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Manifesto ATISM: intervista a Pier Davide Guenzi

A commento del documento Etica, per un tempo inedito. Un manifesto dopo COVID-19, pubblicato l’8 giugno sul blog Moralia e ampiamente circolato, Pier Davide Guenzi, presidente dell’Associazione teologica italiana per lo studio della morale (ATISM), ha concesso un’intervista a Chiara Genisio, responsabile dell’Agenzia Giornali diocesani del Piemonte, che ringraziamo. L'intervista è stata pubblicata su AGDnotizie.it.

«Etica, per un tempo inedito. Un manifesto dopo Covid-19» è il frutto del confronto avviato all’interno della Presidenza dell’Associazione teologica italiana per lo studio della morale (ATISM) – di cui è presidente il novarese don Pier Davide Guenzi – con il contributo di soci e socie che, in questi mesi di emergenza sanitaria, hanno offerto importanti riflessioni ospitate sul blog Moralia in collaborazione tra Il Regno e l’ATISM.

Il breve testo, l’unico a oggi, prodotto da un’associazione teologica del paese, intende fare tesoro del tempo che abbiamo vissuto e cerca di individuare spunti per una ripresa della riflessione su alcuni temi etici resi particolarmente sensibili durante la fase di lockdown imposta dalla diffusione del COVID-19.

 

– Prof. Guenzi, la pandemia ha stravolto la quotidianità di ciascuno, nel lavoro, nei rapporti familiari, nel tempo libero e nella vita spirituale. Nel Manifesto sottolineate che è stato anche il tempo dell’etica del quotidiano. Che cosa significa?

«L’etica non ragiona solo sui doveri che s’impongono in situazioni drammatiche. Certo fa anche questo. Ma ha anche un altro compito: aiutare a riflettere su come dare senso alla vita quotidiana e di tutti, per imparare insieme ad abitare da uomini e donne in modo sensato il nostro mondo. Un mondo fatto di cose semplici e decisive come la cura di sé e dell’altro, l’attenzione a rinsaldare i legami tra le persone, nelle famiglie e nella società.

La violenta pandemia ci ha riportati all’essenziale, a guardare il mondo con gli occhi della vulnerabilità e della fragilità che ci rende vicini, e non con quelli dell’individualismo, dell’egoismo, dell’arroganza, della competizione, dell’arrivismo che ci allontanano gli uni dagli altri. Nei giorni del lockdown si è resa visibile quella resistenza, che abita il cuore dell’uomo, alla desertificazione dello spirito, attaccandoci a gesti e parole in cui riconoscere come tutti siamo ospiti di un’umanità che ci precede e che può crescere grazie alla qualità delle nostre azioni».

Un’etica dell’imprevisto

– Viviamo un periodo di grande precarietà, una condizione che ci accompagnerà a lungo. Come possiamo affrontarla? Voi citate l’etica dell’imprevisto, di cosa si tratta?

La diffusione della pandemia ha messo sotto gli occhi di tutti l’accelerazione, talora non del tutto prevedibile, dei mutamenti ambientali e sociali che incidono sulla vita dell’umanità. Nel tempo della pandemia ci siamo trovati gettati in un tempo inedito, nel quale anche molte «evidenze» morali elementari esigevano di essere rimodulate. Si pensi ad esempio alle forme della relazionalità (abbracciarsi, stringersi la mano) o alla pietas nei confronti dei defunti. Soprattutto le misure assunte per far fronte alla minaccia hanno comportato la compressione dell'esercizio di alcuni diritti personali e sociali, creando frizioni sociali e culturali. In questo senso l’etica dell’imprevisto si lascia interpellare in profondità dal mutare – anche improvviso – dei contesti, per farvi fronte responsabilmente».

Rivediamo il modello di sviluppo

– La pandemia ha evidenziato l’ambiguo intreccio tra processi di inclusione sociale e dinamiche di esclusione ed emarginazione, di degrado della convivenza umana: il lockdown è stato particolarmente duro per gli impoveriti, per i senza tetto, per rifugiati e sfollati, per i richiedenti asilo. È stata intaccata la stessa dignità delle persone.  Come invertire questa tendenza?

«Una categoria che attraversa per intero il Manifesto è il richiamo di papa Francesco alla “cultura dello scarto”. Anche questa non è solo una bella immagine, ma un invito pressante a leggere le dinamiche della storia degli uomini e delle istituzioni della società (politica, economia, educazione) guardandole dalla prospettiva delle persone che non solo fanno più fatica a tenere il passo imposto dalle logiche vincenti, ma che, di fatto, pagano un’esclusione e una limitazione alla loro dignità. In questo senso la pandemia, ma già prima all’inizio di questo millennio l’emergenza del terrorismo internazionale, le migrazioni e la grave crisi economico-finanziaria, spinge a una revisione generale del modello di sviluppo, senza accontentarsi di buoni propositi, ma imparando a guardare la realtà con gli occhi degli esclusi».

– L’etica ha parole nuove per la condizione che stiamo vivendo?

Provo a riformulare la sua domanda in questo senso: la teologia cristiana ha parole da dire all’umanità di questo tempo? La lucidità della ragione e le ferite aperte della passione devono sostenere la riflessione teologica per allargarsi sulla prospettiva globale della “condizione umana” come luogo in cui continua a rendersi presente la parola di Dio. Tale operazione impone comunque di non cedere troppo presto alla tentazione dell’attualità e dell’emergenza, spesso cattiva consigliera nella lucidità del proprio pensiero. Una parola costruttiva e ricostruttiva necessita un tempo più disteso, quello del discernimento, in cui si compie la contaminazione feconda, nel segno del bene e della giustizia, tra la realtà della vita e l’avvento del Dio della vita anche nella nostra storia».

Chiara Genisio

 

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