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Moralia Blog

Il male morale banale

Moralia | Una collaborazione dell'Associazione teologica italiana per lo studio della morale (ATISM) con Il Regno.

Una persona va a confessarsi: «Padre, non ho commesso nulla di grave, anzi, solo cose piuttosto banali. Cose che possono succedere ogni giorno a qualsiasi persona. Insomma, cose che fan tutti. A dire il vero mi sento assai a posto». Il confessore tace. Dopo un momento di riflessione risponde: «Mi dica, cosa ha fatto di bene?». Il penitente tace colpito.

Il concetto della “banalità del male” risale alla filosofa ebrea tedesca Hannah Arendt. Essa nel 1961 è stata inviata dal settimanale New Yorker a Gerusalemme per seguire il processo di Adolf Eichmann. Arendt rimase profondamente stupita e turbata di non incontrare in Eichmann un mostro perverso e sadico, un uomo che in modo demoniaco personificasse il male assoluto, ma un uomo – come disse – normale, anzi, «terribilmente normale»:

«Il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme».[1]

Abituarsi al male

Arendt riconobbe nell’indicibile male commesso da Eichmann il risultato di un processo segnato dalla negazione di responsabilità, dall’omissione della riflessione morale sul proprio agire, da piccoli ma crescenti compromessi con il male ed infine dall’abitudine alla malvagità senza più riuscire a coglierla nel suo agire. Tutto questo ha comportato infine anche un’assoluta ottusità nei confronti del bene morale.

Certo, il penitente di cui sopra non è paragonabile ad Eichmann, ma tuttavia c’è una dinamica di fondo che Arendt ha svelato nel suo concetto della “banalità del male” che si può osservare anche in quello che possiamo chiamare il “male morale banale”. Per fugare ogni malinteso, non si tratta di cadere nella trappola di un rigorismo morale o della scrupolosità, ma piuttosto di sottolineare che la banalità del male inizia nell’abituarsi al male nel piccolo e nella progressiva cecità nei confronti del bene.

A partire da una frase di Gaudium et spes, vorrei evidenziare tre aspetti che a mio avviso possono aiutare a capire meglio come il male morale possa diventare banale, cioè ordinario, in quanto all’apparenza piccolo e di poco conto. Parlando della coscienza erronea per ignoranza invincibile, GS dice che essa non perde la sua dignità, ma allo stesso momento aggiunge che non possiamo parlare di un’ignoranza invincibile «quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato» (n. 16).

Quando il male morale diviene "banale"

Un primo aspetto: il male morale banale si fa strada dove manca la riflessione sul nostro agire, sul profondo significato di esso (in quanto espressione di valori morali oppure anche di convinzioni poco morali) e sulle sue conseguenze. Curarsi poco di cercare la verità e il bene significa mancare di responsabilità, cioè non rispondere all’appello morale di fare il bene e di evitare il male. Si agisce senza considerare abbastanza se ciò che si fa sia la migliore realizzazione possibile del bene in certe circostanze.

Un secondo aspetto: il male morale non consiste necessariamente in fatti gravi e stravolgenti, anzi, normalmente esso si veste di quotidianità, di piccolezza, di normalità. Proprio per questo motivo può sembrare meno grave o poco rilevante. Allora diventa anche tollerabile e ci si può abituare facilmente oppure chiudere gli occhi dinanzi ad esso, semplicemente ignorandolo. È così che pian piano avviene un’erosione del fondamento morale del soggetto, delle sue buone motivazioni morali e della sua naturale tensione al bene.

Un terzo aspetto, che forse è il più importante: il male morale banale cresce con un atteggiamento di chiusura di fronte al bene. Troppo spesso la nostra mancanza non è fare il male, ma l’omettere il bene. Nell’atto penitenziale giustamente confessiamo di aver «molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni».

La banalità del male morale si svela, se si supera l’abitudine al male e alla mancanza di responsabilità, decidendosi con fermezza ad amare il bene morale e a realizzarlo nel miglior modo possibile.

 

[1] H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1993, 282.

 

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