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Documenti, 1/2004, 01/01/2004, pag. 5

Giovanni Paolo II: La musica sacra. Chirografo per il centenario del motu proprio Tra le sollecitudi

Giovanni Paolo II
La musica sacra è «parte integrante della solenne liturgia» quando risponde ad alcuni criteri fondamentali: la santità («sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica»), la bontà delle forme («non vi può essere musica destinata alla celebrazione dei sacri riti che non sia prima “vera arte”»), l’universalità (è da perseguire il «necessario coinvolgimento dell’intera assemblea nella celebrazione»). È quanto ribadisce questo chirografo pontificio firmato il 22 novembre 2003, festa di santa Cecilia e centenario del motu proprio di Pio X Tra le sollecitudini, che aggiunge ai recenti interventi del papa sul tema complessivo della liturgia (l’enciclica Ecclesia de eucharistia e la lettera apostolica Spiritus et sponsa; cf. Regno-doc. 9,2003,257 e in questo numero alle pp. 9ss) una specifica attenzione alla musica sacra. La tipologia di fondo che viene raccomandata è il canto gregoriano, ma si riconosce spazio e opportunità per il canto polifonico, il canto popolare e i nuovi linguaggi musicali che si rivleassero adatti. L’intento è quello di garantire un patrimonio storico, di promuovere la cultura musicale sacra e di verificare i nuovi percorsi avviati con il Vaticano II. Originale: stampa (23.12.2003) da sito Internet: www.vatican.va. Sottotitoli redazionali. Al tema de «La musica nelle liturgie cristiane» è dedicato lo «studio del mese» di Regno-att. 20,2003,700ss.

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Documenti, 2015-14

Dichiarazione comune

Giovanni Paolo II, Karekin II
Dal 25 al 27 settembre 2001 Giovanni Paolo II visitò l’Armenia, terra di un antichissimo popolo cristiano, per tradizione il primo fra tutti i popoli a riconoscere il cristianesimo come religione della nazione. Si trattò allora di «un vero e proprio pellegrinaggio alle sorgenti della fede di quel popolo», che celebrava in quell’anno il 1700° anniversario della sua conversione al cristianesimo. Fu in quel contesto che papa Woytjla e il catholicos di tutti gli armeni Karekin II firmarono una Dichiarazione comune, nella quale compaiono le parole: «Lo sterminio di un milione e mezzo di cristiani armeni, che generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo» (Regno-doc. 17,2001,541), citate da papa Francesco durante la celebrazione in San Pietro per il centenario dell’evento (cf. in questo numero alle pp. 1ss). Nella Dichiarazione si leggeva ancora che «gli innocenti che furono massacrati senza motivo non sono canonizzati, ma molti di loro sono stati certamente confessori e martiri per il nome di Cristo»; questo riconoscimento sarà infine celebrato, il prossimo 23 aprile, da Karekin II con una solenne liturgia «per canonizzare i figli e figlie [dell’Armenia] che hanno accettato il martirio come santi “per la fede e per la patria”» (cf. in questo numero alle pp. 7ss).
Documenti, 2009-3

Con grande afflizione

Giovanni Paolo II, Congr. per i vescovi, Pont. cons. per i testi legislativi
All’indomani della remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani (cf. in questo numero alle pp. 69ss), l’opinione pubblica ecclesiale ha iniziato a interrogarsi sulla nuova situazione canonica e pastorale degli aderenti alla Fraternità San Pio X: su quali atti cioè siano ancora necessari perché essi possano dirsi in piena comunione con la Chiesa di Roma. Come contributo alla riflessione, riproponiamo qui i principali atti ufficiali con cui la Santa Sede aveva definito, per tutto il periodo di durata della scomunica, tale situazione: il decreto di scomunica, il motu proprio Ecclesia Dei (cf. Regno-doc. 15,1988,477ss), una risposta della Congregazione per i vescovi ad alcuni quesiti del vescovo svizzero N. Brunner e una nota che il Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi ha redatto su richiesta della stessa Congregazione per i vescovi (cf. Regno-doc. 17,1997,528ss). Ne emergono: la scomunica per chi aderiva formalmente a quel «movimento scismatico», l’acefalia dei chierici ordinati da Lefebvre prima del 1988, l’illiceità della partecipazione alle loro celebrazioni.
Documenti, 2009-3

Con grande afflizione. Ecclesia Dei. Motu proprio di Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo II
All’indomani della remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani (cf. in questo numero alle pp. 69ss), l’opinione pubblica ecclesiale ha iniziato a interrogarsi sulla nuova situazione canonica e pastorale degli aderenti alla Fraternità San Pio X: su quali atti cioè siano ancora necessari perché essi possano dirsi in piena comunione con la Chiesa di Roma. Come contributo alla riflessione, riproponiamo qui i principali atti ufficiali con cui la Santa Sede aveva definito, per tutto il periodo di durata della scomunica, tale situazione: il decreto di scomunica, il motu proprio Ecclesia Dei (cf. Regno-doc. 15,1988,477ss), una risposta della Congregazione per i vescovi ad alcuni quesiti del vescovo svizzero N. Brunner e una nota che il Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi ha redatto su richiesta della stessa Congregazione per i vescovi (cf. Regno-doc. 17,1997,528ss). Ne emergono: la scomunica per chi aderiva formalmente a quel «movimento scismatico», l’acefalia dei chierici ordinati da Lefebvre prima del 1988, l’illiceità della partecipazione alle loro celebrazioni.