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Vaccinazione e no. Altre ipotesi

L’avvio della campagna di vaccinazione in Italia e nel mondo fa intravvedere un po’ di luce oltre l’annus horribilis che è stato il 2020, e apre nuovi scenari di riflessione etica.

Non si tratta certo di abbassare il rigoroso rispetto delle regole di protezione individuale, né di ridurre il livello di controllo in tal senso. L’elevato numero di decessi legato alla seconda ondata (superiore a quello della prima!) mostra la necessità di tenere ancora alta la guardia. Il particolarissimo e devastante andamento della pandemia nella Regione Veneto, poi, evidenzia quanto gravi possano essere le conseguenze di comportamenti istituzionali ondivaghi e poco lungimiranti.

Uno sguardo ai prossimi mesi

Gli interrogativi etici riguardano invece i prossimi mesi, con scenari che dipenderanno in modo determinante dall’efficacia dei vaccini (problema medico-sanitario), ma anche delle campagne di vaccinazione (problema sociale e culturale).

Per questo ho letto con grande interesse la riflessione di Giovanni Del Missier e Roberto Massaro, orientata a bilanciare la tutela dell’autonomia individuale (che tende a delimitare gli obblighi di cura) e la doverosa attenzione per il bene comune (che esige di ridurre al minimo la possibilità di diffusione del contagio).

Condivisibile in primo luogo l’esigenza di azione informativa e formativa, indubbiamente primaria per perseguire congiuntamente i due obiettivi. Certo, è pure vero che vi sono numerosi soggetti – medici, sanitari, personale RSA, ma anche insegnanti e operatori in uffici di servizi al pubblico – per i quali, al di là delle opzioni personali, dovrebbe essere semplicemente il ruolo professionale a rendere obbligatorio il vaccino in situazione di pandemia. Non sembra cioè che qui possano valere le considerazioni dei due colleghi, né quelle che vado a presentare nelle righe successive: un’eventuale mancata vaccinazione rende problematica per tali soggetti la stessa possibilità di svolgere efficacemente e in sicurezza il loro compito.

Ben più numerosi sono però i soggetti per i quali la proposta di Massaro e Del Missier circa i casi di diniego responsabile volontario (non determinato cioè da specifici problemi di salute) appare a prima vista convincente: condizionare il rifiuto alla vaccinazione a una disponibilità a farsi parzialmente carico dei costi che da tale scelta – in caso di successivo contagio – potrebbero discendere. Le scelte personali non possono infatti prescindere dall’obbligo di contribuire comunque al bene comune: tutto è connesso e per questo l’istanza qui formulata appare moralmente corretta. Vorrei però anche segnalare alcune difficoltà, che potrebbero orientare a una diversa risposta normativa.

Due nodi da sciogliere

Il primo dato è che un eventuale modesto tasso di adesione alle campagne di vaccinazione non sarebbe un rischio solo per la salute personale, ma impatterebbe anche sulla diffusione complessiva del virus, incrementando le possibilità di pericolose mutazioni.

La scelta di non vaccinarsi non determina cioè solo rischi personali, ma impatta anche sulla salute come bene pubblico e in effetti sulla stessa vita sociale. Da un punto di vista morale non sembra quindi sufficiente chiedere a chi non si vaccina una partecipazione ai costi solo in caso di terapia seguente al personale contagio: si rischierebbe di favorire l’effetto free-rider di chi spera che i comportamenti responsabili altrui evitino a lui di pagare i costi del suo agire.

Il secondo è che, d’altra parte, in caso di contagio e di conseguente ricovero per periodi non brevi in ospedale (magari in terapia intensiva), anche una partecipazione parziale, ma significativa, ai relativi costi rischierebbe di essere assolutamente insostenibile per il singolo soggetto.

Abbiamo visto casi clamorosi in tal senso nelle prime fasi della pandemia negli USA: su chi già si trovava in ginocchio per la malattia e le sue conseguenze venivano al contempo a pesare richieste economiche così gravose da far pensare che forse sarebbe stato meglio morire. La partecipazione ai costi per terapia seguente a un eventuale contagio potrebbe quindi risultare di fatto socialmente e moralmente impraticabile, se non in misura minima.

Complessivamente, dunque, l’effetto dissuasivo della proposta Del Missier-Massaro nei confronti di scelte no-vax potrebbe risultare abbastanza limitato: alla più o meno fondata speranza di evitare il contagio (e quindi il contributo conseguente) si unirebbe la consapevolezza che – anche nel caso esso si realizzasse – il contributo da versare risulterebbe spesso quasi inesigibile.

Un’alternativa

Se dunque una proposta basata su premesse condivisibili risulta inefficace rispetto allo scopo, ciò non significa che non vi siano alternative moralmente significative per recepire le istanze da cui essa muove. Un buon punto di partenza potrebbe essere un ulteriore accentuazione della logica di corresponsabilità dinanzi alla complessa interconnessione di fattori mobilitati dalla pandemia.

La possibilità di diniego responsabile potrebbe allora essere subordinata al versamento di una quota fissa una tantum: chi rifiuta l’opportunità di vaccinarsi contribuisce fin da subito alle extra-spese per la ricerca, per la cura e per la vita sociale determinate – in forma più o meno diretta – dalla sua scelta. Occorrerebbero attente valutazioni per commisurare l’entità di tale contributo (non troppo basso, non insostenibile) con le due istanze sopra citate, tenendo conto anche (ma non solo) delle possibilità di contagio, dei probabili giorni di ospedalizzazione in tale eventualità e del relativo costo.

Potrebbe sembrare un’arida caduta nella monetizzazione: a fronte di esigenze a livello di vita e di morte per singoli e comunità si risponde con una tassa no-vax? In realtà si tratta piuttosto di una forma di assicurazione, che sostituirebbe in una forma eticamente sostenibile e socialmente solidale il versamento – improbabile ma potenzialmente devastante – proposto da Del Missier-Massaro per il solo caso di malattia.

La prospettiva che ne emerge potrebbe così risultare più convergente anche con la fondamentale istanza formativa ed educativa da cui abbiamo preso le mosse, disegnando al contempo una forma di gestione equa e responsabile per chi ritiene di non poter aderire al vaccino.

 

Simone Morandini è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.

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