era omicidio. Tutto ciò almeno in età pre-cristiana. La rivoluzione cristiana, poi, mette al centro della riflessione antropologica il valore assoluto della dignità umana. Già nella Lettera a Diogneto si pone in risalto che i cristiani «si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati», con il chiaro riferimento al rifiuto netto della consueta pratica romana.

Oggi, nel nostro senso comune, mostri in senso morale sarebbero coloro i quali si macchiano di azioni talmente cruente da non poter essere riconducibili ad un essere umano. Così la categoria di essere umano non si addice più a questi soggetti. Sono degradati a «bestie». È il rapido profilarsi di una tragedia all’interno della società: l’idea di «normalità» non è sufficiente, non rassicura più. Chi è «normale» nella società? Perché proprio quel ragazzo «normale» o quella ragazza «normale» si è macchiata di un crimine? E com’è possibile che un soggetto «normale», una persona umana come le altre, d’un tratto si trasformi in un mostro? Domande forti, per davvero. Ma c’è un principio da riprendere con urgenza nell’ambito del discorso morale: ossia che, ciascun essere umano, qualunque sia l’atto che pone in essere, pure il più feroce, non degrada mai a mostro morale, a bestia, perché intoccabile, ed assoluta, rimane la sua stessa dignità di persona umana.

Una dignità inviolabile

D’altronde questo principio è confermato anche dalle parole di papa Francesco pronunciate nella catechesi dello scorso 11 maggio: «La nostra condizione di figli di Dio –ha detto Bergoglio- è frutto dell’amore del cuore del Padre, non dipende dai nostri meriti o dalle nostre azioni, e quindi nessuno può togliercela… Nessuno può toglierci questa dignità, neppure il diavolo!».

Insomma: la presenza del male e di una evidente condizione di peccato nella vita di un individuo non ne elimina la dignità di figlio di Dio. Un principio, quello della dignità assoluta della persona umana, universale se si pensa che esso è accolto anche in altre confessioni religiose e in diverse tradizioni culturali e giuridiche. Pensiamo solo alla Dichiarazione sui diritti dell’uomo nell’islam del Consiglio Islamico d’Europa del 1981 che all’articolo 7 afferma: «Qualunque sia il crimine commesso e qualunque sia la pena prevista dalla Legge islamica, la dignità dell’uomo e la sua nobiltà di figlio d’Adamo devono essere sempre salvaguardate».

E allora non esistono i mostri, non esistono le bestie, ma esistono donne ed uomini in carne ed ossa, persone umane, che hanno sempre il diritto ad una «altra» possibilità, a fare della loro vita un capolavoro di bellezza e di amore. Di questi tempi è più mai importante ribadirlo.

Nessuno tocchi Caino!

Post Scriptum. In questa riflessione ho voluto parlare di Caino. Non perché Abele non mi interessi. Tutt’altro. Ma il rispetto nei confronti di Abele mi impone il rispetto verso Caino. In questa vicenda c’è già tutta la misericordia di un Dio che mai si dimentica delle sue creature. Che poteva interessare al Signore di Caino che per gelosia aveva ucciso suo fratello Abele? Per noi sarebbe stato semplice: «Buttiamolo dentro e gettiamo le chiavi», avremmo detto con una buona dose di fiero giustizialismo.

Per fortuna la nostra logica non è la logica di Dio. E così il Signore disse a Caino: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Ed anzi – raccontano le Scritture – «impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato». Da qui, nessuno tocchi Caino. Ieri come oggi...

 

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