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Moralia Blog

Coronavirus: pensieri di confine

La situazione di emergenza sanitaria che l’Italia vive da domenica 23 febbraio è occasione di riflessioni di vario tipo: si può guardarla sotto l’aspetto sanitario, sotto quello sociale, sotto quello etico, o ancora dal punto di vista politico e amministrativo.

Situazioni di questa portata accendono le contrapposizioni: nelle scorse settimane davanti alla notizia dell’epidemia in Cina c’era chi gridava allarmato e chi minimizzava il problema.

Due quesiti morali e tre parametri scientifici

Ora che l’Italia è un paese coinvolto dall’infezione del nuovo coronavirus continuiamo a sentire chi vive nel terrore della pandemia, e chi ripete che in fondo «è poco più di un’influenza». Due domande si presentano: come stanno davvero le cose?  Cosa dobbiamo fare come cittadini informati, consapevoli e responsabili?

Qualche nota scientifica: come si stabilisce quanto sia pericoloso un virus? Certamente non con «impressioni», ma attraverso i calcoli dell’epidemiologia, disciplina matematico-statistica. Ci sono tre parametri importanti da valutare: 1. la capacità del virus di diffondersi nella popolazione, cioè il rapporto tra numero di persone infettate e popolazione; 2. la mortalità, cioè il rapporto tra le persone decedute per l’infezione e le persone esposte (cioè infettati e non infettati); 3. la letalità, cioè il rapporto tra il numero degli infettati e il numero dei morti.

COVID-19 (Coronavirus disease 2019) ha una mortalità più bassa dell’influenza, ma una letalità molto più alta. Cosa si può fare? Non possiamo intervenire molto sulla letalità in questo momento, ma possiamo tenere bassa la mortalità se il numero di persone che s’infetta resta basso. In pratica occorre ridurre al minimo la diffusione del virus. Ecco il senso della «quarantena».

Non discutiamo qui di eventuali errori o ritardi nella gestione dell’emergenza: ciò che oggi conta è affrontare la situazione. I virus, come ogni forma di vita, cercano di sopravvivere e lo fanno secondo le leggi della biologia a spese di viventi più complessi: lasciamo perdere interpretazioni apocalittiche.

Consapevoli di essere comunità: il senso della resposabilità

Questa vicenda ci ricorda che non siamo solo individui, siamo comunità umana, condividiamo gli stessi spazi, le stesse risorse sul pianeta. Il mondo umano è mondo dell’etica ed eventi simili ci richiamano potentemente alla responsabilità personale e collettiva. Chiunque abbia formazione e coscienza ha il dovere di aiutare chi ha vicino a comprendere le notizie, a reagire correttamente, ad assumere comportamenti utili a migliorare il vivere comunitario e la salute di tutti.

Se l’individuo cerca il proprio beneficio a scapito di altri, dividendo la comunità invece di unirla in legami solidali, non otterrà mai un benessere duraturo. Rispettare le regole che ci vengono indicate è doveroso anche per ricostruire il senso della comunità umana a cui apparteniamo.

L’epidemia di COVID-19 certamente segna il nostro paese e il mondo da vari punti di vista, non solo quello sanitario, ma anche quello economico. Di fronte a emergenze che scuotono emotivamente (lo mostrano gli accaparramenti ai supermercati, le aggressioni a presunti responsabili dell’infezione) c’è un richiamo forte a verificare come viviamo il nostro essere legati gli uni agli altri: siamo solidali o competitori?

La lucidità è fondamentale e il dovere di solidarietà ci rende più consapevoli. Cristiani ed ebrei in questi giorni hanno reso pubblico il loro impegno a mettere subito in atto negli spazi di loro pertinenza le misure che sono state prese a livello politico e amministrativo per gestire l’emergenza sanitaria. La tradizione biblica afferma con forza la responsabilità che abbiamo gli uni per gli altri, che in questo momento si traduce in cura dei comportamenti utili per la salute propria e altrui.

Ci auguriamo tutti che questa emergenza passi presto e con meno vittime possibile, ma facciamo tesoro di ciò che ci lascerà: non solo forse una memoria immunitaria e forse un vaccino nuovo, ma un’esperienza di coesione sociale, di solidarietà, una nuova coscienza della nostra fragilità umana, e del valore immenso del sentirsi ed essere comunità.

 

Ilenya Goss è pastora valdese e professore incaricato di Storia della medicina ed etica presso Università degli studi di Torino.

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