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Documenti, 11/2005

Maria: grazia e speranza in Cristo

ARCIC II
«In consonanza con la Scrittura»: è probabilmente questa frase, che ritorna nei passaggi più importanti, a rappresentare la chiave interpretativa di Maria: grazia e speranza in Cristo, la «Dichiarazione di Seattle» con cui la Commissione internazionale anglicana - cattolica romana (ARCIC) ha compiuto un progresso estremamente significativo nel consenso tra anglicani e cattolici riguardo a Maria (cf. n. 78). Essa infatti conclude che «i punti che riguardano la dottrina e la devozione verso Maria non debbano più essere visti come divisivi della comunione» (n. 80) Presentato appunto a Seattle (l’arcidiocesi del copresidente cattolico della Commissione, mons. Brunett) lo scorso 16 maggio, ma approvato dall’ARCIC nella sua versione definitiva già all’inizio del 2004, il testo muove da quanto già acquisito nelle precedenti fasi del dialogo, in particolare in Autorità nella Chiesa II (1981) e ne Il dono dell’autorità (1999) per fondare sulla Scrittura, e particolarmente sugli scritti neotestamentari, una lettura del posto di Maria nell’economia della speranza e della grazia (cf., in particolare, Rm 8,30) in cui sono ricomprese sia le due definizioni dell’assunzione e dell’immacolata concezione, sia la prassi di chiedere a Maria e ai santi di pregare per noi.

Il modello della grazia e della speranza

N. Sagovsky – J. Wicks sulla Dichiarazione di Seattle
«Spesso l’ARCIC ha usato linguaggi e prospettive nuove, o ha rivisitato linguaggi e prospettive del passato, per far venire fuori ciò che abbiamo in comune e ciò che possiamo dire insieme. (...) La prospettiva realmente nuova che abbiamo introdotto nel nostro lavoro è stata quella della teologia paolina» (Sagovsky). «A proposito delle riflessioni teologiche sulla grazia di Dio nei primi istanti della vita di Maria e sulla sua condizione dopo la morte, l’ARCIC elabora creativamente una prospettiva escatologica offerta dalla rilevante importanza attribuita da Paolo alla salvezza che penetra le nostre esistenze umane» (Wicks). Convergono i commenti in ambito anglicano e in ambito cattolico (il prof. Sagovsky è canonico dell’abbazia di Westminster, il prof. Wicks, gesuita, è professore alla John Carroll University di Cleveland, nell’Ohio), nel sottolineare, insieme al radicamento nella Scrittura, il forte raccordo con la teologia di Paolo come elemento originale caratterizzante la mariologia di Maria: grazia e speranza in Cristo, il documento pubblicato a Seattle lo scorso maggio dalla Commissione internazionale anglicana – cattolica romana (ARCIC; il testo in questo numero alle pp. 257-270). Quanto al copresidente anglicano, l’arcivescovo di Perth, egli non ha dubbi: lo ritiene «uno dei documenti più importanti nella storai dell’ecumenismo moderno» (cf. riquadro alle pp. 278-279).

Maria e il «metodo ARCIC»

N. Sagovsky
«Spesso l’ARCIC ha usato linguaggi e prospettive nuove, o ha rivisitato linguaggi e prospettive del passato, per far venire fuori ciò che abbiamo in comune e ciò che possiamo dire insieme. (...) La prospettiva realmente nuova che abbiamo introdotto nel nostro lavoro è stata quella della teologia paolina» (Sagovsky). «A proposito delle riflessioni teologiche sulla grazia di Dio nei primi istanti della vita di Maria e sulla sua condizione dopo la morte, l’ARCIC elabora creativamente una prospettiva escatologica offerta dalla rilevante importanza attribuita da Paolo alla salvezza che penetra le nostre esistenze umane» (Wicks). Convergono i commenti in ambito anglicano e in ambito cattolico (il prof. Sagovsky è canonico dell’abbazia di Westminster, il prof. Wicks, gesuita, è professore alla John Carroll University di Cleveland, nell’Ohio), nel sottolineare, insieme al radicamento nella Scrittura, il forte raccordo con la teologia di Paolo come elemento originale caratterizzante la mariologia di Maria: grazia e speranza in Cristo, il documento pubblicato a Seattle lo scorso maggio dalla Commissione internazionale anglicana – cattolica romana (ARCIC; il testo in questo numero alle pp. 257-270). Quanto al copresidente anglicano, l’arcivescovo di Perth, egli non ha dubbi: lo ritiene «uno dei documenti più importanti nella storai dell’ecumenismo moderno» (cf. riquadro alle pp. 278-279).

Tra la Scrittura e la prospettiva escatologica

J. Wicks
«Spesso l’ARCIC ha usato linguaggi e prospettive nuove, o ha rivisitato linguaggi e prospettive del passato, per far venire fuori ciò che abbiamo in comune e ciò che possiamo dire insieme. (...) La prospettiva realmente nuova che abbiamo introdotto nel nostro lavoro è stata quella della teologia paolina» (Sagovsky). «A proposito delle riflessioni teologiche sulla grazia di Dio nei primi istanti della vita di Maria e sulla sua condizione dopo la morte, l’ARCIC elabora creativamente una prospettiva escatologica offerta dalla rilevante importanza attribuita da Paolo alla salvezza che penetra le nostre esistenze umane» (Wicks). Convergono i commenti in ambito anglicano e in ambito cattolico (il prof. Sagovsky è canonico dell’abbazia di Westminster, il prof. Wicks, gesuita, è professore alla John Carroll University di Cleveland, nell’Ohio), nel sottolineare, insieme al radicamento nella Scrittura, il forte raccordo con la teologia di Paolo come elemento originale caratterizzante la mariologia di Maria: grazia e speranza in Cristo, il documento pubblicato a Seattle lo scorso maggio dalla Commissione internazionale anglicana – cattolica romana (ARCIC; il testo in questo numero alle pp. 257-270). Quanto al copresidente anglicano, l’arcivescovo di Perth, egli non ha dubbi: lo ritiene «uno dei documenti più importanti nella storai dell’ecumenismo moderno» (cf. riquadro alle pp. 278-279).

Un passo avanti nel cammino ecumenico

P. Carnley
Nell’omelia alla celebrazione dei vespri presso la cattedrale di St. James a Seattle il 16 maggio, giorno della presentazione ufficiale della dichiarazione su Maria: grazia e speranza in Cristo, il copresidente anglicano dell’ARCIC e primate d’Australia dr. Peter Carnley ha espresso la convinzione che il documento – la prima importante dichiarazione di accordo su Maria tra tutti i dialoghi ecumenici – costituisca un ulteriore passo avanti nel cammino ecumenico, e non solo nel dialogo tra anglicani e cattolici (www.aco.org).

Senza la domenica non possiamo vivere

XXIV Congresso eucaristico nazionale
La confessione di fede dei martiri di Abitene nel 304 d.C. è stato il tema dominante del XXIV Congresso eucaristico nazionale, celebrato dal 21 al 29 maggio scorso a Bari e concluso dal primo viaggio ufficiale fuori Roma del papa Benedetto XVI. Centralità del memoriale della Pasqua come risposta alla pervasiva e secolarizzata idea del week-end, inteso come mero termine di una settimana di lavoro che procede sempre uguale a se stessa, come ha bene messo a fuoco nella sua relazione mons. Comastri (22 maggio), vicario generale di sua santità per la Città del Vaticano. Ma l’eucaristia è centrale per la vita del cristiano anche perché «è sacramento dell’unità», anche se «i cristiani sono divisi, proprio nel sacramento dell’unità» – ha detto il papa nell’omelia a chiusura del congresso (29 maggio). E in risposta all’idea lanciata dalla relazione del card. Kasper (25 maggio), presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, di tenere nella «città ponte tra Occidente e Oriente» «un sinodo di vescovi greci e latini, un sinodo di riconciliazione», il papa ha ribadito la propria «volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo».

Domenica, giorno del risorto

mons. A. Comastri
La confessione di fede dei martiri di Abitene nel 304 d.C. è stato il tema dominante del XXIV Congresso eucaristico nazionale, celebrato dal 21 al 29 maggio scorso a Bari e concluso dal primo viaggio ufficiale fuori Roma del papa Benedetto XVI. Centralità del memoriale della Pasqua come risposta alla pervasiva e secolarizzata idea del week-end, inteso come mero termine di una settimana di lavoro che procede sempre uguale a se stessa, come ha bene messo a fuoco nella sua relazione mons. Comastri (22 maggio), vicario generale di sua santità per la Città del Vaticano. Ma l’eucaristia è centrale per la vita del cristiano anche perché «è sacramento dell’unità», anche se «i cristiani sono divisi, proprio nel sacramento dell’unità» – ha detto il papa nell’omelia a chiusura del congresso (29 maggio). E in risposta all’idea lanciata dalla relazione del card. Kasper (25 maggio), presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, di tenere nella «città ponte tra Occidente e Oriente» «un sinodo di vescovi greci e latini, un sinodo di riconciliazione», il papa ha ribadito la propria «volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo».

Domenica e riconciliazione

card. W. Kasper
La confessione di fede dei martiri di Abitene nel 304 d.C. è stato il tema dominante del XXIV Congresso eucaristico nazionale, celebrato dal 21 al 29 maggio scorso a Bari e concluso dal primo viaggio ufficiale fuori Roma del papa Benedetto XVI. Centralità del memoriale della Pasqua come risposta alla pervasiva e secolarizzata idea del week-end, inteso come mero termine di una settimana di lavoro che procede sempre uguale a se stessa, come ha bene messo a fuoco nella sua relazione mons. Comastri (22 maggio), vicario generale di sua santità per la Città del Vaticano. Ma l’eucaristia è centrale per la vita del cristiano anche perché «è sacramento dell’unità», anche se «i cristiani sono divisi, proprio nel sacramento dell’unità» – ha detto il papa nell’omelia a chiusura del congresso (29 maggio). E in risposta all’idea lanciata dalla relazione del card. Kasper (25 maggio), presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, di tenere nella «città ponte tra Occidente e Oriente» «un sinodo di vescovi greci e latini, un sinodo di riconciliazione», il papa ha ribadito la propria «volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo».

Eucaristia, unità e rinnovamento

Benedetto XVI
La confessione di fede dei martiri di Abitene nel 304 d.C. è stato il tema dominante del XXIV Congresso eucaristico nazionale, celebrato dal 21 al 29 maggio scorso a Bari e concluso dal primo viaggio ufficiale fuori Roma del papa Benedetto XVI. Centralità del memoriale della Pasqua come risposta alla pervasiva e secolarizzata idea del week-end, inteso come mero termine di una settimana di lavoro che procede sempre uguale a se stessa, come ha bene messo a fuoco nella sua relazione mons. Comastri (22 maggio), vicario generale di sua santità per la Città del Vaticano. Ma l’eucaristia è centrale per la vita del cristiano anche perché «è sacramento dell’unità», anche se «i cristiani sono divisi, proprio nel sacramento dell’unità» – ha detto il papa nell’omelia a chiusura del congresso (29 maggio). E in risposta all’idea lanciata dalla relazione del card. Kasper (25 maggio), presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, di tenere nella «città ponte tra Occidente e Oriente» «un sinodo di vescovi greci e latini, un sinodo di riconciliazione», il papa ha ribadito la propria «volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo».

Questa è la nostra fede

CEI - Commissione episcopale per la dottrina della fede
Con la nota pastorale dal titolo Questa è la nostra fede sul primo annuncio del Vangelo, resa pubblica il 19 maggio, la Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della CEI prosegue il cammino, raccomandato dagli orientamenti pastorali per il decennio 2001-2010 e già avviato con la serie di note pastorali centrate sull’iniziazione cristiana (per gli adulti non battezzati, 1997; per fanciulli e ragazzi, 1999; per i «ricomincianti», 2003), con l’obiettivo di «riportare al centro di ogni Chiesa diocesana e di tutte e singole le comunità parrocchiali il primo annuncio della fede». È importante che la comunità cristiana sappia «riesprimere la sua fedeltà ai caratteri fondamentali del messaggio cristiano», riuscendo a cogliere e valorizzare le opportunità di evangelizzazione – «compito prioritario per la Chiesa» – anche in un contesto sociale e culturale caratterizzato da una crescente secolarizzazione. Il Vangelo va riproposto con termini e metodi attuali, senza «essere meccanicamente ripetuto»; deve essere «inculturato intelligentemente», sottolineandone «il carattere salvifico». Occorre rendere più frequente e visibile «la testimonianza dei singoli credenti, delle famiglie e delle comunità cristiane», perché attraverso essa «l’amore di Dio va a raggiungere le persone nella loro situazione concreta e le dispone a credere».

Fare di Cristo il cuore del mondo

CEI - Commissione episcopale per il laicato
In vista del prossimo convegno ecclesiale della Chiesa italiana (Verona, ottobre 2006) la Commissione episcopale per il laicato della CEI ha indirizzato una lettera ai fedeli laici, pubblicata il 26 maggio 2005, dal titolo «Fare di Cristo il cuore del mondo», nella quale propone una riflessione «sulla condizione e sulla missione del laico cristiano nel nostro tempo», che si sviluppa sulle orme del racconto dell’incontro di Gesù risorto con i due discepoli sulla strada di Emmaus. Il testo vuole reagire a quel «senso di scoramento e di rinuncia» che può cogliere il popolo dei credenti di fronte ai segni di «una crisi che non investe soltanto il mondo “esterno”, ma raggiunge altresì i cristiani»; sulla scia degli insegnamenti del concilio Vaticano II vengono messi in luce «alcuni necessari contributi dei fedeli laici […] nelle nostre diocesi», affinché si realizzi «l’auspicata corresponsabilità» tra ciò che attiene al «sacerdozio ordinato dei pastori» e ciò che invece compete al «sacerdozio regale di tutti i fedeli». Da parte loro, i laici sono chiamati a risvegliare e curare le vocazioni al sacerdozio ordinato, al matrimonio e alla famiglia, a «pensare e promuovere ciò che necessita alla comunità e [a] farsene carico concretamente», mantenendo vivo «il senso della parrocchia e il senso della diocesi».

Intesa sui beni culturali religiosi

CEI - Ministero per i beni e le attività culturali
L’Intesa, firmata il 26 gennaio 2005 tra il ministro per i Beni e le attività culturali Giuliano Urbani e il presidente della Conferenza episcopale italiana Camillo Ruini, relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche abroga e sostituisce quella conclusa nel 1996 dal ministro Veltroni e dallo stesso card. Ruini (Regno-doc. 19,1996,606ss). L’esigenza d’aggiornamento, a pochi anni di distanza, nasce principalmente dalla necessità di armonizzare la normativa con le intervenute modifiche al Titolo V della Costituzione, adeguando quindi gli ambiti di competenza al nuovo ruolo riconosciuto alle regioni, e con il Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/22.1.2004). Mentre rimane confermato l’impianto generale dell’Intesa, si precisano i codici di comportamento delle due parti istituzionali in caso di disastri naturali, prestito di opere d’arte, inventariazione dei beni e interventi di adeguamento liturgico, nell’intento comune di conciliare le esigenze della liturgia con la salvaguardia del patrimonio artistico.

Una Chiesa del dialogo

Card. C. Hummes per il 40° della Gaudium et spes
Il 7 dicembre 1965, il giorno prima della solenne conclusione del concilio Vaticano II, ne veniva approvato l’ultimo documento, la Gaudium et spes. «Oggi, in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso grazie al progresso delle tecniche di comunicazione, la missione della Chiesa intesa come strumento di unità del genere umano diventa più attuale». È stato il card. Cláudio Hummes, arcivescovo di São Paulo (Brasile), a sviluppare il tema dell’attualità della costituzione pastorale nel suo 40° anniversario, al convegno su «L'appello alla giustizia: l'eredità della Gaudium et spes a 40 anni dalla promulgazione», promosso dal Pontificio consiglio della giustizia e della pace (16-18.3.2005). Lo strumento attraverso il quale la Chiesa è chiamata oggi a svolgere questa sua missione è individuato dal card. Hummes nel dialogo: «Un dialogo coraggioso, aperto, franco, sensibile e umile… con l’umanità contemporanea, con la ragione umana, le scienze… con tutto quanto concerne la giustizia sociale, i diritti umani, la solidarietà con i poveri… Un dialogo che sa ascoltare, dibattere, discernere e assimilare ciò che di buono e vero, giusto e umanamente degno viene proposto dall’interlocutore. Un dialogo che allo stesso tempo sappia annunciare la verità, della quale la Chiesa è depositaria e alla quale deve restare fedele»