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Moralia Blog

Ascolto, dunque dialogo

Oggi il concetto di dialogo è spesso associato ai termini «interculturale», «interreligioso», «ecumenico» o «educativo», ma anche al rapporto fra i cittadini e le istituzioni, per cui si parla di «dialogo politico», «dialogo con la pubblica amministrazione» e così via. Inoltre, vivendo oggi in una società complessa che utilizza mezzi di comunicazione sempre più interattivi, veloci e immediati, il rapporto fra i cittadini e le istituzioni è concepito in funzione dell’esigenza di una costante comunicazione e di una connessione continua al web.

Le nuove tecnologie hanno senza dubbio trasferito tra le nostre mura domestiche la pubblica agorà. Insomma, la piazza si è spostata nei nostri salotti! Ma in tutto ciò è migliorata la nostra capacità di dialogare?

Sempre più connessi, sempre meno in dialogo

Ci troviamo dinanzi a un paradosso: se da un lato aumenta la capacità delle persone, in particolare dei più giovani, definiti ormai generazione 3.0, di comunicare e dialogare (chattando!) e di accedere alle informazioni, dall’altro aumenta sempre più la confusione di un’agorà nella quale si può trovare di tutto e il contrario di tutto, e in cui ogni interlocutore si sente portavoce di una verità assoluta. Ciò è dovuto in gran parte proprio all’incapacità di dialogare.

Perché ci sia dialogo è necessario che ci sia un confronto, che chi comunica sia «aperto» all’altro. Ci vuole la predisposizione ad accogliere. Saper dialogare significa prima di tutto predisporsi all’ascolto. Nasce proprio da qui l’istanza di un’educazione all’altro, al riconoscimento degli altri quali portatori di valori e di diversità da accogliere in un confronto costruttivo e di accettazione reciproca. Dialogo significa relazione, rapporto fra soggetti. L’essere umano è nella sua più profonda realtà un essere dialogico, fatto per essere in «relazione con».

Il dialogo è vocazione di un uomo reso partecipe della creazione e fa dell’uomo stesso «una parola» di Dio. Educare al dialogo, allora, significa sviluppare questo aspetto costitutivo della persona umana, e ciò comporta favorire la capacità di aprirsi, accogliere, ascoltare.

Educare all’ascolto in vista di un autentico dialogo

In tutto ciò la scuola, in sinergia con la famiglia, assume un ruolo primario. Essa può e deve formare uomini e donne pronti per la vita, capaci di essere in relazione attraverso l’arte del dialogo e del confronto. Il raggiungimento della capacità di dialogare è il frutto di un complesso processo educativo, in cui i giovani devono comprendere che dialogare non significa semplicemente conversare, perché la conversazione può sfociare o nella condivisione della conoscenza o nella discussione polemica che sancisce la vittoria di uno degli interlocutori sull’altro.

Il vero dialogo è «arte del pensare insieme», con la quale gli interlocutori raggiungono una comprensione profonda e ricercano un significato comune alle rispettive opinioni mediante un ascolto attivo, un riesame delle proprie convinzioni e la creazione di un modello condiviso.

L’autentico dialogo avviene in un quadro etico di atteggiamenti formativi e di obiettivi sociali. Ricordiamo, quindi, che i primi requisiti etici per dialogare sono la libertà e l’uguaglianza, essenziali per il riconoscimento della dignità di tutti gli interlocutori.

Se dovessimo indicare il migliore approccio, o meglio lo stile maggiormente favorevole alla costruzione del dialogo, potremmo indicare quello assertivo, in quanto esso salvaguarda i diritti di tutti gli interlocutori: la difesa delle proprie ragioni non impedisce, infatti, il rispetto delle opinioni e convinzioni altrui.

L’affermazione dei propri diritti non viola i diritti degli altri. L’assertivo ascolta e si fa ascoltare, non si lascia intimidire ed è franco, diretto e onesto; il suo comportamento è riflessivo, realistico nelle aspettative e responsabile; egli sa ascoltare con attenzione ed esprimere con chiarezza sentimenti e desideri.

È questo il giusto atteggiamento che abbiamo il dovere di insegnare ai nostri giovani, perché non possiamo dimenticare che oggi nelle società globali convivono quotidianamente persone di tradizioni, idee, culture, religioni e concezioni del mondo differenti, e da ciò derivano spesso incomprensioni e conflitti. Tali difficoltà sono spesso il risultato di una mancata educazione a un umanesimo solidale fondato, appunto, sull’educazione alla cultura del dialogo.

 

Clara Di Mezza è teologa morale e docente presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Ha scritto La sofferenza: subire o agire? Una riflessione teologica, nel conflitto con il pensiero di Max Scheler, Effatà, Cantalupa (TO) 2015.

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