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Documenti, 1/2021

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La cultura della cura

Messaggio per la celebrazione della 54a Giornata mondiale della pace

Francesco

A breve distanza dalla pubblicazione dell’enciclica Fratelli tutti, il Messaggio di papa Francesco per la celebrazione della 54a Giornata mondiale della pace (1° gennaio 2021) uscito il 17 dicembre ritorna sul tema della fraternità, come già diversi altri messaggi per la Giornata mondiale della pace, per esempio quello del 2020 e quelli del 2014 e 2015.

S’intitola «La cultura della cura come percorso di pace» e prende le mosse dalla «grande crisi sanitaria del COVID-19, trasformatasi in un fenomeno multisettoriale e globale, aggravando crisi tra loro fortemente interrelate, come quelle climatica, alimentare, economica e migratoria» per rimarcare «l’importanza di prenderci cura gli uni degli altri e del creato, per costruire una società fondata su rapporti di fratellanza».

I principi della dottrina sociale della Chiesa sono proposti come «bussola» per imprimere una «rotta veramente umana» a una globalizzazione percepita come fuori controllo e produttrice di disuguaglianze e conflitti. E la diffusione di una cultura della cura come correttivo «sarà possibile soltanto con un forte e diffuso protagonismo delle donne, nella famiglia e in ogni ambito sociale, politico e istituzionale».

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La crisi è per il bene

Discorso alla curia romana per la presentazione degli auguri natalizi

Francesco

Com’è ormai nella tradizione di papa Francesco, il Discorso alla curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi tenuto nel corso dell’udienza del 21 dicembre è stato un discorso forte. Manca la critica diretta, ma la distinzione tra il concetto di «crisi» e quello di «conflitto» intercetta i troppi conflitti interni alla Chiesa e alla curia stessa di cui è stato segnato anche il 2020 e la necessità di un’adeguata comprensione spirituale del tema della riforma della Chiesa. «Chi non guarda la crisi alla luce del Vangelo si limita a fare l’autopsia di un cadavere». «La Chiesa, letta con le categorie di conflitto – destra e sinistra, progressisti e tradizionalisti – frammenta, polarizza, perverte, tradisce la sua vera natura: essa è un corpo perennemente in crisi proprio perché è vivo, ma non deve mai diventare un corpo in conflitto, con vincitori e vinti». Quest’anno il tema è spostato sulla comprensione generale del mistero della pandemia che ha segnato drammaticamente il 2020. I riferimenti sono alla Pasqua trascorsa, al silenzio di Dio, alla solitudine dei morenti, ai gesti coraggiosi e gratuiti di tanti, all’egoismo che s’annida nei cuori. Insomma alla crisi dell’umano che la pandemia ha mostrato e alla crisi della fede che essa non può non provocare. La crisi è per il bene, è intrisa di speranza, nonostante il dolore assurdo. La crisi attiene alla prospettiva cristologica ed escatologica della storia. «Difendendoci dalla crisi, noi ostacoliamo l’opera della grazia di Dio che vuole manifestarsi in noi e attraverso di noi».

La reciprocità tra fede e sacramenti

Commissione teologica internazionale

Il documento della Commissione teologica internazionale La reciprocità tra fede e sacramenti nell’economia sacramentale, approvato da papa Francesco il 19 dicembre 2019 e pubblicato il 3 marzo 2020 (in traduzione italiana il 12 ottobre), è stato elaborato fra il 2014 e il 2019 nel nono quinquennio di lavoro della Commissione. La difficoltà metodologica e l’ampiezza delle tematiche hanno richiesto un grande lavoro e 11 bozze prima di arrivare alla redazione finale. Organizzato in cinque capitoli, il testo prende in esame il tema, oggi in crisi nella pratica pastorale, di reciprocità tra fede e sacramenti, soffermandosi in particolare sulle ripercussioni sul matrimonio sacramentale.

Il cuore del trattato, il secondo capitolo, rende conto della reciprocità tra fede e sacramenti, sulla cui base poi nel capitolo terzo si prendono in esame i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana, e nel quarto il matrimonio. Lo specifico tema matrimoniale, più volte sollevato non solo da Benedetto XVI e da Francesco, ma anche da diversi Sinodi, necessitava di una chiarificazione, soprattutto in merito al parallelismo tra matrimonio sacramentale e naturale.

La formula del battesimo

Congregazione per la dottrina della fede

Non è valido, e va rifatto, il battesimo amministrato con le parole: «A nome del papà e della mamma, del padrino e della madrina, dei nonni, dei familiari, degli amici, a nome della comunità noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo», con una «deliberata modifica della formula sacramentale» introdotta «per sottolineare il valore comunitario del battesimo, per esprimere la partecipazione della famiglia e dei presenti e per evitare l’idea della concentrazione di un potere sacrale nel sacerdote a discapito dei genitori e della comunità».

Lo ha precisato la Congregazione per la dottrina della fede, pubblicando il 6 agosto delle Risposte a quesiti proposti sulla validità del battesimo conferito con la formula «Noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo», accompagnate da una Nota dottrinale circa la modifica della formula sacramentale del battesimo.

Infatti, spiega la Nota, «modificare di propria iniziativa la forma celebrativa di un sacramento non costituisce un semplice abuso liturgico, come trasgressione di una norma positiva, ma un vulnus inferto a un tempo alla comunione ecclesiale e alla riconoscibilità dell’azione di Cristo, che nei casi più gravi rende invalido il sacramento stesso».

La moralità di alcuni vaccini

Congregazione per la dottrina della fede

In 6 brevi punti la Congregazione per la dottrina della fede mette a tacere l’area no vax cattolica, che sta cavalcando la questione della derivazione di alcuni vaccini da «linee cellulari provenienti da tessuti ottenuti da due feti abortiti non spontaneamente». La Nota sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-COVID-19, pubblicata il 21 dicembre scorso, sviluppa tre punti. Sul primo, relativo alla «cooperazione al male» di chi sviluppa il vaccino o di chi lo riceve, basandosi su documenti del 2005, del 2008 e del 2017, la Congregazione afferma che è «remota» e il «dovere morale di evitare tale cooperazione materiale passiva non è vincolante se vi è un grave pericolo, come la diffusione, altrimenti incontenibile, di un agente patogeno grave». Evidentemente ciò non legittima neppure indirettamente la «pratica dell’aborto». Un secondo punto chiarisce che quanti «per motivi di coscienza rifiutano i vaccini» devono rispondere anche al dovere morale di non «divenire veicolo di trasmissione dell’agente infettivo» soprattutto per coloro che non possono vaccinarsi «e che sono le persone più vulnerabili». Il terzo è un invito, rivolto alle case farmaceutiche, da un lato a sviluppare vaccini eticamente accettabili da tutti e dall’altro a renderli «accessibili anche ai paesi più poveri e in modo non oneroso per loro. La mancanza di accesso ai vaccini, altrimenti, diverrebbe un altro motivo di discriminazione e di ingiustizia».