b
Blog

Scandalo

In Matteo vediamo il primo esplicito annuncio della passione, sorte a cui Gesù «deve» andare incontro: essa non è frutto di  circostanze ma un dovere apostolico.

XXII domenica del tempo ordinario

Ger 20,7-9; Sal 63 (62); Rm 12,1-2; Mt 16,21-27

Nonostante l’incipit abbastanza altisonante di Mt 16,21ss, che pare segnare uno stacco con quanto precede, il testo è percorso fino al v. 28 come da una corrente sotterranea che tiene unite le diverse pericopi. La formula apo tote, «da allora», ricorre anche in Mt 4,17 e Mt 26,16: in entrambi questi casi segna davvero un momento decisivo e di stacco entro e per la vita di Gesù, perché contrassegna rispettivamente l’inizio del suo ministero e la decisione di Giuda di consegnarlo.

In Mt 16,21 l’eventuale svolta coincide con il primo esplicito annuncio della passione con i suoi precisi riferimenti: Gerusalemme, anziani sommi sacerdoti e scribi, sofferenza e morte, la risurrezione al terzo giorno, accenno che non smorza però l’effetto tragico delle parole precedenti, come mostra l’intervento di Pietro, l’unico a reagire apertamente.

Quello che sta per accadere, accadrà di necessità. Il verbo dei al v. 21 sottolinea che Gesù «deve» andare; la passione non è frutto di uno sventurato concorso di circostanze o della abbastanza facile previsione di chi conosca la situazione politica; ma dal punto di vista di Gesù è un libero consenso a quel Padre che si manifesta nella storia ed è quindi un dovere apostolico.

Secondo alcuni interpreti Gesù «deve» salire a Gerusalemme perché saremmo nel contesto di una delle feste di pellegrinaggio; il testo però non fa cenno a una tale eventualità, se si eccettua l’allusione alla festa di Sukkot in Mt 17,4. Si può quindi pensare che il verbo dei risponda al libero assenso di Gesù alle Scritture e alla storia.

La continuità con quanto precede (Mt 16,23-20) sta nel fatto che anche in quella pericope compariva un annuncio della passione, benché indiretto. Nessuno infatti passa consegne o nomina successori se non sente prossima la propria fine.

Se poi consideriamo la reazione di Pietro, tra l’accorato (ileos soi, v. 22, «abbi compassione di te», come ricorda Girolamo nella Catena aurea) e il ribelle, si capisce perché l’apostolo sia Satan e skandalon. Con il primo termine siamo ricondotti al racconto delle tentazioni (cf. Mt 4,10), con il secondo a una trappola, un’insidia, qualcosa su cui si può inciampare (skandalon) e che è meglio evitare. Petros infatti indica il sasso o la pietra spiccata dalla roccia, lavorata e tagliata e perciò soggetta a crepe o a eventuali fratture.

Per il suo stesso nome Simone si connota come un intralcio al cammino di Gesù, anche se è stato tagliato dalla roccia che è Dio (cf. Is 51,1 á¹£ur, LXX petra), che resta l’unica solida rupe. Questo nome indica un’intrinseca fragilità da una parte e un’insidia dall’altra. E del resto il carattere dell’apostolo non sarà propriamente roccioso, ma suscettibile di cambiamenti improvvisi tra tradimento e pentimento, con una fede che ha bisogno di essere confermata (cf. Lc 22,32).

Con le sue parole Pietro si configura dunque come Satan e skandalon; è comunque colui che vuol far deviare la salita di Gesù verso il proprio compimento. Nel momento in cui le allusioni precedentemente accennate da Gesù diventano esplicite, egli protesta, come tutti si ribellano di fronte alla sofferenza del giusto e dell’innocente. In questo eludendo l’insegnamento delle Scritture, che non solo in Giobbe, ma anche in Geremia e nei profeti è diretto e chiaro. Si può infatti chiedere «perché?» (cf. Sal 22,2), si può protestare di fronte all’inganno e alla seduzione (Ger 20,7), ma il fatto è ineludibile e privo di spiegazione.

La consapevolezza della seduzione e dell’inganno divini non spegne, del resto, il desiderio di un profeta di stare dalla parte di Dio (Ger 20,9). Dovrebbe cambiare semmai il nostro modo di percepire le espressioni amorose così frequenti nella letteratura profetica. Esse hanno più spesso attinenza al tradimento e alla delusione che non al rapporto felice, sia che le si guardi dal punto di vista divino sia da quello profetico. Come disse a suo tempo A. Segre, il patto, ovvero la relazione Dio-popolo-uomo, è di sua natura iniquo: Dio sa che il popolo/l’uomo non sarà fedele, ma anche l’uomo/il popolo dovrà affrontare duri momenti di silenzio e assenza di Dio, quasi fossero un tradimento: Pietro per un verso e Geremia non sono che esempi di umane relazioni infedeli.

Lascia un commento

{{resultMessage}}