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Moralia Blog

Etica: immaginazione al potere

«La funzione dei giudizi etici consiste nel mutare i propri sentimenti e comportamenti […] un fatto che non vale neppure la pena di ricordare: il vero problema (potrebbe replicare qualcuno) che resta sempre in sospeso non è se, ma in che modo si debba permettere a tali argomentazioni di influenzare il nostro comportamento».

Questo passaggio di Stephen E. Toulmin il lettore lo rinviene a circa metà del suo stimolante libro Ragione e etica (Ubaldini, Roma 1970), dopo avere diffusamente sostato nel solco del dilemma tra logica e vita, aprendo così la strada per una diffusa disquisizione sulla natura e la funzione dell’etica nella vita e per la vita, per poi giungere a quella linea di confine che la stessa ragione pone per essere autonoma rispetto alle questioni di fede, ma non del tutto indifferente.

I giudizi etici sul piatto della bilancia dei comportamenti

Noi ringraziamo Toulmin per questo passaggio, e condividiamo la convinzione che i giudizi etici o devono pesare sul piatto della bilancia dei comportamenti, oppure è meglio neanche occuparsene. E se, allora, ce ne dobbiamo occupare, è auspicabile pre-occuparsi di quel «in che modo» e notare subito nelle sue parole il passaggio-identificazione tra «giudizi etici» e «argomentazioni».

Qui ci basta annuire e rassicurare il lettore che l’identificazione non è indebita, ma è una soluzione sintetica che rende l’idea secondo cui nessun giudizio etico sta in piedi senza una robusta argomentazione, così come ogni discorso argomentativo è finalizzato a una critica (costruttiva) delle opinioni morali.

L’immaginazione in etica: per un’etica non immaginaria

In che modo, dunque, si deve permettere a tali argomentazioni di influenzare il nostro comportamento? Possono essere tante le modalità, ma in questa sede vogliamo mettere l’accento su una delle caratteristiche che possono influenzare fino a modificare convincentemente un comportamento: l’immaginazione. Sì, proprio lei!

Forse la parola suona alquanto inconsueta, ma cercheremo di renderla meno inconsueta dicendo questo: se l’etica fosse un mero esercizio deduttivo di principi assunti, ci sarebbe poco o niente da immaginare. La storia sarebbe la stessa: questo è il principio, applicalo!

Diversamente, se pensassimo così di fronte a un problema: «Questo è il principio, valuta se, considerati tutti i fatti e tutte le conseguenze logiche, può essere ancora accettabile oppure no», ecco allora che avremmo sempre bisogno di una certa dose di immaginazione! Immaginazione che si deve declinare sia come immaginare sé stessi nella situazione reale dell’altro, sia come immaginare sé stessi nella situazione ipotetica dell’altro.

Non c’è differenza nel ragionamento che vuole pesare sul piatto dei comportamenti tra realtà e ipotesi. Immaginazione, dunque, come capacità di ricorrere continuamente alla propria situazione che si sta vivendo come alla situazione analoga dell’altro. Oppure – cosa imprescindibile in un qualsiasi libro di etica che non voglia solo produrre fumo – immaginazione che si espliciti attraverso una costellazione di esempi.

Gli esempi sono l’immaginazione in funzione della chiarificazione, spiegazione e facilitazione degli stessi problemi morali, il punto di partenza più sicuro e il basamento costante per la verificazione o falsificazione di quanto si vuole sostenere.

L’immaginazione, ancora, equivale alla saggia pratica della casistica, che fa del caso un presidio per non parlare a caso in etica. In teologia morale il caso e la discussione intorno a esso sono possibili grazie all’immaginazione.

Esplorare i principi con l’immaginazione

Nessuno, tanto per fare un esempio o portare un caso, negherebbe il principio secondo cui è cosa buona mettere la cintura prima di viaggiare in auto. L’uso delle cinture di sicurezza è moralmente ben fondato, quindi obbligatorio, a partire da una serie di analisi empiriche sugli incidenti stradali fausti e infausti, a volte mortali, nei quali si dimostra il rapporto che c’è tra uso e non uso delle cinture di sicurezza in riferimento al valore-vita o al valore salute.

Tuttavia, solo un’immaginazione sempre attiva riuscirà a pensare che si potrebbe (è solo una possibilità) morire per tale buona pratica, qualora, a motivo di un brutto incidente, il saltare velocemente dalla macchina sarebbe stato l’unico modo per salvarsi la pelle. È un esempio per far capire che è sempre bene accumulare più principi possibili per vivere moralmente, ma non vanno prese sottogamba quelle situazioni – poche o molte, consuete o rare poco importa – nelle quali bisogna immaginare se è il caso di esplorare altre vie.

 

Pietro Cognato insegna Teologia morale e bioetica presso la Facoltà teologica di Sicilia, l’Istituto di studi bioetici S. Privitera e la Facoltà di servizio sociale – LUMSA. Tra le sue opere: Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il rinnovamento della teologia morale (2012); Etica teologica. Persone e problemi morali nella cultura contemporanea (2015). Ha curato inoltre diverse voci del Nuovo dizionario di teologia morale (2019).

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