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Moralia Blog

E il terzo ci farà rialzare…

Come ha scritto Hans Urs von Balthasar: «Dio si nasconde già come creatore per lasciare agli uomini uno spazio di libertà: in ultima analisi dunque per amore; ma in Cristo Dio rende visibile questo suo nascondimento: senza nascondimento nessuna rivelazione del Dio sempre nascosto e nessuna fede, la quale possiede l’umiltà del non voler vedere. Più a fondo: Dio assume nel suo nascondimento l’alienazione e opposizione del peccatore, Cristo muore e scende nell’inferno dei peccatori, e in questo “nascondimento nel contrario” ogni altro camuffamento di Dio è giustificato» (Teodrammatica, I).

C’è una verità che non si consuma nel dispiegamento luminoso del suo senso; c’è una verità che abita il nascondimento. Non solo per rispettare la libertà dell’uomo, ma anche per essere incontrata da ogni uomo e ritrovata in ogni uomo, oltre ogni marginalità, oltre ogni deformazione della sua dignità. Posta di fronte a noi diventa un monito persistente per non rischiare che questa verità velata, in cui palpita la vita di Dio, sia profanata o resti del tutto inascoltata. Non solo abbandonata, ma talvolta deformata dalle esigenze di uno schema armonizzante di comprensione nel quale tutto deve andare al posto giusto. Un rischio, vale solo la pena di ricordarlo, che stiamo vivendo in questo tempo prolungato di emergenza pandemica.

Non c’è un divino credibile se non accetta di entrare negli scuri della storia umana e non c’è un umano autentico che non porti, anche nel buio, una lama di luce, oltre il suo apparire con i tratti della quotidiana miseria. Questo è il filo conduttore della celebre serie di acquetinte Miserere di Georges Rouault (Parigi 1871-1958) composta da 58 incisioni il cui progetto iniziale risale già al 1912, anno della morte del padre, ma stampate in forma definitiva solo nel 1948.[1] La prima acquatinta di Rouault che vi propongo è la n. 58. Chiude il percorso di Miserere, con la didascalia: «e Veronica per distendere il lino passa ancora sul cammino».

Il tema dell’Ecce homo ricorre più volte nelle incisioni di Rouault, sia in modo diretto, sia indiretto in quelle dedicate alla povertà e alla guerra. Un finale, solo apparentemente senza resurrezione, quello di Miserere, che resta fisso in modo ostinato sul volto dell’uomo della passione e sulla passione dell’uomo.

L’iconicità di questo volto si riproduce sui sudari dell’umanità, di quanti si chinano a detergere quel volto. Se quel volto è divino, non cessa di essere totalmente sovrapposto a quello umano. Quelle di Rouault sono tavole che raccontano la miseria degli uomini, il loro isolamento in paesaggi urbani o domestici vuoti di relazioni, avvolti in atmosfere caliginose. Ma in esse s’imprime, come sul lino di Veronica, il tratto dell’umanità trascendente del divino.

Per l’uomo che cerca di vivere nella fede, la pasqua di Gesù è la rivelazione della credibilità di Dio, non per il prodigio del morto che torna vivo, ma per il suo volontario nascondersi nella fragilità mortale e inoculare il suo spirito vivificante: là nessun dio era entrato. Per il Dio della pasqua, non c’è buio così denso da non poter scorgere in ogni uomo l’autentica scintilla di luce che innesca il suo rinascere alla vita.

L’altra acquatinta di Rouault, sempre da Miserere, ci invita a percepire il primo canto del mattutino. Il sole è come la pupilla del cielo che guarda chi ancora giace inerme a terra, quasi schiacciato dal peso insostenibile di uno sonno che non è solo mortale, ma pare l’ottundimento di ogni sensibilità.

Ho visto in questa immagine il momento trattenuto di quel «terzo giorno» che, per i credenti in Cristo, è il passaggio pasquale dopo il «secondo giorno» del vuoto che annichilisce. Un «secondo giorno» così lungo che nessuna liturgia può sopportare. Perché il nostro sabato santo è già preso da una certezza rassicurante e, forse, non da un’attesa struggente. O perché, preoccupati dal nostro canto, non prestiamo attenzione al canto che sale dalla terra e che viene dal cielo…

Perché noi siamo già nel «terzo giorno» della sua presenza e allora lasciamoci rialzare. Come diceva il profeta Osea, forse inconsapevole di «quel giorno» che è ragione di vita per i credenti in Cristo, ma ben consapevole che ogni uomo e ogni donna attraversa nel tempo a lui concesso i tre tempi di un’unica passione: il dramma, il silenzio, la germinazione di segni nuovi. Segni che non cancellano il dolore e non nascondono i posti lasciati vuoti. Ma comunque segni che nella fede che osa ancora il futuro, la speranza, restano impressi e incancellabili sulle ferite mortali della storia: «Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza» (Osea 6,2).

 

Pier Davide Guenzi è presidente dell’ATISM e insegna Teologia morale ed Etica sociale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale.

 

[1] Le immagini utilizzate, con le altre che compongono Miserere sono visualizzate in https://www.flickr.com/photos/haggertymuseum/albums/72157623812100493

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