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Documenti, 7/2004, 01/04/2004, pag. 193

Lettera a mons. D'Ambrosio: Il santuario e le opere di padre Pio

Giovanni Paolo II
«Suo compito precipuo, venerato fratello, sarà la cura pastorale nei confronti dei pellegrini che giungono a San Giovanni Rotondo». Poco meno di un anno fa, l’ingresso di mons. D’Ambrosio nella diocesi di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo fu accompagnato da una clamorosa polemica sollevata dai frati cappuccini della provincia religiosa «Sant’Angelo e padre Pio» a causa dell’incarico di delegato della Santa Sede «per il santuario», oltre che per le opere, di padre Pio, compreso nella nomina di mons. D’Ambrosio (cf. Regno-att. 10,2003,313). Con la lettera che pubblichiamo, diffusa l’11 marzo, il papa definisce chiaramente le motivazioni e gli obiettivi di quella decisione: «l’amplissimo raggio di influenza» che la devozione a padre Pio ha raggiunto nel mondo, richiamando ogni anno presso il santuario migliaia e migliaia di fedeli, ha reso evidente «l’opportunità di un nesso più stretto tra il santuario e la Santa Sede». I frati cappuccini, che questa volta non hanno eccepito sulla decisione del papa (cf. riquadro a p. 195, che comprende anche una dichiarazione di mons. D’Ambrosio e un più ampio commento di mons. Ruppi, presidente della Conferenza episcopale pugliese), hanno invece comunicato, pochi giorni dopo, che il 1° luglio prossimo verrà inaugurata la nuova grande chiesa che essi hanno voluto a San Giovanni Rotondo, progettata da Renzo Piano e in costruzione dal 1994.

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Documenti, 2015-14

Dichiarazione comune

Giovanni Paolo II, Karekin II
Dal 25 al 27 settembre 2001 Giovanni Paolo II visitò l’Armenia, terra di un antichissimo popolo cristiano, per tradizione il primo fra tutti i popoli a riconoscere il cristianesimo come religione della nazione. Si trattò allora di «un vero e proprio pellegrinaggio alle sorgenti della fede di quel popolo», che celebrava in quell’anno il 1700° anniversario della sua conversione al cristianesimo. Fu in quel contesto che papa Woytjla e il catholicos di tutti gli armeni Karekin II firmarono una Dichiarazione comune, nella quale compaiono le parole: «Lo sterminio di un milione e mezzo di cristiani armeni, che generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo» (Regno-doc. 17,2001,541), citate da papa Francesco durante la celebrazione in San Pietro per il centenario dell’evento (cf. in questo numero alle pp. 1ss). Nella Dichiarazione si leggeva ancora che «gli innocenti che furono massacrati senza motivo non sono canonizzati, ma molti di loro sono stati certamente confessori e martiri per il nome di Cristo»; questo riconoscimento sarà infine celebrato, il prossimo 23 aprile, da Karekin II con una solenne liturgia «per canonizzare i figli e figlie [dell’Armenia] che hanno accettato il martirio come santi “per la fede e per la patria”» (cf. in questo numero alle pp. 7ss).
Documenti, 2009-3

Con grande afflizione

Giovanni Paolo II, Congr. per i vescovi, Pont. cons. per i testi legislativi
All’indomani della remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani (cf. in questo numero alle pp. 69ss), l’opinione pubblica ecclesiale ha iniziato a interrogarsi sulla nuova situazione canonica e pastorale degli aderenti alla Fraternità San Pio X: su quali atti cioè siano ancora necessari perché essi possano dirsi in piena comunione con la Chiesa di Roma. Come contributo alla riflessione, riproponiamo qui i principali atti ufficiali con cui la Santa Sede aveva definito, per tutto il periodo di durata della scomunica, tale situazione: il decreto di scomunica, il motu proprio Ecclesia Dei (cf. Regno-doc. 15,1988,477ss), una risposta della Congregazione per i vescovi ad alcuni quesiti del vescovo svizzero N. Brunner e una nota che il Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi ha redatto su richiesta della stessa Congregazione per i vescovi (cf. Regno-doc. 17,1997,528ss). Ne emergono: la scomunica per chi aderiva formalmente a quel «movimento scismatico», l’acefalia dei chierici ordinati da Lefebvre prima del 1988, l’illiceità della partecipazione alle loro celebrazioni.
Documenti, 2009-3

Con grande afflizione. Ecclesia Dei. Motu proprio di Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo II
All’indomani della remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani (cf. in questo numero alle pp. 69ss), l’opinione pubblica ecclesiale ha iniziato a interrogarsi sulla nuova situazione canonica e pastorale degli aderenti alla Fraternità San Pio X: su quali atti cioè siano ancora necessari perché essi possano dirsi in piena comunione con la Chiesa di Roma. Come contributo alla riflessione, riproponiamo qui i principali atti ufficiali con cui la Santa Sede aveva definito, per tutto il periodo di durata della scomunica, tale situazione: il decreto di scomunica, il motu proprio Ecclesia Dei (cf. Regno-doc. 15,1988,477ss), una risposta della Congregazione per i vescovi ad alcuni quesiti del vescovo svizzero N. Brunner e una nota che il Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi ha redatto su richiesta della stessa Congregazione per i vescovi (cf. Regno-doc. 17,1997,528ss). Ne emergono: la scomunica per chi aderiva formalmente a quel «movimento scismatico», l’acefalia dei chierici ordinati da Lefebvre prima del 1988, l’illiceità della partecipazione alle loro celebrazioni.