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Documenti, 5/2021, 01/03/2021, pag. 160

Il vescovo e l'unità dei cristiani

Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani

«L’impegno ecumenico del vescovo non è una dimensione opzionale del suo ministero, bensì un dovere e un obbligo». Il 4 dicembre 2020 è stato presentato il documento Il vescovo e l’unità dei cristiani. Vademecum ecumenico, opera del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani. Il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio, nel presentare il testo insieme ai cardd. Marc Ouellet, Luis Antonio Tagle e Leonardo Sandri, lo ha definito «una bussola» per indirizzare i vescovi nel cammino ecumenico. Il Vademecum ripercorre le tappe fondamentali del percorso ecumenico: dalla Unitatis redintegratio del Vaticano II all’enciclica Ut unum sint pubblicata nel 1995, fino ai due documenti del Pontificio consiglio, il Direttorio ecumenico e La dimensione ecumenica nella formazione di chi si dedica al ministero pastorale. Il testo, frutto di tre anni di lavoro, si suddivide in due parti principali, dedicate rispettivamente alla promozione dell’ecumenismo nella Chiesa cattolica e alle relazioni con gli altri cristiani. Ogni sottosezione è arricchita da alcune «Raccomandazioni pratiche».

 

Stampa (4.12.2020) da sito web www.christianunity.va.

Prefazione

     Il ministero affidato al vescovo è un servizio di unità sia all’interno della propria diocesi che tra la Chiesa locale e la Chiesa universale. Questo ministero ha quindi una rilevanza speciale nella ricerca dell’unità di tutti i discepoli di Cristo. La responsabilità del vescovo nel promuovere l’unità dei cristiani è chiaramente affermata nel Codice di diritto canonico della Chiesa latina tra i compiti del suo ufficio pastorale: «Abbia un atteggiamento di umanità e carità nei confronti dei fratelli che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica, favorendo anche l’ecumenismo, come viene inteso dalla Chiesa» (CIC 1983 can. 383, § 3). Di conseguenza, il vescovo non può considerare la promozione della causa ecumenica semplicemente come uno dei tanti compiti del suo ministero diversificato, un compito che potrebbe o dovrebbe essere rimandato davanti ad altre priorità, apparentemente più importanti. L’impegno ecumenico del vescovo non è una dimensione opzionale del suo ministero, bensì un dovere e un obbligo. Questo appare ancor più chiaramente nel Codice dei canoni delle Chiese orientali, che contiene una sezione speciale dedicata al compito ecumenico, nella quale si raccomanda in modo particolare ai pastori della Chiesa di «darsi da fare partecipando ingegnosamente all’attività ecumenica» (CCEO 1990 cann. 902-908). Nel servizio dell’unità, il ministero pastorale del vescovo include dunque non solo l’unità della sua Chiesa, ma anche l’unità di tutti i battezzati in Cristo.

     Il presente documento, Il vescovo e l’unità dei cristiani. Vademecum ecumenico, pubblicato dal Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, è offerto come un supporto ai vescovi diocesani ed eparchiali per aiutarli a comprendere e ad attuare meglio la loro responsabilità ecumenica. All’origine del Vademecum vi è stata una richiesta formulata durante un’assemblea plenaria di questo Pontificio consiglio. Il testo è stato redatto dagli officiali del Consiglio con la consulenza di esperti e con l’approvazione dei competenti dicasteri della curia romana. Siamo ora lieti di pubblicarlo con la benedizione del santo padre papa Francesco.

     Affidiamo questo lavoro ai vescovi del mondo, sperando che in queste pagine possano trovare linee guida chiare e utili, che li aiutino a guidare le Chiese locali affidate alla loro cura pastorale verso quell’unità per la quale il Signore ha pregato e alla quale la Chiesa è irrevocabilmente chiamata.

Kurt card. Koch,
presidente

@ Brian Farrell,
vescovo tit. di Abitine,
segretario

 

Introduzione
1. La ricerca dell’unità è intrinseca alla natura della Chiesa

     La preghiera del Signore per l’unità dei suoi discepoli «siano una cosa sola» è legata alla missione che egli affida loro «perché il mondo creda» (Gv 17,21). Il concilio Vaticano II ha sottolineato che la divisione tra le comunità cristiane «non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo a ogni creatura» (Unitatis redintegratio [UR], n. 1; EV 1/494). Se i cristiani vengono meno al loro essere segno visibile di questa unità, vengono meno al loro dovere missionario di condurre tutti all’unità salvifica: la comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. In questo senso capiamo perché il lavoro dell’unità è essenziale per la nostra identità come Chiesa e perché san Giovanni Paolo II ha potuto scrivere nella sua storica enciclica Ut unum sint: «La ricerca dell’unità dei cristiani non è un atto facoltativo o di opportunità, ma un’esigenza che scaturisce dall’essere stesso della comunità cristiana» (Ut unum sint, n. 49, cf. anche n. 3; EV 14/2758).

2. Una comunione reale, anche se incompleta

     Il decreto sull’ecumenismo del concilio Vaticano II, Unitatis redintegratio, riconosce che quanti credono in Cristo e sono battezzati con l’acqua nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sono veramente nostri fratelli e sorelle in Cristo (cf. UR 3). Attraverso il battesimo sono «incorporati a Cristo» (UR 3), veramente incorporati a Cristo crocifisso e glorificato e rigenerati per partecipare alla vita divina (cf. UR 22). Inoltre, il Concilio riconosce che le comunità alle quali questi fratelli e sorelle appartengono sono dotate di molti elementi essenziali che Cristo vuole per la sua Chiesa, sono usate dallo Spirito come «mezzi di salvezza» e hanno una comunione reale, anche se incompleta, con la Chiesa cattolica (cf. UR 3). Il decreto specifica gli ambiti della nostra vita ecclesiale in cui esiste questa comunione e si sforza di discernere in cosa e in quale misura la comunione ecclesiale varia da una comunità cristiana all’altra. Infine Unitatis redintegratio, riconoscendo il valore positivo delle altre comunità cristiane, deplora che, a causa della ferita della divisione tra i cristiani, per la Chiesa stessa «diventa più difficile esprimere sotto ogni aspetto la pienezza della cattolicità nella realtà della vita» (UR 4; EV 1/517).

3. L’unità dei cristiani riguarda la Chiesa intera

     «La cura di ristabilire l’unione – scrivono i padri del concilio Vaticano II – riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e tocca ognuno secondo le proprie possibilità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno quanto negli studi teologici e storici» (UR 5; EV 1/519). L’insistenza del Concilio sul fatto che lo sforzo ecumenico richieda l’impegno di tutti i fedeli, e non solo di teologi e responsabili di Chiese in occasione di dialoghi internazionali, è stato ripetutamente sottolineato nei documenti ecclesiali successivi. In Ut unum sint san Giovanni Paolo II scrive che «l’impegno per il dialogo ecumenico […] lungi dall’essere prerogativa della sede apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o particolari» (n. 31; EV 14/2722). La comunione reale, anche se incompleta, che già esiste tra i cattolici e gli altri cristiani battezzati può e deve essere approfondita simultaneamente a diversi livelli. Papa Francesco ha riassunto efficacemente questo atteggiamento nella frase «camminare insieme, pregare insieme, lavorare insieme». Condividendo la vita cristiana con altri battezzati, pregando con loro e per loro e offrendo una testimonianza comune della nostra fede cristiana, noi cresciamo in quell’unità che è il desiderio del Signore per la sua Chiesa.

4. Il vescovo come principio visibile dell’unità

     In quanto pastore del gregge, il vescovo ha la responsabilità specifica di raccoglierlo in unità. Egli è «il visibile principio e fondamento dell’unità» nella sua Chiesa particolare (Lumen gentium [LG], n. 23; EV 1/338). Il servizio dell’unità non è solo uno dei tanti compiti del ministero del vescovo: ne costituisce un aspetto fondamentale. «Il vescovo sentirà l’urgenza di promuovere l’ecumenismo» (Apostolorum successores, n. 18). Radicata nella sua preghiera personale, la preoccupazione per l’unità deve caratterizzare ogni aspetto del suo ministero: nel suo insegnamento della fede, nel suo ministero sacramentale e nelle decisioni attinenti alla sua cura pastorale, egli è chiamato a costruire e a rafforzare quell’unità per la quale Gesù ha pregato nell’Ultima cena (cf. Gv 17). Un’ulteriore dimensione di questo ministero di unità è diventata evidente con l’adesione della Chiesa cattolica al movimento ecumenico. Da lì consegue che la preoccupazione del vescovo per l’unità della Chiesa si estende «anche a quelli che non fanno ancora parte dell’unico gregge» (LG 27; EV 1/353) ma sono nostri fratelli e sorelle nello Spirito Santo in virtù dei legami di comunione, reali anche se imperfetti, che uniscono tutti i battezzati.

      Il ministero episcopale di unità è strettamente legato alla sinodalità. Secondo papa Francesco, «l’attento esame di come si articolano nella vita della Chiesa il principio della sinodalità e il servizio di colui che presiede offrirà un contributo significativo al progresso delle relazioni tra le nostre Chiese».[1] I vescovi che compongono un collegio in unione con il papa esercitano il loro ministero pastorale ed ecumenico in modo sinodale assieme all’intero popolo di Dio. Come ha affermato papa Francesco, «l’impegno a edificare una Chiesa sinodale – missione alla quale tutti siamo chiamati, ciascuno nel ruolo che il Signore gli affida – è gravido di implicazioni ecumeniche»,[2] poiché sia la sinodalità che l’ecumenismo sono cammini da percorrere insieme.

5. Il Vademecum, una guida per il vescovo nel suo discernimento

     Il compito ecumenico sarà sempre influenzato dall’ampia varietà di contesti nei quali i vescovi vivono e lavorano: in alcune regioni i cattolici sono in maggioranza, in altre costituiscono una minoranza rispetto a una o più comunità cristiane, in altre ancora è il cristianesimo a essere una minoranza. Anche le sfide pastorali sono estremamente diverse. Spetta sempre al vescovo diocesano/eparchiale la valutazione delle sfide e delle opportunità del proprio contesto e il discernimento su come applicare i principî cattolici dell’ecumenismo nella propria diocesi/eparchia.[3] Il Direttorio per l’applicazione dei principî e delle norme sull’ecumenismo del 1993 (qui di seguito Direttorio ecumenico) è il testo di riferimento per il vescovo nel suo compito di discernimento. Questo Vademecum è offerto al vescovo come incoraggiamento e guida nell’adempimento delle sue responsabilità ecumeniche.

I. La promozione dell’ecumenismo nella Chiesa cattolica
6. La ricerca dell’unità è innanzitutto una sfida per i cattolici

     Unitatis redintegratio insegna che i fedeli cattolici devono innanzitutto «considerare con sincerità e diligenza ciò che deve essere rinnovato e realizzato nella stessa famiglia cattolica» (UR 4; EV 1/512). Perciò, prima ancora di entrare in relazione con altri cristiani, è necessario che i cattolici, secondo le parole del decreto, «esaminino la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e, com’è dovere, intraprendano con vigore l’opera di rinnovamento e di riforma» (UR 4). Questo rinnovamento interiore predispone e prepara la Chiesa al dialogo e all’impegno con gli altri cristiani: è uno sforzo che riguarda sia le strutture ecclesiali (Sezione A) che la formazione ecumenica dell’intero popolo di Dio (Sezione B).

A. Le strutture ecumeniche a livello locale e regionale
7. Il vescovo come uomo di dialogo che promuove l’impegno ecumenico 

     Christus Dominus n. 13 descrive il vescovo come un uomo di dialogo che va incontro alle persone di buona volontà nella comune ricerca della verità, con una capacità di conversare contrassegnata da chiarezza e umiltà, in uno spirito di carità e amicizia. Il Codice di diritto canonico (CIC) richiama questa idea nel canone 383, n.3, quando, a proposito delle responsabilità ecumeniche del vescovo, afferma: «Abbia un atteggiamento di umanità e di carità nei confronti dei fratelli che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica, favorendo anche l’ecumenismo come viene inteso dalla Chiesa». Il compito ecumenico del vescovo è perciò quello di promuovere sia il «dialogo della carità» che il «dialogo della verità».

8. La responsabilità del vescovo di guidare e orientare le iniziative ecumeniche

     Accanto alla disposizione personale del vescovo al dialogo, vi è anche il suo ruolo di guida e di governo. Unitatis redintegratio menziona l’impegno del popolo di Dio in molteplici attività ecumeniche, ma sempre «sotto la vigilanza dei pastori» (UR 4). Il can.755, nella sezione del Codice dedicata alla «funzione di insegnare nella Chiesa», afferma che «spetta in primo luogo a tutto il Collegio dei vescovi e alla sede apostolica sostenere e dirigere presso i cattolici il movimento ecumenico» (CIC can. 755, § 1). È inoltre responsabilità dei vescovi, sia individualmente che come conferenze episcopali o sinodi, «secondo che le diverse circostanze lo esigano o lo consiglino, impartire norme pratiche, tenute presenti le disposizioni emanate dalla suprema autorità della Chiesa» (CIC can. 755, n. 2, cf. anche Apostolorum successores, n. 18). Nello stabilire le norme, i vescovi – agendo sia individualmente che nel quadro della conferenza episcopale – vigileranno che non sorgano confusione o fraintendimenti e che non sia dato scandalo ai fedeli.

      Il Codice dei canoni delle Chiese orientali, che dedica un intero Titolo all’ecumenismo (XVIII), sottolinea il «compito speciale» delle Chiese orientali cattoliche nel promuovere l’unità di tutte le Chiese orientali ed evidenzia il ruolo dei vescovi eparchiali in questo impegno. L’unità può essere promossa «con la preghiera, con l’esempio della vita, con la religiosa fedeltà verso le antiche tradizioni orientali, con una migliore conoscenza vicendevole, con la collaborazione e la fraterna stima delle cose e dei cuori» (can. 903).

9. La nomina dei delegati all’ecumenismo

     Il Direttorio ecumenico (n. 41) raccomanda che il vescovo nomini un delegato diocesano per l’ecumenismo, che collabori strettamente con lui e lo consigli sulle questioni ecumeniche. Propone anche che il vescovo istituisca una commissione diocesana per l’ecumenismo per assisterlo nella promozione degli insegnamenti della Chiesa sull’ecumenismo così come sono delineati nei documenti e nelle direttive della conferenza episcopale e del sinodo (nn. 42-45). Il delegato per l’ecumenismo e i membri della commissione ecumenica possono essere importanti punti di contatto con le altre comunità cristiane e possono rappresentare il vescovo negli incontri ecumenici. Per far sì che le parrocchie cattoliche siano a loro volta pienamente impegnate a livello ecumenico nella loro realtà locale, molti vescovi hanno trovato
utile incoraggiare la nomina di incaricati ecumenici parrocchiali, come previsto nel Direttorio ecumenico (nn. 45 e 67).

10. La commissione ecumenica delle conferenze episcopali e dei sinodi delle Chiese cattoliche orientali

     Quando la conferenza episcopale o il sinodo sono sufficientemente ampi, il Direttorio ecumenico raccomanda che si crei una commissione episcopale incaricata dell’ecumenismo (nn. 46-47). I vescovi che la compongono dovrebbero essere affiancati da un gruppo di esperti come consultori e, se possibile, da una segreteria permanente. Uno dei compiti principali della commissione sarà quello di trasporre i documenti ecumenici della Chiesa in iniziative concrete adeguate al contesto locale. Nel caso in cui il piccolo numero dei membri della conferenza episcopale non consentisse di costituire una commissione episcopale, si dovrebbe almeno nominare un vescovo responsabile per l’attività ecumenica (n. 46), che potrebbe essere affiancato da consultori competenti.

     La commissione dovrà sostenere e consigliare i singoli vescovi e i diversi uffici della conferenza episcopale nell’adempimento delle loro responsabilità ecumeniche. Il Direttorio ecumenico auspica che la commissione collabori con le istituzioni ecumeniche esistenti a livello nazionale o territoriale. Ogniqualvolta lo si ritenga opportuno, la commissione potrà organizzare dialoghi e consultazioni con altre comunità cristiane. I membri della commissione potranno rappresentare la comunità cattolica – o nominare un rappresentante – qualora essa fosse invitata a partecipare a un importante evento di un’altra comunità cristiana. Analogamente, dovrà essere assicurato un adeguato livello di rappresentanza di ospiti ecumenici o delegati per i momenti significativi della vita della Chiesa cattolica. Apostolorum successores suggerisce di invitare ai sinodi diocesani osservatori di altre comunità cristiane, previa consultazione con i responsabili di quelle comunità (cf. Apostolorum successores, n. 170).

      La visita ad limina apostolorum offre ai vescovi un’opportunità per condividere le loro esperienze e preoccupazioni ecumeniche con il papa, il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e altri uffici della curia. È anche l’occasione in cui i vescovi possono chiedere informazioni o consigli al Pontificio consiglio.

B. La dimensione ecumenica della formazione
11. Un popolo disposto al dialogo all’impegno ecumenico 

      Il vescovo può fare in modo che, attraverso la formazione, i fedeli della sua diocesi siano adeguatamente preparati alla relazione con altri cristiani. Unitatis redintegratio n. 11 raccomanda a quanti si impegnano nel dialogo ecumenico di affrontare questo compito «con amore della verità, con carità e umiltà». Queste tre disposizioni fondamentali devono essere al centro della formazione ecumenica dell’intero popolo di Dio.

     In primo luogo, l’ecumenismo non prevede compromessi, non presuppone cioè che l’unità possa essere realizzata a detrimento della verità. Al contrario, la ricerca dell’unità ci aiuta ad apprezzare meglio la verità rivelata di Dio. Di conseguenza, il fondamento della formazione ecumenica è che «la fede cattolica va spiegata con maggior profondità ed esattezza, con un modo di esposizione e un linguaggio che possano essere compresi anche dai fratelli separati» (UR 11; EV 1/535). Queste spiegazioni devono favorire la comprensione che «esiste un ordine o “gerarchia” nelle verità della dottrina cattolica, in ragione del loro rapporto differente col fondamento della fede cristiana» (UR 11). Sebbene tutte le verità rivelate siano credute con la stessa fede divina, la loro importanza dipende dal rapporto con i misteri salvifici della Trinità e della salvezza in Cristo, fonte di tutte le dottrine cristiane. Soppesando le verità e non limitandosi a enumerarle, i cattolici possono acquisire una comprensione più accurata dell’unità che esiste tra i cristiani.

     In secondo luogo, la virtù della carità richiede che i cattolici evitino presentazioni polemiche della storia e della teologia cristiane e, in particolare, raffigurazioni distorte delle posizioni degli altri cristiani (cf. UR 4 e 10). Animati da uno spirito di carità, i formatori cercheranno sempre di evidenziare la fede cristiana che condividiamo con gli altri e di presentare con equilibrio e accuratezza le differenze teologiche che ci separano. In tal modo, il lavoro di formazione aiuterà a superare gli ostacoli che si frappongono al dialogo (cf. UR 11).

     Il concilio Vaticano II ha insistito sul fatto che «non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione» (UR 7; EV 1/522). Un adeguato atteggiamento di umiltà permette ai cattolici di apprezzare «ciò che Dio opera in coloro che appartengono alle altre Chiese e Comunità ecclesiali» (Ut unum sint, n. 48; EV 14/2755), il che a sua volta ci aiuta a imparare e a riceverne i doni dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle. L’umiltà è necessaria anche quando, grazie all’incontro con altri cristiani, viene alla luce una verità «che potrebbe richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti» (Ut unum sint, n. 36; EV 14/2729).

I) La formazione dei laici, dei seminaristi e del clero
12. Una breve guida al Direttorio ecumenico sulla formazione

     La dimensione ecumenica deve essere presente in tutti gli aspetti e le discipline della formazione cristiana. Il Direttorio ecumenico offre innanzitutto indicazioni per la formazione ecumenica di tutti i fedeli (cf. nn. 58-69). Questa formazione avviene tramite lo studio della Bibbia, l’annuncio della Parola, la catechesi, la liturgia e la vita spirituale nei molteplici contesti come la famiglia, la parrocchia, la scuola e le associazioni di laici. Successivamente il Direttorio offre indicazioni per la formazione di quanti sono impegnati nel lavoro pastorale, siano essi ordinati (cf. nn. 70-82) o laici (cf. nn. 83-86). Raccomanda che tutti i corsi siano permeati da una dimensione e una sensibilità ecumeniche e, al contempo, chiede che sia istituito un corso specifico di ecumenismo nell’ambito del primo ciclo di studi teologici (cf. n. 79). Auspica in modo particolare che sia favorita la dimensione ecumenica della formazione nei seminari e raccomanda che a tutti i seminaristi venga assicurata la possibilità di vivere un’esperienza ecumenica (cf. nn. 70-82). Il Direttorio prende anche in considerazione la formazione ecumenica continua dei presbiteri, dei diaconi, dei religiosi e dei laici (cf. n. 91).

     Nel 1997 il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha pubblicato alcune direttive intitolate La dimensione ecumenica nella formazione di chi si dedica al ministero pastorale. Il documento è articolato in due parti: la prima affronta la necessità di fornire una dimensione ecumenica a ogni ambito della formazione teologica, la seconda riguarda gli elementi indispensabili per i corsi dedicati in modo specifico all’ecumenismo.

II) L’uso dei media e dei siti web diocesani
13. Un approccio ecumenico all’uso dei media

      Nel corso dei secoli la mancanza di comunicazione tra le comunità cristiane ha approfondito le divergenze esistenti tra loro. Gli sforzi per riannodare e rafforzare la comunicazione possono svolgere un ruolo chiave nel riavvicinamento dei cristiani divisi. Quanti rappresentano la Chiesa nei mezzi di comunicazione sociale devono ispirarsi alle disposizioni ecumeniche sopra descritte. La presenza cattolica nei media deve dimostrare la stima che i cattolici nutrono per i loro fratelli e le loro sorelle cristiani, e il loro essere aperti all’ascolto degli altri e desiderosi di imparare da loro.

14. Alcune raccomandazioni per i siti web diocesani

     Internet è sempre di più il mezzo attraverso il quale il mondo percepisce il volto della Chiesa. È il luogo dove sia i fedeli cattolici che gli altri possono trovare rappresentata la Chiesa locale e a partire dal quale possono giudicarne priorità e impegni. Occorre quindi prestare attenzione a questa nuova dimensione della vita ecclesiale. L’impegno della Chiesa cattolica in favore dell’unità dei cristiani in obbedienza a Cristo, così come il nostro amore e il nostro apprezzamento verso le altre comunità cristiane, devono essere immediatamente percepibili sui siti web diocesani. Gli amministratori dei siti diocesani devono essere consapevoli della responsabilità che hanno nell’ambito della formazione cristiana. Il delegato diocesano per l’ecumenismo e la commissione ecumenica devono essere facilmente reperibili e contattabili attraverso il sito. Sarebbe inoltre molto utile che il sito fornisse i link alla pagina principale del sito della commissione ecumenica della conferenza episcopale o del sinodo, di quello del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e anche di quelli dei consigli ecumenici locali o nazionali.

     La pagina ecumenica del sito diocesano è il luogo ideale per pubblicizzare eventi e notizie. Tuttavia è opportuno chiedere sempre l’autorizzazione prima di usare materiale fotografico dei partner ecumenici, poiché in alcuni casi la dimensione pubblica può creare loro difficoltà.

Raccomandazioni pratiche

   – Familiarizzarsi con il Direttorio ecumenico e utilizzarlo.

   – Nominare un delegato diocesano. Il Direttorio ecumenico (n. 41) raccomanda che ogni diocesi abbia un delegato per l’ecumenismo che operi come stretto collaboratore del vescovo nelle questioni ecumeniche e che possa rappresentare la diocesi presso le altre comunità cristiane locali. Quando possibile, il suo ruolo sia distinto da quello del delegato per il dialogo interreligioso.

   – Istituire una commissione ecumenica diocesana. Il Direttorio ecumenico (nn. 42-44) propone che ogni diocesi abbia una commissione con il compito di introdurre una dimensione ecumenica in ogni aspetto della vita della Chiesa locale: sarà suo compito supervisionare la formazione ecumenica, avviare consultazioni con le altre comunità cristiane e promuovere con esse una testimonianza comune di fede cristiana.

   – Incoraggiare la nomina di delegati parrocchiali per l’ecumenismo. Il Direttorio ecumenico auspica che ogni parrocchia sia un «luogo dell’autentica testimonianza ecumenica» (n. 67. Si veda anche n. 45), con un parrocchiano incaricato delle relazioni ecumeniche.

   – Familiarizzarsi con le norme stabilite dalla vostra conferenza episcopale o dal vostro sinodo. Il Direttorio ecumenico (nn. 46-47) suggerisce che ogni conferenza episcopale o sinodo abbia una commissione di vescovi assistita da una segreteria permanente o, in sua mancanza, che incarichi un vescovo come responsabile per l’ecumenismo. Questa commissione o questo vescovo avrà il compito non solo di vigilare sulle norme sopra menzionate, ma anche di intrattenere relazioni con le istanze ecumeniche a livello nazionale.

   – Assicurarsi che in tutti i seminari e in tutte le facoltà di teologia cattoliche della diocesi ci sia un corso obbligatorio di ecumenismo e fare in modo che i corsi di teologia e degli altri ambiti di conoscenza abbiano una dimensione ecumenica (cf. UR 10).

   – Diffondere documentazione e materiale ecumenico attraverso il sito web diocesano.

   – Condividere sul sito le notizie ecumeniche, affinché i fedeli della diocesi possano vedere il loro vescovo che incontra, prega e lavora con le altre comunità cristiane a livello locale.

II. Le relazioni della Chiesa cattolica con gli altri cristiani
15. Le diverse modalità dell’impegno ecumenico con gli altri cristiani

      Il movimento ecumenico è uno e indivisibile e deve sempre essere pensato come un tutto. Tuttavia assume forme differenti a seconda delle diverse dimensioni della vita ecclesiale. L’ecumenismo spirituale promuove la preghiera, la conversione e la santità in vista dell’unità dei cristiani. Il dialogo della carità privilegia l’incontro nelle relazioni quotidiane e la collaborazione, alimentando e approfondendo il legame che già condividiamo attraverso il battesimo. Il dialogo della verità si occupa dell’aspetto dottrinale vitale per sanare le divisioni tra cristiani. Il dialogo della vita include tutte le occasioni di incontro e di collaborazione con altri cristiani nella cura pastorale, nella missione nel mondo e attraverso la cultura. Queste forme di ecumenismo sono qui distinte per ragioni di chiarezza di esposizione, ma non va mai dimenticato che sono strettamente correlate e costituiscono aspetti diversi e reciprocamente arricchenti di un’unica realtà. D’altronde, molte iniziative ecumeniche implicano simultaneamente diverse di queste dimensioni. Le distinzioni usate in questo documento sono finalizzate ad aiutare il vescovo nel suo discernimento.[4]

A. L’ecumenismo spirituale
16. Preghiera, conversione e santità di vita

      L’ecumenismo spirituale è descritto in Unitatis redintegratio come «l’anima di tutto il movimento ecumenico» (UR 8; EV 1/525). A ogni liturgia eucaristica i cattolici chiedono al Signore di donare «unità e pace» alla Chiesa (Rito romano, prima del segno della pace) o pregano «per la stabilità delle sante Chiese di Dio e per l’unità di tutti» (Divina Liturgia di san Giovanni Crisostomo, Litania di pace).

      L’ecumenismo spirituale consiste non solo nella preghiera per l’unità dei cristiani, ma anche nella «conversione del cuore e la santità di vita» (UR 8). In effetti, «si ricordino tutti i fedeli, che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica l’unione dei cristiani, quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme al Vangelo» (UR 7; EV 1/524). L’ecumenismo spirituale richiede conversione e riforma, come affermato da papa Benedetto XVI: «Occorrono gesti concreti che entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via dell’ecumenismo».[5] Analogamente il card. Walter Kasper ha scritto nel suo manuale di ecumenismo spirituale: «Soltanto la conversione del cuore e il rinnovamento della mente possono guarire i vincoli feriti di comunione».[6]

17. Pregare con altri cristiani

     Poiché condividiamo una reale comunione come fratelli e sorelle in Cristo, noi cattolici non solo possiamo, ma dobbiamo cercare occasioni per pregare con altri cristiani. Alcune forme di preghiera sono particolarmente adatte alla ricerca dell’unità dei cristiani. Come recitiamo il Padre nostro al termine del rito del battesimo riconoscendo così la dignità acquisita di figli dell’unico Padre, così è appropriato recitare la medesima preghiera con gli altri cristiani con i quali condividiamo il battesimo.

      Analogamente, l’antica pratica cristiana di recitare insieme i salmi e i cantici biblici (la preghiera della Chiesa) è tradizione che rimane comune a molte comunità cristiane e quindi ben si presta alla preghiera in un contesto ecumenico (cf. Direttorio ecumenico, nn. 117-119).[7]

      Nel promuovere la preghiera comune, i cattolici devono essere consapevoli che alcune comunità cristiane non praticano la preghiera con altri cristiani, come avveniva un tempo nella Chiesa cattolica.

18. Preghiera per l’unità: la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

      Il concilio Vaticano II ha insegnato che «riconciliare tutti i cristiani nell’unità di una sola e unica Chiesa di Cristo, supera le forze e le doti umane» (UR 24; EV 1/572). Pregando per l’unità noi riconosciamo che l’unità è un dono dello Spirito Santo e non un obiettivo che possiamo raggiungere soltanto con i nostri sforzi. La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è celebrata ogni anno dal 18 al 25 gennaio oppure, in alcune parti del mondo, in prossimità della festa di Pentecoste. Ogni anno un gruppo ecumenico di cristiani di una determinata regione ne prepara il materiale. Incentrati su un testo biblico, questi sussidi propongono un tema, una celebrazione ecumenica e brevi riflessioni bibliche per ogni giorno della settimana. Il vescovo può far progredire molto efficacemente la causa dell’unità dei cristiani, da un lato partecipando a una celebrazione ecumenica assieme ad altri responsabili di Chiesa per valorizzare la settimana di preghiera e, dall’altro, incoraggiando le parrocchie e i gruppi a lavorare con altre comunità cristiane presenti sul territorio al fine di organizzare insieme momenti particolari di preghiera durante questa settimana.

19. Pregare gli uni per gli altri e per le necessità del mondo

      Un aspetto importante dell’ecumenismo spirituale consiste semplicemente nel pregare per i nostri fratelli e le nostre sorelle in Cristo, in particolare per quanti vivono vicino a noi. Anche se esistono difficoltà nelle relazioni ecumeniche locali o se la nostra apertura nei confronti degli altri non è corrisposta, possiamo continuare a pregare per il bene di quei cristiani. Una simile preghiera può diventare una componente abituale della nostra preghiera personale e delle intercessioni nelle nostre liturgie.

      Ut unum sint insegna che «non vi è evento importante, significativo, che non benefici della presenza reciproca e della preghiera dei cristiani» (n. 25). I cristiani di diverse tradizioni condividono lo stesso interesse per la comunità locale nella quale vivono e per le sfide particolari che essa deve affrontare. I cristiani possono manifestare il loro impegno comune celebrando insieme eventi e anniversari significativi della vita della loro comunità, e pregando insieme per le sue necessità specifiche. Anche realtà mondiali come la guerra, la povertà, il dramma dei migranti, l’ingiustizia e la persecuzione dei cristiani e di altri gruppi religiosi richiedono l’attenzione dei cristiani che possono riunirsi in preghiera a favore della pace e dei più vulnerabili.

20. Le sacre Scritture

      Unitatis redintegratio afferma che la sacra Scrittura «costituisce uno strumento eccellente nella potente mano di Dio per il raggiungimento dell’unità» (n. 21). Il Direttorio ecumenico raccomanda che si faccia tutto il possibile per incoraggiare i cristiani a leggere insieme le Scritture. In tal modo, prosegue il documento, si rafforza il legame di unità tra i cristiani, li si apre all’azione unificante di Dio e si imprime maggior forza alla testimonianza comune resa alla parola di Dio (cf. n. 183). I cattolici condividono le sacre Scritture con tutti i cristiani e, con molti di loro, anche un medesimo lezionario domenicale. Questo patrimonio biblico comune offre varie opportunità per incontri di preghiera e scambi basati sulle Scritture, per la lectio divina, per pubblicazioni e traduzioni condivise[8] e anche per pellegrinaggi ecumenici ai luoghi santi della Bibbia. Il ministero della predicazione può essere un mezzo particolarmente efficace per mostrare che, come cristiani, siamo nutriti dalla sorgente comune delle sacre Scritture. Quando risulti appropriato, i ministri cattolici e di altre tradizioni cristiane possono invitarsi reciprocamente a condividere il ministero della predicazione nelle rispettive celebrazioni non eucaristiche (cf. Direttorio ecumenico, n. 135. Si veda anche nn. 118-119).

21. Feste e tempi liturgici

     Analogamente, condividiamo con la maggior parte delle altre tradizioni i principali momenti del calendario liturgico: Natale, Pasqua e Pentecoste. Con molte tradizioni condividiamo anche i tempi liturgici dell’Avvento e della Quaresima. In numerose parti del mon-
do questo calendario comune consente ai cristiani di prepararsi insieme alla celebrazione delle principali feste cristiane. In alcune diocesi il vescovo cattolico pubblica, insieme agli altri responsabili delle Chiese, una dichiarazione congiunta in occasione di queste importanti celebrazioni.

22. Santi e martiri

      «L’ecumenismo dei santi, dei martiri, è forse il più convincente» ha scritto san Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente. E prosegue: «La communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di divisione» (n. 37). Le nostre Chiese sono già unite dalla comunione che i santi e i martiri condividono. Una comune devozione a un santo, a un santuario o a un’immagine particolari possono diventare occasione di pellegrinaggio, di processione o di celebrazione ecumenici. I cattolici in generale, e i vescovi cattolici in particolare, possono rafforzare i legami di unità con gli altri cristiani incoraggiando le devozioni comuni già esistenti.

      In alcune parti del mondo i cristiani sono vittime di persecuzioni. Papa Francesco parla spesso dell’«ecumenismo del sangue».[9] Coloro che perseguitano i cristiani spesso riconoscono meglio dei cristiani stessi l’unità che esiste tra loro. Onorando cristiani di altre tradizioni che hanno subito il martirio, i cattolici riconoscono le ricchezze che Cristo ha riversato su di loro e alle quali essi rendono una testimonianza potente (cf. UR 4). Inoltre, anche se la nostra comunione con le comunità alle quali appartengono questi martiri rimane imperfetta, essa è «già perfetta in ciò che tutti noi consideriamo l’apice della vita di grazia, la martyria fino alla morte, la comunione più vera che ci sia con Cristo» (Ut unum sint, n. 84, cf. anche nn. 12, 47, 48 e 79).

23. Il contributo della vita consacrata all’unità dei cristiani

      La vita consacrata, radicata nella tradizione comune della Chiesa indivisa, ha indubbiamente una vocazione particolare nella promozione dell’unità. Le comunità monastiche e religiose di antica fondazione, come anche le nuove comunità e i movimenti ecclesiali, possono essere luoghi privilegiati di ospitalità ecumenica, di preghiera per l’unità e di «scambio di doni» tra cristiani. Alcune comunità fondate di recente hanno come carisma specifico la promozione dell’unità dei cristiani, e a volte includono, come membri, cristiani di tradizioni diverse. Nella sua esortazione apostolica Vita consecrata, san Giovanni Paolo II ha scritto: «È urgente che nella vita delle persone consacrate si aprano spazi maggiori alla orazione ecumenica ed alla testimonianza autenticamente evangelica» (n. 100). In realtà, continua, «nessun Istituto di vita consacrata deve sentirsi dispensato dal lavorare per questa causa» (n. 101).

24. La purificazione della memoria

      L’espressione «purificazione della memoria» risale al concilio Vaticano II. Il penultimo giorno del Concilio (7 dicembre 1965), in una dichiarazione comune, san Paolo VI e il patriarca Atenagora hanno «rimosso dalla memoria» della Chiesa le scomuniche del 1054. Dieci anni dopo, san Paolo VI ha usato per la prima volta l’espressione «purificazione della memoria». Come ha scritto san Giovanni Paolo II, «L’assise conciliare si concludeva così con un atto solenne che era al tempo stesso purificazione della memoria storica, perdono reciproco e solidale impegno per la ricerca della comunione» (Ut unum sint, n. 52; EV 14/2766). Nella medesima enciclica san Giovanni Paolo II sottolinea la necessità di superare «certi rifiuti a perdonare», «quel rinchiudersi non evangelico nella condanna degli “altri”» e «un disprezzo che deriva da una malsana presunzione» (Ut unum sint, n. 15). Poiché le comunità cristiane sono cresciute separate le une dalle altre, spesso nutrendo risentimenti, in alcune circostanze si sono cristallizzati atteggiamenti come questi. La memoria di molte comunità cristiane rimane ferita da una storia di conflitti religiosi e nazionali. Tuttavia, quando comunità separate da divisioni storiche sono capaci di pervenire a una comune rilettura della storia, allora diventa possibile una riconciliazione delle memorie.

      La commemorazione del 500° anniversario della Riforma nel 2017 è un esempio di questa purificazione della memoria. Nel documento Dal conflitto alla comunione,[10] cattolici e luterani si sono chiesti come potevano trasmettere le loro rispettive tradizioni «senza scavare nuove trincee tra i cristiani di confessioni diverse» (n. 12). Hanno così scoperto che era possibile adottare un nuovo approccio alla loro storia: «Quello che è accaduto nel passato non si può cambiare, ma può invece cambiare, con il passare del tempo, ciò che del passato viene ricordato e in che modo. La memoria rende presente il passato. Mentre il passato in sé è inalterabile, la presenza del passato nel presente si può modificare» (n. 16).

Raccomandazioni pratiche

   – Pregare regolarmente per l’unità della Chiesa.

   – In occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, organizzare un servizio liturgico di preghiera in modo ecumenico e incoraggiare le parrocchie a fare altrettanto.

   – Valutare con i responsabili delle altre Chiese la possibilità di organizzare insieme giornate di studi biblici, pellegrinaggi/ processioni ecumenici, gesti simbolici congiunti o eventuali scambi di reliquie e di immagini sacre.

   – Pubblicare con uno o più responsabili delle altre Chiese un messaggio comune in occasione della festività del Natale o della Pasqua.

   – Celebrare una preghiera ecumenica per un’intenzione comune insieme ad altre comunità cristiane locali.

   – Incoraggiare i presbiteri o gli operatori pastorali a incontrare regolarmente i ministri e i responsabili di altre Chiese che lavorano in zona per pregare insieme.

   – Tenersi informati sul lavoro ecumenico delle comunità di vita consacrata e dei movimenti ecclesiali e incoraggiarlo ogniqualvolta sia possibile.

   – Chiedere alla commissione diocesana di collaborare con le altre comunità cristiane per discernere dove è necessaria la purificazione della memoria e suggerire iniziative concrete che possano facilitarla.

B. Il dialogo della carità
25. Il fondamento battesimale del dialogo della carità

     Ogni ecumenismo è battesimale. Se i cristiani riconoscono tutti gli esseri umani come fratelli e sorelle in virtù del loro Creatore comune, riconoscono un legame molto più profondo con i battezzati di altre comunità cristiane che sono loro fratelli e sorelle in Cristo, conformemente al Nuovo Testamento e ai Padri della Chiesa. Pertanto, il dialogo della carità attiene non solo alla fratellanza umana, ma anche ai legami di comunione istituiti dal battesimo.

26. Una cultura dell’incontro nelle istituzioni e negli eventi ecumenici

      I cattolici non devono aspettarsi che siano gli altri cristiani ad avvicinarsi a loro, ma devono essere sempre pronti a fare il primo passo verso gli altri (cf. UR 4). Questa «cultura dell’incontro» è il prerequisito di ogni autentico ecumenismo. È dunque importante che i cattolici partecipino, per quanto possibile, alle diverse istituzioni ecumeniche a livello locale, diocesano e nazionale. Istituzioni come i consigli di Chiese e i consigli cristiani rafforzano la comprensione reciproca e la cooperazione (cf. Direttorio ecumenico, nn. 166-171). I cattolici hanno un dovere particolare di partecipare al movimento ecumenico nei luoghi in cui costituiscono la maggioranza (cf. Direttorio ecumenico, n. 32). Il dialogo della carità si costruisce attraverso il moltiplicarsi di semplici iniziative che rafforzano i legami di comunione: lo scambio di messaggi o di delegazioni in occasioni particolari; visite reciproche e incontri tra ministri pastorali locali; gemellaggi o accordi tra comunità o istituzioni (diocesi, parrocchie, seminari, scuole e corali). In questo modo, con le parole e con i gesti, manifestiamo il nostro amore non solo per i nostri fratelli e le nostre sorelle in Cristo, ma anche per le comunità cristiane cui appartengono, dal momento che con gioia riconosciamo e stimiamo i valori veramente cristiani che vi troviamo (cf. UR 4).

      Molti vescovi, grazie al dialogo della carità, hanno potuto sperimentare che l’ecumenismo è ben più di un dovere del loro ministero: lo hanno scoperto come fonte di arricchimento e di gioia che fa loro esclamare: «Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme» (Sal 133,1).

Raccomandazioni pratiche

   – Fare il primo passo per incontrare i responsabili di altre Chiese.

   – Pregare per i responsabili di altre Chiese.

   – Assistere, per quanto possibile e opportuno, alle liturgie di ordinazione/ insediamento/ accoglienza dei responsabili di altre Chiese nella vostra diocesi.

   – Invitare, quando è opportuno, i responsabili di altre Chiese a celebrazioni liturgiche e ad altri eventi significativi.

   – Tenersi al corrente sui consigli di Chiese e su altre istituzioni ecumeniche presenti nella vostra diocesi e partecipare nella misura del possibile.

   – Informare i responsabili di altre Chiese di eventi e notizie importanti.

C. Il dialogo della verità
27. Il dialogo come scambio di doni

      In Ut unum sint san Giovanni Paolo II afferma che il dialogo «è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità della Chiesa» (Ut unum sint, n. 31; EV 14/2722). Attraverso il dialogo ecumenico ogni partecipante acquista una conoscenza più vera e una stima più giusta del suo interlocutore (cf. UR 4). San Giovanni Paolo II precisa che «il dialogo non è soltanto uno scambio di idee. In qualche modo esso è sempre uno “scambio di doni”» (Ut unum sint, n. 28). In questo scambio «le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa» (LG 13). Papa Francesco invita a prestare un’attenzione attiva ai doni degli altri cristiani o agli ambiti che riguardano le nostre esigenze ecclesiali e in cui possiamo imparare dagli altri: «Se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi» (Evangelii gaudium, n. 246; EV 29/2352).

28. Un dialogo che ci conduce alla verità tutta intera

      Il dialogo della verità è il dialogo teologico che mira alla ricomposizione dell’unità nella fede. In Ut unum sint san Giovanni Paolo II si chiede: «Chi potrebbe ritenere legittima una riconciliazione attuata a prezzo della verità?» (n. 18). Egli insiste sul fatto che la piena comunione si potrà realizzare solo «nell’accettazione della verità tutta intera, alla quale lo Spirito Santo introduce i discepoli di Cristo» (Ut unum sint, n. 36). È la stessa convinzione espressa a Gerusalemme nel 2014 da papa Francesco e dal patriarca ecumenico Bartolomeo nella Dichiarazione congiunta, dove sostengono: «Affermiamo ancora una volta che il dialogo teologico non cerca un minimo comune denominatore teologico sul quale raggiungere un compromesso, ma si basa piuttosto sull’approfondimento della verità tutta intera, che Cristo ha donato alla sua Chiesa e che, mossi dallo Spirito Santo, non cessiamo mai di comprendere meglio».

29. Il dialogo teologico a livello internazionale, nazionale e diocesano

      Negli anni successivi al concilio Vaticano II la Chiesa cattolica si è impegnata in numerosi dialoghi teologici internazionali bilaterali con le comunioni cristiane mondiali. Il compito delle commissioni di dialogo è stato quello di affrontare i disaccordi teologici che avevano causato divisioni nel corso della storia, ma di farlo lasciando da parte il linguaggio polemico e i pregiudizi del passato e prendendo invece come punto di partenza la tradizione comune.[11] Questi dialoghi hanno prodotto documenti nei quali gli interlocutori hanno tentato di delineare fino a che punto condividono la stessa fede: essi hanno affrontato le loro differenze, hanno cercato di ampliare il campo delle loro convergenze e hanno individuato le tematiche che richiedono un’ulteriore riflessione. I risultati del dialogo forniscono un quadro per discernere cosa si può e cosa non si può fare correttamente insieme sulla base della fede comune.

      Non meno importante è il lavoro di numerose commissioni nazionali di dialogo poste sotto l’autorità delle conferenze episcopali. Queste commissioni nazionali spesso sono in dialogo con le commissioni internazionali; da un lato, suggeriscono loro nuovi ambiti di ricerca feconda e, dall’altro, ricevono e commentano i loro documenti.

      Il dialogo della verità condotto a livello nazionale e diocesano può svolgere un ruolo particolarmente importante riguardo al significato e alla valida celebrazione del battesimo. Le autorità di alcune Chiese locali sono state in grado di formulare dichiarazioni comuni che esprimevano il mutuo riconoscimento del battesimo (cf. Direttorio ecumenico, n. 94). Anche altri gruppi di lavoro e iniziative ecumeniche possono offrire un prezioso contributo al dialogo della verità.[12]

30. La sfida della ricezione

      La ricezione è il processo mediante il quale la Chiesa discerne e assimila quanto riconosce essere un insegnamento autenticamente cristiano. La comunità cristiana ha esercitato questo discernimento fin dal primo annuncio della Parola e nel corso di tutta la storia dei concili ecumenici e del magistero della Chiesa. La ricezione assume un nuovo significato nell’era dell’ecumenismo. Mentre i dialoghi bilaterali e multilaterali hanno prodotto nel corso degli anni molti accordi e dichiarazioni comuni, questi testi non sempre sono entrati nella vita delle comunità cristiane. Nel suo documento sulla ricezione, il Gruppo misto di lavoro tra il Consiglio ecumenico delle Chiese e la Chiesa cattolica definisce la ricezione ecumenica come «l’atteggiamento evangelico necessario affinché [i risultati del dialogo] possano essere adottati da una determinata tradizione ecclesiale».[13] San Giovanni Paolo II ha insistito sulla necessità, per un’effettiva ricezione degli accordi bilaterali, di «un serio esame che, in modi, forme e competenze diverse, deve coinvolgere il popolo di Dio nel suo insieme» (Ut unum sint, n. 80; EV 14/2838). Questo processo di ricezione deve coinvolgere l’intera Chiesa nell’esercizio del sensus fidei: fedeli laici, teologi e pastori. Le facoltà teologiche e le commissioni ecumeniche locali svolgono un ruolo importante al riguardo. La responsabilità di un giudizio definitivo spetta comunque all’autorità docente della Chiesa (cf. Ut unum sint, n. 81). I vescovi sono quindi chiamati a leggere e a valutare in modo particolare i documenti ecumenici maggiormente rilevanti per il proprio contesto. Molti di questi documenti contengono suggerimenti che possono essere attuati a livello locale.

      Nonostante i testi prodotti dai dialoghi ecumenici non facciano parte dell’insegnamento ufficiale delle Chiese coinvolte, tuttavia la loro ricezione nella vita delle comunità cristiane contribuisce a una comprensione e a un apprezzamento più profondi dei misteri della fede.

Raccomandazioni pratiche

   – Individuare quali documenti bilaterali sono già stati pubblicati dalla Chiesa cattolica insieme alle principali comunità cristiane presenti nella diocesi. In appendice a questo Vademecum troverete una presentazione di questi dialoghi, i cui documenti sono disponibili sul sito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.

   – Istituire una commissione di dialogo diocesana o regionale che comprenda come esperti teologi sia laici che ordinati. La commissione potrà sia dedicarsi a uno studio comune dei documenti dei dialoghi internazionali e nazionali, sia affrontare questioni di interesse locale.

   – Chiedere alla commissione di proporre azioni concrete che possano essere intraprese congiuntamente dalla diocesi e da una o più di una delle altre comunità cristiane presenti sul territorio sulla base degli accordi ecumenici raggiunti.

D. Il dialogo della vita

      31. Le verità enunciate congiuntamente nel dialogo teologico devono poter trovare un’espressione concreta attraverso un’azione comune nella cura pastorale, nel servizio al mondo e in ambito culturale. Il Direttorio ecumenico afferma che il contributo che i cristiani possono offrire in questi campi della vita umana «è più efficace quando lo danno tutti insieme e quando si vede che sono uniti nell’operare» (n. 162). «Essi, quindi», continua il Direttorio, «desidereranno compiere insieme tutto ciò che è consentito dalla loro fede» (n. 162). Queste parole fanno eco a un importante principio ecumenico, noto come il principio di Lund, formulato per la prima volta nel 1952 dal Consiglio ecumenico delle Chiese, secondo il quale i cristiani devono «agire insieme in tutti gli ambiti, eccetto dove profonde differenze di convinzione li obbligano ad agire separatamente» (Terza conferenza mondiale della Commissione fede e costituzione). Lavorando insieme, i cattolici iniziano a vivere in profondità e nella fede la comunione che già sperimentano con gli altri cristiani.

      In questo processo i cattolici sono chiamati a dar prova sia di pazienza che di perseveranza, due virtù gemelle dell’ecumenismo: procedendo «con gradualità e precauzione, senza eludere le difficoltà» (Direttorio ecumenico, n. 23) sotto la guida dei loro vescovi, ma nondimeno impegnandosi sinceramente in questa ricerca, motivati dal bisogno urgente di riconciliazione e dal desiderio di Cristo che i suoi discepoli siano una cosa sola (cf. Evangelii gaudium, n. 246, Ut unum sint, n. 48).

  1. I) L’ecumenismo pastorale
  2. Le sfide pastorali comuni

come opportunità per l’ecumenismo

     Molto spesso le comunità cristiane in una determinata regione affrontano le stesse sfide pastorali e missionarie. Se non c’è un genuino desiderio di unità tra i cristiani, queste sfide possono esacerbare le tensioni fino ad alimentare uno spirito di competizione tra le comunità. Per contro, se affrontate con un adeguato spirito ecumenico, queste stesse sfide possono diventare un’opportunità di crescita per l’unità dei cristiani attraverso la cura pastorale, chiamata qui «ecumenismo pastorale». È uno degli ambiti che contribuisce più efficacemente a promuovere l’unità dei cristiani nella vita dei credenti.

33. Ministero condiviso e condivisione delle risorse

     In numerose parti del mondo e in molti modi, i ministri cristiani di diverse tradizioni lavorano insieme per garantire la cura pastorale negli ospedali, nelle prigioni, nelle forze armate, nelle università e in altre cappellanie. In molte di queste situazioni, le cappelle e altri spazi sono condivisi per assicurare il ministero ai fedeli di diverse comunità cristiane (cf. Direttorio ecumenico, n. 204). Qualora ritenga che non sussista il rischio di provocare scandalo o confusione tra i fedeli, il vescovo diocesano potrà concedere l’uso di una chiesa ad altre comunità cristiane. Un particolare discernimento è richiesto nel caso in cui sia implicata la cattedrale diocesana. Il Direttorio ecumenico (n. 137) prevede le situazioni nelle quali una diocesi cattolica può venire in aiuto di un’altra comunità priva di un proprio luogo di culto o di oggetti liturgici necessari a celebrare degnamente le proprie funzioni. Analogamente, esistono numerosi contesti in cui sono le comunità cattoliche a ricevere una simile ospitalità da parte di altre comunità cristiane. Questa condivisione di risorse può alimentare la fiducia e approfondire la comprensione reciproca tra i cristiani.

34. Missione e catechesi

      Gesù ha pregato «che siano una cosa sola … perché il mondo creda» (Gv 17,21), e fin dalla sua origine, il movimento ecumenico ha sempre avuto al centro la missione evangelizzatrice della Chiesa. La divisione dei cristiani ostacola l’evangelizzazione e nuoce alla credibilità del messaggio evangelico (cf. UR 1, Evangelii nuntiandi, n. 77 e Ut unum sint, nn. 98-99). Il Direttorio ecumenico sottolinea la necessità di evitare che «i fattori umani, culturali e politici che non erano estranei, alle origini, alle divisioni tra le Chiese» siano trapiantati nei territori di nuova missione e chiede ai missionari cristiani di diverse tradizioni di lavorare «con amore e rispetto reciproco» (n. 207).

      L’esortazione apostolica Catechesi tradendae (1979) nota che in alcune situazioni i vescovi possono giudicare «opportuno o persino necessario» collaborare con altri cristiani nel campo della catechesi (n. 33, citato in DE n. 188). Il documento prosegue descrivendo le condizioni di una simile collaborazione. Il Catechismo della Chiesa cattolica si è rivelato uno strumento utile per la collaborazione con altri cristiani nel campo della catechesi.

35. Matrimoni misti

      Il vescovo diocesano è chiamato ad autorizzare i matrimoni misti e può, in alcuni casi, consentire una dispensa dal rito cattolico per la cerimonia nuziale. I matrimoni misti non devono essere considerati come un problema, perché sovente sono un luogo privilegiato di edificazione dell’unità dei cristiani (cf. Familiaris consortio, n. 78 e Apostolorum successores, n. 207). Tuttavia i pastori non possono restare indifferenti alla sofferenza che la divisione dei cristiani provoca in queste famiglie, in modo indubbiamente più acuto che in qualsiasi altro contesto. La cura pastorale delle famiglie cristiane interconfessionali deve essere presa in considerazione a livello sia diocesano che regionale, a cominciare dalla preparazione iniziale della coppia al matrimonio fino all’accompagnamento pastorale quando nascono i figli e quando si tratta di prepararli ai sacramenti (cf. Direttorio ecumenico, nn. 143-160). Uno sforzo particolare deve essere compiuto per coinvolgere queste famiglie nelle attività ecumeniche parrocchiali e diocesane. Gli incontri tra pastori in vista dell’accompagnamento e del supporto offerti a queste coppie può costituire un terreno eccellente di collaborazione ecumenica (cf. Direttorio ecumenico, n. 147). I recenti movimenti migratori hanno amplificato questa realtà ecclesiale. Da una regione all’altra esiste una grande diversità di pratiche in materia di matrimoni misti, di battesimo dei bambini nati da queste coppie e della loro formazione spirituale.[14] Perciò, devono essere incoraggiati accordi a livello locale su queste cogenti questioni pastorali.

36. La condivisione della vita sacramentale (communicatio in sacris)

      Come abbiamo visto, poiché condividiamo una comunione reale con gli altri cristiani in virtù del nostro battesimo comune, la preghiera con questi fratelli e sorelle in Cristo è al contempo possibile e necessaria per condurci all’unità che il Signore desidera per la sua Chiesa. Tuttavia, la questione dell’amministrazione e della ricezione dei sacramenti, in particolare dell’eucaristia, nelle celebrazioni liturgiche degli uni e degli altri rimane un motivo di forte tensione nelle nostre relazioni ecumeniche. Nel trattare l’argomento della «condivisione di vita sacramentale con i cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali», il Direttorio ecumenico si ispira a due principi di base enunciati in Unitatis redintegratio n. 8, che coesistono in una certa tensione e che devono sempre essere considerati insieme. Il primo principio è che la celebrazione dei sacramenti in una comunità «esprime l’unità della Chiesa»; il secondo principio è che un sacramento è una «partecipazione ai mezzi della grazia» (UR 8). In merito al primo principio, il Direttorio afferma che «la comunione eucaristica è inseparabilmente legata alla piena comunione ecclesiale e alla sua espressione visibile» (Direttorio ecumenico, n. 129) e quindi, la partecipazione ai sacramenti dell’eucaristia, della riconciliazione e dell’unzione degli infermi deve essere riservata in generale a quanti sono in piena comunione. Tuttavia, applicando il secondo principio, il Direttorio prosegue affermando che «in certe circostanze, in via eccezionale e a determinate condizioni, l’ammissione a questi sacramenti può essere autorizzata e perfino raccomandata a cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali» (Direttorio ecumenico, n. 129). In questo senso il Direttorio aggiunge che per i battezzati l’eucaristia è il nutrimento spirituale che li rende capaci di vincere il peccato e di crescere verso la pienezza di vita in Cristo. Pertanto, in alcune circostanze, la communicatio in sacris è non solo autorizzata per la cura delle anime, ma è riconosciuta come auspicabile e raccomandabile.

      Valutare l’applicabilità di questi due principi richiede un esercizio di discernimento da parte del vescovo diocesano, il quale terrà sempre presente che la possibilità della communicatio in sacris differisce a seconda della Chiesa o Comunità coinvolta. Il Codice di diritto canonico descrive le situazioni nelle quali i cattolici possono ricevere i sacramenti da altri ministri cristiani (cf. CIC can. 844 § 2 e CCEO can. 671 § 2). Il canone stabilisce che in caso di pericolo di morte o qualora il vescovo diocesano giudichi che ci sia una «grave necessità», i ministri cattolici possono amministrare i sacramenti ad altri cristiani «che li chiedono spontaneamente, purché manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti» (CIC can. 844 § 4.  Si veda anche CCEO can 671 § 3).

     È importante sottolineare che il giudizio del vescovo su ciò che costituisce una «grave necessità» e sulle circostanze che rendono opportuna questa condivisione sacramentale eccezionale è sempre un discernimento pastorale, riguardante cioè la cura e la salvezza delle anime. La condivisione dei sacramenti non può mai avvenire per semplice cortesia. La prudenza è d’obbligo per evitare di causare confusione o di dare scandalo ai fedeli. Tuttavia bisogna tenere a mente anche le parole di san Giovanni Paolo II: «È motivo di gioia ricordare che i ministri cattolici possano, in determinati casi particolari, amministrare i sacramenti dell’eucaristia, della penitenza, dell’unzione degli infermi ad altri cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica» (Ut unum sint, n. 46).[15]

37. Il cambiamento di affiliazione ecclesiale: sfida e opportunità ecumenica

      Il cambiamento di affiliazione ecclesiale è per sua natura diverso dall’attività ecumenica (cf. UR 4). Tuttavia i documenti ecumenici prendono in considerazione le situazioni nelle quali alcuni cristiani passano da una comunità cristiana all’altra. Alcune disposizioni pastorali, come quelle formulate dalla Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, rispondono a questa realtà. Le comunità locali devono accogliere con gioia coloro che desiderano entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica, anche se, come stabilisce il Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, «si eviti con cura tutto ciò che in qualsiasi modo sappia di trionfalismo» (Appendice n. 3). Sempre nel profondo rispetto della coscienza delle persone, coloro che rendono nota l’intenzione di lasciare la Chiesa cattolica devono essere informati delle conseguenze della loro decisione. Al fine di mantenere relazioni strette con gli interlocutori ecumenici, in alcune circostanze è possibile concordare un «codice di comportamento» con altre comunità cristiane,[16] specialmente quando ci si trova di fronte alla delicata questione del cambiamento di affiliazione di un membro del clero.[17]

Raccomandazioni pratiche

   – Individuare i bisogni pastorali comuni con i responsabili delle altre Chiese.

   – Mettersi in ascolto delle iniziative pastorali delle altre comunità cristiane e imparare da esse.

   – Sostenere con generosità il lavoro pastorale delle altre comunità cristiane.

   – Incontrare le famiglie interconfessionali della diocesi e ascoltare le loro esperienze.

   – Presentare al clero della diocesi le linee guida sulla condivisione dei sacramenti del Direttorio ecumenico (riassunte sopra) e, se esistono, quelle della conferenza episcopale o del sinodo delle Chiese orientali cattoliche. Aiutare il clero a discernere quando le condizioni previste si possono applicare e quando, in casi individuali, la condivisione della vita sacramentale è opportuna.

   – Se la diocesi o conferenza episcopale non ha linee guida relative alle disposizioni canoniche sulla condivisione eccezionale della vita sacramentale, e se si ritiene che tali linee guida siano utili per il proprio contesto, contattare l’ufficio ecumenico della conferenza episcopale e chiedere consigli sulla possibilità di proporre o preparare un tale testo.

II) L’ecumenismo pratico
38. Collaborazione nel servizio al mondo

     Il concilio Vaticano II ha invitato tutti i cristiani a porre «in più piena luce il volto di Cristo servo» (UR 12), uniti in uno sforzo comune e nella testimonianza della loro comune speranza. Esso ha fatto notare come una simile collaborazione esista già in molti paesi al fine di salvaguardare la dignità umana e di alleviare le sofferenze dovute a fame e calamità, analfabetismo e indigenza, carenza di alloggi e ineguale distribuzione della ricchezza. Oggi a questa lista potremmo aggiungere l’azione coordinata delle organizzazioni cristiane per fornire assistenza agli sfollati e ai migranti, la lotta contro la moderna schiavitù e il traffico di esseri umani, le operazioni di consolidamento della pace, la difesa della libertà religiosa, la lotta contro le discriminazioni, la difesa della sacralità della vita e la cura del creato. La collaborazione tra cristiani in tutti questi ambiti va sotto il nome di «ecumenismo pratico». Sempre di più, a mano a mano che nuovi bisogni emergono, le comunità cristiane mettono in comune le loro risorse e coordinano i loro sforzi per venir incontro nel modo più efficace possibile a quanti sono nel bisogno. San Giovanni Paolo II ha invitato i cristiani a «ogni possibile collaborazione pratica ai vari livelli» e ha definito questo modo di lavorare insieme come «una vera scuola di ecumenismo, una via dinamica verso l’unità» (Ut unum sint, n. 40; EV 14/2739). In molte parti del mondo i vescovi hanno potuto constatare che questa collaborazione tra comunità cristiane al servizio dei poveri è un potente motore di promozione del desiderio dell’unità dei cristiani.

39. Il servizio comune come testimonianza

      Attraverso tale collaborazione ecumenica, i cristiani «rendono testimonianza della speranza nostra» (UR 12). Come discepoli di Cristo, formati dalle Scritture e dalla tradizione cristiana, siamo spinti ad agire per difendere la dignità della persona umana e la sacralità del creato, nella salda speranza che Dio conduca la creazione intera alla pienezza del suo Regno. Lavorando insieme nell’azione sociale e nei progetti culturali, come quelli suggeriti al n. 41, promuoviamo una visione cristiana integrale della dignità della persona. Il nostro servizio comune manifesta così al mondo la nostra fede condivisa, e la nostra testimonianza risulta ancora più forte per il fatto di essere offerta congiuntamente.

40. Il dialogo interreligioso

     Sempre di più, sia a livello nazionale che locale, i cristiani avvertono il bisogno di allacciare contatti più forti con le altre tradizioni religiose. I recenti movimenti migratori hanno condotto persone di culture e religioni diverse all’interno di comunità un tempo prevalentemente cristiane. La competenza di cui dispone una singola comunità cristiana può essere limitata. La collaborazione tra cristiani nel dialogo interreligioso è perciò spesso vantaggiosa e il Direttorio ecumenico afferma che grazie ad essa «i cristiani possono approfondire il grado di comunione esistente tra loro» (n. 210). Il Direttorio sottolinea in particolare l’importanza che i cristiani lavorino insieme per combattere «l’antisemitismo, il fanatismo religioso e il settarismo». Infine, è importante non perdere di vista la differenza essenziale esistente tra il dialogo con le diverse tradizioni religiose – che ha come scopo quello di instaurare buoni rapporti e una collaborazione – e il dialogo con le altre comunità cristiane, che mira al ristabilimento dell’unità voluta da Cristo per la sua Chiesa e che è chiamato propriamente «ecumenico».

Raccomandazioni pratiche

   – Individuare in dialogo con i responsabili delle altre Chiese gli ambiti in cui è necessario prestare un servizio cristiano.

   – Parlare con i responsabili delle altre Chiese e con il vostro delegato diocesano sulle iniziative intraprese separatamente dai cristiani che potrebbero essere portate avanti insieme.

   – Incoraggiare i presbiteri a impegnarsi con i loro partner ecumenici nel servizio alla comunità locale.

   – Chiedere informazioni agli organismi diocesani e ai cattolici impegnati nell’azione sociale a nome della Chiesa riguardo alla collaborazione passata e presente con le altre comunità cristiane e a come essa potrebbe essere ampliata.

   – Parlare con i responsabili delle altre Chiese riguardo alle loro relazioni con le altre tradizioni religiose presenti nel territorio e riflettete su quali sono le difficoltà e su cosa le comunità cristiane potrebbero fare insieme.

III) L’ecumenismo culturale

     41. I fattori culturali hanno svolto un ruolo significativo nell’allontanamento tra le varie comunità cristiane. Molto spesso i disaccordi teologici sono sorti da difficoltà di comprensione reciproca originate da differenze culturali. Una volta che le comunità si sono separate e hanno iniziato a vivere isolate le une dalle altre, le differenze culturali sono cresciute e hanno rafforzato i disaccordi teologici. In una prospettiva più positiva, il cristianesimo ha anche enormemente contribuito allo sviluppo e all’arricchimento di diverse culture nel mondo intero.

      «Ecumenismo culturale» è un’espressione che include tutti gli sforzi volti a una migliore comprensione della cultura degli altri cristiani: in questo modo ci rendiamo conto che, al di là della differenza culturale, condividiamo la stessa fede, espressa in modi diversi. Un aspetto importante dell’ecumenismo culturale è la promozione di progetti culturali comuni, capaci di avvicinare comunità diverse e di inculturare nuovamente il Vangelo nel nostro tempo.

      Il Direttorio ecumenico (nn. 211-218) incoraggia progetti comuni in ambito accademico, scientifico e artistico, fornendo criteri di discernimento per tali progetti (cf. n. 212). L’esperienza di molte diocesi cattoliche mostra che concerti ecumenici, festival di arte sacra, mostre e simposi sono occasioni importanti di avvicinamento tra cristiani. La cultura in senso lato è di per sé un luogo privilegiato per lo «scambio di doni».

Conclusione

      42. La lunga storia delle divisioni dei cristiani e la natura complessa dei fattori teologici e culturali che separano le comunità cristiane costituiscono una grande sfida per tutti coloro che sono impegnati nello sforzo ecumenico. Gli ostacoli sul cammino verso l’unità sono veramente al di là delle forze umane e non possono essere superati solo dai nostri sforzi. Ma la morte e la risurrezione di Cristo è la vittoria definitiva di Dio sul peccato e sulla divisione, così come è la sua vittoria sull’ingiustizia e su ogni forma di male. Per questo motivo i cristiani non possono disperare di fronte alle loro divisioni, così come non possono disperare di fronte all’ingiustizia o alle guerre. Cristo ha già sconfitto questi mali.

      Il compito della Chiesa è sempre quello di ricevere la grazia della vittoria di Cristo. Le raccomandazioni pratiche e le iniziative suggerite in questo Vademecum sono strumenti con i quali la Chiesa, e in particolare il vescovo, possono impegnarsi nel rendere attuale la vittoria di Cristo sulla divisione dei cristiani. Aprirsi alla grazia di Dio rinnova la Chiesa e, come insegna Unitatis redintegratio, questo rinnovamento è il primo passo indispensabile verso l’unità. L’apertura alla grazia di Dio implica l’apertura ai nostri fratelli e alle nostre sorelle cristiani e, come ha scritto papa Francesco, la volontà di «raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi» (Evangelii gaudium, n. 246). Nelle sue due parti, il presente Vademecum ha tentato di affrontare queste due dimensioni dell’ecumenismo: il rinnovamento della Chiesa nella sua vita e nelle sue strutture, e l’impegno con le altre comunità cristiane nell’ecumenismo spirituale e nei dialoghi della carità, della verità e della vita.

      Padre Paul Couturier (1881-1953), pioniere cattolico del movimento ecumenico e in particolare dell’ecumenismo spirituale, invocava la grazia della vittoria di Cristo sulle divisioni nella sua preghiera per l’unità, che ancora oggi continua a ispirare i cristiani di diverse tradizioni. Concludiamo il Vademecum proprio con questa sua preghiera:

      «Signore Gesù, che alla vigilia di morire per noi

      hai pregato affinché tutti i tuoi discepoli fossero

       perfettamente uno,

      come tu nel Padre tuo e il Padre tuo in te,

      facci provare dolorosamente l’infedeltà

       delle nostre disunioni.

      Donaci la lealtà di riconoscere il coraggio di rigettare

      quanto si nasconde in noi di indifferenza,

      di sfiducia e perfino di reciproca ostilità.

      Concedici di ritrovarci tutti in te,

      affinché, dalle nostre anime e dalle nostre labbra,

      salga incessantemente la tua preghiera per l’unità

       dei cristiani,

      quale tu la vuoi, con i mezzi che tu vuoi.

      In te che sei la carità perfetta,

      facci trovare la via che conduce all’unità,

      nell’obbedienza al tuo amore e alla tua verità.

      Amen!».

      Il santo padre papa Francesco ha dato la sua approvazione alla pubblicazione di questo documento.

      Dal Vaticano, 5 giugno 2020

 

Kurt card. Koch,

presidente

@ Brian Farrell,

vescovo tit. di Abitine,

segretario

 

Appendice
I partner della Chiesa cattolica
nei dialoghi internazionali
Il dialogo bilaterale

     Il lavoro del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (PCPUC) consiste sia nel favorire relazioni sempre più strette con i nostri fratelli e le nostre sorelle in Cristo (il dialogo della carità), sia nell’adoperarsi per il superamento delle divisioni dottrinali che ci impediscono di giungere a una comunione piena e visibile (il dialogo della verità). Il PCPUC conduce dialoghi e conversazioni bilaterali con le seguenti comunità cristiane.[18]

Le Chiese ortodosse di tradizione bizantina

     Le Chiese di tradizione bizantina sono accomunate dal riconoscimento dei sette concili ecumenici del primo millennio e dalla stessa tradizione spirituale e canonica ereditata da Bisanzio. Queste Chiese, che formano la Chiesa ortodossa nel suo insieme, sono organizzate secondo il principio dell’autocefalia, ognuna con il proprio primate; tra loro, al patriarca ecumenico è riconosciuto il primato d’onore. Le Chiese autocefale riconosciute unanimemente sono: i patriarcati di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, Mosca, Serbia, Romania, Bulgaria, Georgia e le Chiese autocefale di Cipro, Grecia, Polonia, Albania, e le Terre ceche e la Slovacchia. Alcuni patriarcati includono al loro interno anche le cosiddette Chiese «autonome». Nel 2019 il patriarca ecumenico ha concesso il Tomos di autocefalia alla Chiesa ortodossa d’Ucraina. Il processo di riconoscimento di questa Chiesa da parte di altre Chiese è tuttora in corso. La Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme, istituita nel 1979, ha approvato sei testi. I primi tre documenti riguardano la struttura sacramentale della Chiesa (Monaco 1982; Bari 1987;
e Valamo 1988) e il quarto affronta la questione dell’uniatismo (Balamand 1993). Dopo un periodo di crisi, nel 2006 è iniziata una nuova fase di dialogo incentrata sul rapporto tra primato e sinodalità, durante la quale sono stati prodotti due documenti (Ravenna 2007 e Chieti 2016).

Le Chiese ortodosse orientali

     Le Chiese ortodosse orientali, note anche come «non calcedoniane» perché non riconoscono il quarto concilio ecumenico, si dividono in tre tradizioni principali: copta, sira e armena. Nel 2003 è stata istituita una Commissione mista internazionale che riunisce tutte e sette le Chiese che riconoscono i primi tre concili ecumenici: la Chiesa copta ortodossa, la Chiesa sira ortodossa, la Chiesa apostolica armena (Catholicossato di Etchmiadzin e Catholicossato di Cilicia), la Chiesa ortodossa sira malankarese, la Chiesa ortodossa etiope Tewahedo e la Chiesa ortodossa eritrea Tewahedo. La prima fase del dialogo è culminata nel 2009 con un documento sulla natura e sulla missione della Chiesa. Una nuova fase ha portato all’approvazione, nel 2015, di un documento sull’esercizio della comunione nella vita della Chiesa primitiva. Il dialogo attuale s’incentra sui sacramenti.

     Parallelamente a questa Commissione è in corso un dialogo particolare con le Chiese malankaresi dell’India meridionale. Nel 1989 e nel 1990 sono stati avviati due dialoghi bilaterali paralleli, rispettivamente con la Chiesa ortodossa sira malankarese e con la Chiesa sira ortodossa malankarese (jacobita), dialoghi che sono stati mantenuti anche dopo l’istituzione della Commissione sopra menzionata. Questi dialoghi si concentrano su tre temi principali: la storia della Chiesa, la testimonianza comune e l’ecclesiologia.

La Chiesa assira dell’Oriente

     Il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente ha prodotto molti risultati fruttuosi. A seguito di una prima fase di dialogo su temi cristologici, san Giovanni Paolo II e il patriarca Mar Dinkha IV hanno firmato una Dichiarazione cristologica congiunta nel 1994, che ha aperto nuovi orizzonti sia al dialogo teologico che alla collaborazione pastorale. Successivamente, la Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente ha programmato altre due fasi di lavoro: una sulla teologia sacramentale e l’altra sulla costituzione della Chiesa. La seconda fase si è conclusa con un ampio consenso su questioni sacramentali, che ha condotto alla pubblicazione da parte del PCPUC delle Linee guida per l’ammissione all’eucaristia tra la Chiesa caldea e la Chiesa assira dell’Oriente e a un accordo sul documento finale intitolato Dichiarazione comune sulla vita sacramentale, approvato nel 2017. La terza fase di dialogo sulla natura e sulla costituzione della Chiesa è iniziata nel 2018.

La Chiesa veterocattolica dell’Unione di Utrecht

     L’Unione di Utrecht comprende sei Chiese nazionali che appartengono alla Conferenza internazionale dei vescovi veterocattolici. In ordine di adesione all’Unione (dal 1889 in poi) ricordiamo: le Chiese veterocattoliche dei Paesi Bassi, della Germania, della Svizzera, dell’Austria, della Repubblica Ceca e della Polonia. La Commissione internazionale per il dialogo cattolico-veterocattolico è stata istituita nel 2004. La sua recente pubblicazione, La Chiesa e la comunione ecclesiale, incorpora i due rapporti del 2009 e del 2016. Essa arriva alla conclusione che l’interpretazione comune della Chiesa come una comunione a più livelli di Chiese locali potrebbe aprire orizzonti condivisibili e consentire una visione comune del primato del vescovo di Roma all’interno di una prospettiva sinodale universale.

La Comunione anglicana

     La Comunione anglicana comprende 39 province e oltre 85 milioni di membri. Sebbene altri reclamino il nome di anglicani, la Comunione anglicana si definisce costituita dalle diocesi il cui vescovo è in comunione con l’antica sede di Canterbury. Il dialogo ecumenico tra la Comunione anglicana e la Chiesa cattolica ha preso avvio dopo lo storico incontro tra san Paolo VI e l’arcivescovo Michael Ramsey nel 1966. La prima Commissione internazionale cattolico-anglicana (ARCIC I) si è riunita dal 1970 al 1981. Essa ha prodotto un ampio consenso sui temi dell’eucaristia e del ministero. ARCIC II ha ripreso il lavoro della precedente Commissione sull’autorità, in un importante documento intitolato Il dono dell’autorità (1999). Ha pubblicato anche dichiarazioni comuni sulla salvezza, su Maria, sull’ecclesiologia, sull’etica e sulla grazia. Più di recente, ARCIC III ha prodotto una dichiarazione comune sull’ecclesiologia intitolata Camminare insieme sulla via. La Commissione internazionale anglicano-cattolica per l’unità e la missione (IARCCUM) è composta da vescovi anglicani e cattolici impegnati nella promozione della ricezione dei documenti di ARCIC e nella testimonianza sempre più diffusa della nostra fede comune al servizio dei bisognosi.

La Federazione luterana mondiale

     La Federazione luterana mondiale è una comunione mondiale di 148 Chiese luterane appartenenti a 99 paesi diversi, che vivono in una comunione di pulpito e di altare, e comprende oltre 75,5 milioni di membri. La Federazione luterana mondiale è stata istituita nel 1947 a Lund. La Commissione luterano-cattolica per l’unità si è riunita per la prima volta nel 1967. Da allora il dialogo tra cattolici e luterani è proseguito senza interruzioni. Nelle cinque fasi del dialogo, la Commissione ha pubblicato documenti di studio sul Vangelo e sulla Chiesa, sul ministero, sull’eucaristia, sulla giustificazione e sull’apostolicità della Chiesa. Attualmente si sta occupando del tema del battesimo e della comunione crescente. Una pietra miliare storica nelle relazioni tra luterani e cattolici è stata raggiunta con la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (1999). Intorno alla teologia della giustificazione si era incentrata la disputa teologica tra Martin Lutero e le autorità della Chiesa, disputa che condusse alla Riforma protestante. La Dichiarazione congiunta propone 44 affermazioni comuni relative alla dottrina della giustificazione. Sulla base dell’ampio consenso conseguito, si è convenuto che le condanne espresse dalle confessioni luterane e dal concilio di Trento non erano più applicabili. Il documento Dal conflitto alla comunione (2013) ha segnato la commemorazione comune luterano-cattolica del 500° anniversario della Riforma, nel 2017.

La Comunione mondiale delle Chiese riformate

     La Comunione mondiale delle Chiese riformate e le sue Chiese membro risalgono alla Riforma del XVI secolo guidata da Giovanni Calvino, John Knox e Ulrich Zwingli, e ai primi movimenti riformatori di Jan Hus e Peter Valdes. Le Chiese membro sono congregazionali, presbiteriane, riformate, unite e valdesi. Nel 2010, l’Alleanza mondiale delle Chiese riformate e il Consiglio ecumenico riformato si sono uniti per creare la Comunione mondiale delle Chiese riformate. La Commissione riformato-cattolica ha iniziato ufficialmente i suoi lavori a Roma nel 1970. Essa ha avuto in totale quattro fasi di dialogo, producendo i quattro seguenti rapporti: La presenza di Cristo nella Chiesa e nel mondo (1970-1977); Verso una comprensione comune della Chiesa (1984-1990); La Chiesa come comunità di testimonianza comune del Regno di Dio (1998-2005); e Giustificazione e sacramentalità: la comunità cristiana come operatrice di giustizia (2011-2015).

Il Consiglio metodista mondiale

     Il Consiglio metodista mondiale è un’associazione di 80 Chiese di tutto il mondo. Molte di esse si ispirano all’insegnamento del predicatore anglicano del XVIII secolo, John Wesley. I metodisti hanno una lunga storia di alleanze ecumeniche; in molti paesi, come il Canada, l’Australia e l’India, hanno aderito alle Chiese unite. La Commissione internazionale metodista-cattolica si è riunita per la prima volta nel 1967. La Commissione produce rapporti ogni cinque anni, in concomitanza con le riunioni del Consiglio metodista mondiale. Questi rapporti si sono incentrati su temi quali lo Spirito Santo, la Chiesa, i sacramenti, la tradizione apostolica, la rivelazione e la fede, il magistero della Chiesa e la santità. L’attuale fase di dialogo, dal 2017 al 2021, verte sul tema della Chiesa come comunità riconciliata e riconciliatrice.

La Conferenza mennonita mondiale

     La Conferenza mennonita mondiale rappresenta la maggioranza delle Chiese cristiane nel mondo nate dalla Riforma radicale del XVI secolo in Europa, e in particolare dal movimento anabattista. Comprende 107 Chiese nazionali mennonite e Brethren in Christ di 58 paesi, con circa 1,5 milioni di fedeli battezzati. Le conversazioni internazionali tra la Chiesa cattolica e la Conferenza mennonita mondiale sono iniziate nel 1998 e hanno prodotto un rapporto di dialogo, intitolato Chiamati a essere operatori di pace (1998-2003).

     Più recentemente (2012-2017) il PCPUC ha partecipato alla Commissione internazionale di dialogo trilaterale con la Conferenza mennonita mondiale e la Federazione luterana mondiale, finalizzando nel 2017 un rapporto intitolato Battesimo e incorporazione nel Corpo di Cristo, la Chiesa.

L’Alleanza battista mondiale

     L’Alleanza è una comunione mondiale di credenti battisti formatasi a Londra nel 1905. Comprende approssimativamente 240 Chiese con un totale di circa 46 milioni di membri. Il movimento battista nacque nell’Inghilterra del XVII secolo come un movimento separatista staccatosi dai puritani, convinto fautore della separazione radicale tra Chiesa e stato. I primi leader del movimento (John Smyth e Thomas Helwys) erano convinti che il battesimo dei bambini fosse contrario alle sacre Scritture. Come i mennoniti (anabattisti), che hanno influenzato la teologia battista in Olanda e in altri paesi, i battisti non praticano il battesimo dei bambini, ma sostengono ciò che chiamano il «battesimo dei credenti». Nel 1984 hanno preso avvio le conversazioni internazionali tra battisti e cattolici. Due fasi di dialogo internazionale hanno prodotto due rapporti: Chiamati a testimoniare Cristo nel mondo di oggi (1984-1988) e La Parola di Dio nella vita della Chiesa (2006-2010). Attualmente, una terza fase di dialogo sta riflettendo sul tema della comune testimonianza cristiana nel mondo contemporaneo.

I Disciples of Christ

     La Christian Church (Disciples of Christ) è nata all’inizio del XIX secolo negli Stati Uniti, da una ricerca sia di cattolicità che di unità. L’unità dei cristiani risiede soprattutto nella dottrina dei Disciples sulla Chiesa e nella loro testimonianza del regno di Dio. Essi si definiscono una «comunità eucaristica protestante» e spesso ripetono che «il nostro cammino di riconciliazione inizia e finisce alla mensa [eucaristica]». Il dialogo con la Chiesa cattolica è iniziato nel 1977 e ha pubblicato quattro documenti: Apostolicità e cattolicità (1982); La Chiesa come comunione in Cristo (1992); Trasmettere la fede (2002); e La presenza di Cristo nella Chiesa con particolare riferimento all’eucaristia (2009).

I movimenti pentecostali e carismatici

     Il Los Angeles Azusa Street Revival Movement del 1906 è generalmente considerato come l’inizio del movimento pentecostale. Il pentecostalismo classico affonda le sue origini in questo movimento di risveglio che presto si è articolato in diverse confessioni in senso protestante, dando man mano vita a reti internazionali come le Assemblies of God, il Four Square Gospel, e la Church of God. I pentecostali confessionali che sono scaturiti dai movimenti di rinascita degli anni ‘50 all’interno di diverse tradizioni cristiane e che sono rimasti dentro tali confini confessionali sono normalmente chiamati carismatici (il Rinnovamento carismatico cattolico nato nel 1968 fa parte di questo movimento, che rimane un movimento ecclesiale all’interno della Chiesa cattolica). Alla fine degli anni ‘80 e ‘90 sono sorti i pentecostali non confessionali o Nuove Chiese carismatiche. Secondo le stime attuali, pentecostali e carismatici contano circa 500 milioni di fedeli a livello mondiale. Il dialogo pentecostale-cattolico è iniziato nel 1972 e ha prodotto sei rapporti, il più recente dei quali, Non spegnere lo Spirito, riflette sui carismi nella vita e nella missione della Chiesa.

     Dal 2008 al 2012 hanno avuto luogo in Vaticano conversazioni preliminari tra il PCPUC e un gruppo di leader delle Nuove Chiese carismatiche. Al termine di questa fase preliminare, è stata organizzata una serie di conversazioni per approfondire l’identità e l’auto-comprensione di tali Chiese, dal 2014 al 2018. Il risultato di tali riflessioni è un documento intitolato Le caratteristiche delle Nuove Chiese carismatiche. Non si tratta di un documento ecumenico, ma rappresenta lo sforzo compiuto dalle Nuove Chiese carismatiche di definirsi in un contesto dialogico, e ha come obiettivo quello di coadiuvare e incoraggiare le relazioni tra leader cattolici e leader neo-carismatici in tutto il mondo.

L’Alleanza evangelica mondiale

      Gli evangelicali sono uno dei primi movimenti ecumenici nella storia della Chiesa moderna. In origine, l’Alleanza evangelica, fondata nel 1846 a Londra, riuniva cristiani di tradizione luterana, riformata e anabattista. Alla base della creazione dell’Alleanza evangelica (ora Alleanza evangelica mondiale), vi è l’idea di una relazione personale con Cristo come valore unificante fondamentale, nel senso della conversione (pentimento) e della rinascita spirituale (cristiani «rinati»). Anche se gli evangelicali, che appartengono a molte tradizioni ecclesiali diverse – dall’anglicanesimo al pentecostalismo –, concordano sui quattro cosiddetti articoli esclusivi della Riforma («sola»), al momento le questioni relative alla missione e all’evangelizzazione costituiscono la loro preoccupazione principale. L’Alleanza evangelica mondiale, associazione di alleanze evangeliche nazionali con un’infrastruttura visibile, e il Movimento di Losanna, associazione di singoli fedeli, rappresentano oggi le posizioni e gli obiettivi dell’evangelicalismo. Hanno avuto luogo tre cicli di consultazioni internazionali tra i rappresentanti del PCPUC e dell’Alleanza evangelica mondiale, che hanno prodotto tre rapporti: Evangelicali e cattolici sulla missione (1976-1984); Chiesa, evangelizzazione e i legami della koinonia (1997-2002); Scrittura e Tradizione e La Chiesa nella salvezza: sfide e opportunità per cattolici ed evangelicali (2009-2016).

L’Esercito della salvezza

      L’Esercito della salvezza è nato nell’Inghilterra della metà del XIX secolo come movimento di missione per i poveri e per gli emarginati. Il fondatore, William Booth, era un ministro metodista. L’Esercito della salvezza opera in 124 paesi. Tra i suoi membri vi sono oltre 17.000 ufficiali attivi e più di 8.700 ufficiali in pensione, oltre 1 milione di soldati, circa 100.000 dipendenti e oltre 4,5 milioni di volontari. I salvazionisti possono essere definiti cristiani evangelici che non praticano alcun sacramento. Nel 2007 nel Middlesex (Regno Unito) ha avuto inizio una serie di conversazioni ecumeniche informali tra i salvazionisti e il PCPUC. Fino al 2012 si sono svolti in totale cinque incontri. Un riassunto del dialogo internazionale è stato pubblicato dall’Esercito della Salvezza nel 2014 con il titolo Conversazioni con la Chiesa cattolica.

Dialoghi multilaterali
Attraverso il PCPUC, la Chiesa cattolica porta avanti anche dialoghi multilaterali.
Il Consiglio ecumenico delle Chiese

     Istituito nel 1948, il Consiglio ecumenico delle Chiese è «una comunione di Chiese che confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore secondo le Scritture, sforzandosi di adempiere insieme la loro comune chiamata alla gloria dell’unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo» (La base approvata dalla Terza assemblea a Nuova Delhi nel 1961). Il Consiglio ecumenico delle Chiese è oggi l’istituzione più ampia e inclusiva del movimento ecumenico. Riunisce 350 Chiese membro tra cui ortodossi, luterani, riformati, anglicani, metodisti, battisti, come pure evangelicali, pentecostali e Chiese unite e indipendenti. Rappresenta in totale oltre 500 milioni di cristiani di tutti i continenti e di oltre 110 paesi.

     Sebbene la Chiesa cattolica non sia membro del Consiglio ecumenico delle Chiese, sin dal concilio Vaticano II è in atto una crescente collaborazione su questioni di interesse comune. La collaborazione più importante per il perseguimento dell’obiettivo dell’unità piena e visibile è condotta attraverso il PCPUC. In tale contesto, ricordiamo il Gruppo misto di lavoro, istituito nel 1965, la cooperazione nel campo della formazione e dell’educazione ecumenica e la preparazione comune del materiale per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Vari esperti cattolici sono membri di diverse commissioni del Consiglio ecumenico delle Chiese (come la Commissione per la missione mondiale e l’evangelizzazione, e la Commissione per l’educazione e la formazione ecumenica) e di diversi gruppi di lavoro ad hoc relativi a progetti specifici. Particolarmente utile per il superamento di divergenze dottrinali, morali e strutturali tra le Chiese è la Commissione fede e costituzione, i cui membri sono per il 10% cattolici. Dalla sua istituzione avvenuta nel 1948, la Commissione ha realizzato numerosi studi su importanti temi ecumenici tra cui le sacre Scritture e la Tradizione, la fede apostolica, l’antropologia, l’ermeneutica, la riconciliazione, la violenza e la pace, la tutela del creato e l’unità visibile. Nel 1982 ha pubblicato Battesimo, eucaristia, ministero (BEM, noto anche come Dichiarazione di Lima), la prima dichiarazione di convergenza multilaterale su questioni al centro del dibattito ecumenico. La risposta ufficiale cattolica a BEM (1987) ha espresso la convinzione che allo studio dell’ecclesiologia spetti un posto centrale nel dialogo ecumenico al fine di risolvere le questioni ancora aperte. Nel 2013 la Commissione ha pubblicato una seconda dichiarazione di convergenza intitolata La Chiesa: verso una visione comune. Frutto di un intenso dialogo teologico che è durato trent’anni e che ha coinvolto centinaia di teologi e capi di Chiesa, il documento chiarisce «fino a che punto sono arrivate le comunità cristiane nella loro comune comprensione della Chiesa, mostrando i progressi realizzati e indicando il lavoro ancora da compiere» (Introduzione). La risposta ufficiale cattolica (2019) afferma che la dichiarazione, senza pretendere di aver raggiunto il pieno accordo, mostra un crescente consenso su questioni controverse riguardanti la natura, la missione e l’unità della Chiesa.

Il Global Christian Forum

     Il Global Christian Forum è un’iniziativa ecumenica recente emersa alla fine del secolo scorso nel quadro del Consiglio ecumenico delle Chiese al fine di creare uno spazio aperto – un forum – in cui i rappresentanti delle cosiddette «Chiese storiche» (cattolici, ortodossi e protestanti post-Riforma) e di quelle definite «Chiese recenti» (pentecostali, evangelicali e indipendenti) possano incontrarsi su una base paritaria per promuovere il rispetto reciproco, per condividere esperienze di fede e per affrontare insieme sfide comuni. Lo scopo del Global Christian Forum è quello di riunire intorno a un tavolo rappresentanti di quasi tutte le tradizioni cristiane, tra cui anche le African Instituted Churches, le mega Chiese, le Chiese dei migranti e i nuovi movimenti e comunità ecumenici. Nel Forum sono rappresentate molte Comunioni mondiali cristiane e organizzazioni mondiali cristiane, tra cui il PCPUC, la Fraternità pentecostale mondiale, l’Alleanza evangelica mondiale e il Consiglio ecumenico delle Chiese. Senza richiedere un’adesione formale, il Global Christian Forum permette di allacciare contatti e consente ai responsabili delle Chiese di esplorare questioni di interesse comune nella situazione in rapido cambiamento del cristianesimo mondiale di oggi.

La Comunione delle Chiese protestanti in Europa

     La Comunione delle Chiese protestanti in Europa è una comunità di oltre 90 Chiese protestanti, firmatarie della Concordia di Leuenberg. Il suo intento è quello di promuovere la comunione tra le Chiese attraverso la testimonianza e il servizio comuni. Tra i suoi membri figurano la maggior parte delle Chiese luterane e riformate in Europa, le Chiese unite nate dalle fusioni di tali Chiese, la Chiesa valdese e le Chiese metodiste europee. Alcune Chiese europee sono rimaste fuori dalla Comunione, come la Chiesa evangelica luterana della Finlandia e la Chiesa di Svezia. Durante un servizio liturgico celebrato a Basilea il 16 settembre 2018, la Comunione delle Chiese protestanti in Europa e il PCPUC si sono impegnati ad avviare un dialogo ufficiale sul tema della Chiesa e della comunione ecclesiale.

 

[1] Francesco, Discorso in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, 17.10.2015, nel quale cita il Discorso alla delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli del 27.6.2015.

[2]Ivi.

[3] Tutti i riferimenti a diocesi, vescovi diocesani e strutture diocesane si applicano parimenti alle eparchie, ai loro vescovi e alle loro strutture.

[4] Per esempio, poiché questo Vademecum fa propria la prospettiva del vescovo, la communicatio in sacris è qui compresa in una prospettiva pastorale più che come aspetto dell’ecumenismo spiritu

[5] Benedetto XVI, Primo messaggio alla fine della concelebrazione eucaristica con i cardinali elettori nella Cappella Sistina, 20.4.2005.

[6] Walter Kasper, L’ecumenismo spirituale. Linee-guida per la sua attuazione, Città Nuova, Roma 2006, n. 6, p. 16.

[7] Si veda anche Comitato misto di dialogo anglicano-cattolico della Francia, Signore, apri le mie labbra, 2014.

[8] Cf. Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e Società Bibliche Unite, Direttive per la cooperazione interconfessionale nella traduzione della Bibbia, nuova edizione riveduta, 1987.

[9] Si veda per esempio Francesco, Discorso nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme,  25.5.2014.

[10] Commissione luterana-cattolica sull’unità, Dal conflitto alla comunione, 2013; Regno-doc. 11,2013,353.

[11] Alcune informazioni su questi dialoghi teologici sono riportati nell’Appendice del presente documento.

[12] Si veda per esempio il Gruppo di Dombes, il Gruppo di lavoro ecumenico di teologi evangelici e cattolici in Germania, le Conversazioni teologiche con le Chiese ortodosse orientali promosse dalla Fondazione Pro Oriente, le Conversazioni di Malines, Cattolici ed Evangelicali Insieme e il Gruppo misto di lavoro ortodosso-cattolico Sant’Ireneo.

[13] Gruppo misto di lavoro tra il Consiglio ecumenico delle Chiese e la Chiesa cattolica, Nono Rapporto (2007-2012). Appendice A. La ricezione: chiave per il progresso ecumenico, n. 15, 2012.

 

[14] Il vescovo deve tener presente CIC can. 1125 o CCEO can. 814 § 1.

[15] Sono stati raggiunti accordi pastorali con alcune Chiese ortodosse orientali per la reciproca ammissione dei fedeli all’eucaristia in caso di necessità (nel 1984 con la Chiesa siro-ortodossa, e nel 2001 tra la Chiesa caldea e la Chiesa assira dell’Oriente). Molte conferenze episcopali, sinodi, eparchie e diocesi hanno pubblicato direttive e documenti su questo tema.

[16] Il Comitato misto cattolico-ortodosso per il dialogo teologico in Francia ha avanzato una proposta in questo senso, nella sua dichiarazione Elementi per un’etica del dialogo cattolico-ortodosso, 2003.

[17] A titolo di esempio, il dialogo anglicano-cattolico dei vescovi del Canada ha pubblicato una dichiarazione comune dal titolo, Orientamenti pastorali per le Chiese in caso di membri del clero che passano da una comunione all’altra, 1991.

[18] Prima di allacciare relazioni ecumeniche a livello locale e nazionale, è utile innanzitutto accertarsi che una particolare comunità cristiana sia in piena comunione con una delle Comunioni mondiali elencate in quest’Appendice. Esistono, ad esempio, Chiese ortodosse non canoniche, Province anglicane e diocesi che non sono in comunione con l’arcivescovo di Canterbury, e molte comunità battiste che non sono membri dell’Alleanza battista mondiale. Inoltre, alcune comunità non hanno una struttura mondiale rappresentativa. Il discernimento è necessario quando si entra in relazioni ecumeniche con tali gruppi. Può essere utile chiedere consiglio alla Commissione ecumenica della Conferenza episcopale o del Sinodo dei vescovi, o al Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.

Tipo Documento
Tema Ecumenismo - Dialogo interreligioso Ministeri - Vita religiosa
Area
Nazioni

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Ecumenismo in tempo di pandemia

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«L’ecumenismo è il grande specialista nella Chiesa distanziata e tuttavia unita»: con questa intuizione si conclude il documento di lavoro Ecumenismo in tempo di pandemia: dalla crisi all’opportunità, pubblicato dal Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani il 20 gennaio. Si tratta di una sintesi delle risposte pervenute dalle conferenze episcopali e dai sinodi delle Chiese cattoliche orientali a un questionario inviato dal Pontificio consiglio nel 2021 per comprendere l’impatto della pandemia di COVID-19 sulle relazioni e sul movimento ecumenico e raccogliere le esperienze e le riflessioni delle Chiese locali nei diversi contesti. La sintesi mette in luce come la crisi pandemica abbia promosso un avvicinamento tra le Chiese cristiane, soprattutto nei contesti dove c’erano già dialoghi in atto, ma abbia anche avuto effetti negativi: evidenziare le divergenze teologiche fra le tradizioni cristiane, comprensioni differenziate della pandemia e atteggiamenti diversi verso la politica della salute pubblica. Infine individua alcune sfide che il movimento ecumenico dovrà affrontare in un mondo post-pandemico in quattro aree: spirituale, ecclesiologica, liturgica e missionaria.

 

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«Se le visioni di La Chiesa fossero ricevute dalle varie Chiese e comunioni, i loro membri potrebbero riconoscere alcune comprensioni comuni della Chiesa che i loro teologi hanno individuato attraverso il dialogo. I fedeli in tutte le Chiese e comunità cristiane possono non rendersi conto del fatto che queste comprensioni comuni del mistero della Chiesa sono state riconosciute... Questa situazione solleva la questione cruciale della recezione dei dialoghi ecumenici nelle Chiese e indica l’urgenza della formazione ecumenica». La Risposta della Chiesa cattolica a «La Chiesa: verso una visione comune», pubblicata il 18 ottobre 2019 dal Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, riconosce che il documento del 2013 della commissione Fede e costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese raggiunge una «convergenza dottrinale… su alcuni aspetti cruciali dell’ecclesiologia», e ora le Chiese ne devono trarre conseguenze pastorali. Tra gli aspetti su cui il dialogo ecumenico deve lavorare ancora sono indicati la sacramentalità, la dimensione carismatica e la relazione tra ecclesiologia e antropologia.

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Trent’anni dopo il «Documento di Lima» su Battesimo, eucaristia, ministero (1982), nel 2013 la commissione Fede e costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) pubblicava il suo secondo testo di convergenza, sul tema dell’ecclesiologia: La Chiesa: verso una visione comune. Ne è seguito un ulteriore processo di confronto, in cui le Chiese hanno misurato la loro convergenza sul tema rispondendo agli spunti offerti dal testo (come avvenne per Battesimo, eucaristia e ministero).

Il 18 ottobre 2019, il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha presentato Risposta della Chiesa cattolica a «La Chiesa: verso una visione comune», che raccoglie il risultato della consultazione di conferenze episcopali, teologi, gruppi di studio accademici e movimenti ecclesiali. Il testo è stato approvato dalla Congregazione per la dottrina della fede. Secondo questa risposta, il documento di convergenza offre una buona sintesi del crescente consenso nel campo dell’ecclesiologia nell’ambito dell’attuale dialogo ecumenico, pur evidenziando vari aspetti che richiedono un’ulteriore riflessione sulla natura e sulla missione della Chiesa.