D
Documenti
Documenti, 21/2002, 01/11/2002, pag. 664

«Una prospettiva di fondamentale importanza»

Giovanni Paolo II
«La nostra comune speranza... è che da oggi si possa pensare a «Parabole mediatiche» come all'appuntamento della svolta. Ne abbiamo bisogno». Le parole introduttive dell'intervento di D. Boffo, direttore di Avvenire, ben fotografano l'intenzione con cui la Conferenza episcopale italiana, attraverso la Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, l'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e il Servizio nazionale per il progetto culturale, ha convocato a Roma, dal 7 al 9 novembre scorsi, il convegno nazionale «Parabole mediatiche. Fare cultura nel tempo della comunicazione», radicandolo – come ha sottolineato il card. Ruini – all'interno dello sviluppo del «progetto culturale». La documentazione che riportiamo riguarda la sessione del 7, con la prolusione del card. Ruini e la relazione del prof. Z. Bauman, sociologo all'Università di Leeds, e quella allargata del 9, svoltasi in Vaticano (Aula Paolo VI), con gli interventi del card. Ratzniger, dello storico G. Rumi e di D. Boffo e il discorso di Giovanni Paolo II (cf. riquadro a p. 664). Tra le molte suggestioni dei testi, segnaliamo: la questione del rapporto tra informazione-conoscenza e responsabilità morale (Bauman); l'immagine del Vangelo come un'«incisione» praticata nel «sicomoro» di ogni cultura «pagana» (Ratzinger, che la mutua da Basilio il Grande); la difesa della storiografia come antidoto alla «dittatura del presente» (Rumi). Originali: stampe (22.11.2002) da sito Internet www.chiesacattolica.it/parabole. Gli «Atti» del Convegno verranno pubblicati nei primi mesi del 2003 presso le EDB.

La lettura dell'articolo è riservata agli abbonati a Il Regno - attualità e documenti o a Il Regno digitale.
Gli abbonati possono autenticarsi con il proprio codice abbonato. Accedi.

Leggi anche

Documenti, 2015-14

Dichiarazione comune

Giovanni Paolo II, Karekin II
Dal 25 al 27 settembre 2001 Giovanni Paolo II visitò l’Armenia, terra di un antichissimo popolo cristiano, per tradizione il primo fra tutti i popoli a riconoscere il cristianesimo come religione della nazione. Si trattò allora di «un vero e proprio pellegrinaggio alle sorgenti della fede di quel popolo», che celebrava in quell’anno il 1700° anniversario della sua conversione al cristianesimo. Fu in quel contesto che papa Woytjla e il catholicos di tutti gli armeni Karekin II firmarono una Dichiarazione comune, nella quale compaiono le parole: «Lo sterminio di un milione e mezzo di cristiani armeni, che generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo» (Regno-doc. 17,2001,541), citate da papa Francesco durante la celebrazione in San Pietro per il centenario dell’evento (cf. in questo numero alle pp. 1ss). Nella Dichiarazione si leggeva ancora che «gli innocenti che furono massacrati senza motivo non sono canonizzati, ma molti di loro sono stati certamente confessori e martiri per il nome di Cristo»; questo riconoscimento sarà infine celebrato, il prossimo 23 aprile, da Karekin II con una solenne liturgia «per canonizzare i figli e figlie [dell’Armenia] che hanno accettato il martirio come santi “per la fede e per la patria”» (cf. in questo numero alle pp. 7ss).
Documenti, 2009-3

Con grande afflizione

Giovanni Paolo II, Congr. per i vescovi, Pont. cons. per i testi legislativi
All’indomani della remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani (cf. in questo numero alle pp. 69ss), l’opinione pubblica ecclesiale ha iniziato a interrogarsi sulla nuova situazione canonica e pastorale degli aderenti alla Fraternità San Pio X: su quali atti cioè siano ancora necessari perché essi possano dirsi in piena comunione con la Chiesa di Roma. Come contributo alla riflessione, riproponiamo qui i principali atti ufficiali con cui la Santa Sede aveva definito, per tutto il periodo di durata della scomunica, tale situazione: il decreto di scomunica, il motu proprio Ecclesia Dei (cf. Regno-doc. 15,1988,477ss), una risposta della Congregazione per i vescovi ad alcuni quesiti del vescovo svizzero N. Brunner e una nota che il Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi ha redatto su richiesta della stessa Congregazione per i vescovi (cf. Regno-doc. 17,1997,528ss). Ne emergono: la scomunica per chi aderiva formalmente a quel «movimento scismatico», l’acefalia dei chierici ordinati da Lefebvre prima del 1988, l’illiceità della partecipazione alle loro celebrazioni.
Documenti, 2009-3

Con grande afflizione. Ecclesia Dei. Motu proprio di Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo II
All’indomani della remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani (cf. in questo numero alle pp. 69ss), l’opinione pubblica ecclesiale ha iniziato a interrogarsi sulla nuova situazione canonica e pastorale degli aderenti alla Fraternità San Pio X: su quali atti cioè siano ancora necessari perché essi possano dirsi in piena comunione con la Chiesa di Roma. Come contributo alla riflessione, riproponiamo qui i principali atti ufficiali con cui la Santa Sede aveva definito, per tutto il periodo di durata della scomunica, tale situazione: il decreto di scomunica, il motu proprio Ecclesia Dei (cf. Regno-doc. 15,1988,477ss), una risposta della Congregazione per i vescovi ad alcuni quesiti del vescovo svizzero N. Brunner e una nota che il Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi ha redatto su richiesta della stessa Congregazione per i vescovi (cf. Regno-doc. 17,1997,528ss). Ne emergono: la scomunica per chi aderiva formalmente a quel «movimento scismatico», l’acefalia dei chierici ordinati da Lefebvre prima del 1988, l’illiceità della partecipazione alle loro celebrazioni.