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L’ora della grazia

XXV domenica del tempo ordinario

Is 55,6-9; Sal 145 (144); Fil 1,20-24.27; Mt 20,1-16

Un «detto vagante» (Lancellotti) introduce e conclude la parabola di Mt 20,1-16, a partire da Mt 19,30. A chi sia riferito questo primi-ultimi e ultimi-primi lo si dovrà capire dal contesto.

Il detto ha purtroppo alimentato nel tempo una teologia della sostituzione dalle nefaste conseguenze, che purtroppo ancora esiste e resiste in certi ambiti. Ma se pensiamo alla domanda di Pietro che chiude il c. 19, la parabola sembra proprio l’esemplificazione della risposta di Gesù. Pietro ha parlato a nome di tutto il gruppo apostolico («Ecco noi abbiamo lasciato tutto…», Mt 19,27) ponendo quindi un problema intraecclesiale: Gesù ha chiamato alcuni per primi, all’improvviso, mentre erano occupati nelle loro quotidiane faccende, altri in un secondo momento, altri ancora ne verranno. Quale sarà il centuplo promesso?

La parabola sembra sottolineare alcune dimensioni: il lavoro, prima di tutto, e l’importanza del lavoro. Il fatto che il padrone di casa (oikodespotes) non voglia lasciare nessuno inoperoso e torni sulla piazza all’undicesima ora dice che, secondo lui, senza lavoro non c’è dignità per un uomo.

È improbabile che un proprietario terriero abbia bisogno di braccianti un’ora prima del tramonto, come pure che un’ora prima del tramonto ci siano ancora lavoratori che si offrono in piazza. L’insistenza del padrone di casa è dovuta al fatto, come dirà alla fine, di essere buono (agathos eimi, v. 15), non solo nel ricompensare i suoi braccianti, ma in una visione generale della loro vita, visto che li va a cercare fino all’ultimo.

Proprio il fatto di andarli a cercare e a chiamare al di là della necessità concreta configura il suo tornare sulla piazza come quello che noi chiameremmo «grazia», cioè un’esplicita e gratuita volontà di salvezza. Il lavoro offerto e a cui si è chiamati è in certo modo, premio a se stesso.

Inoltre egli ha definito coi primi braccianti una precisa tariffa (v. 2), che essi hanno accettato. Non si dice nulla di quanto egli concordi con gli operai delle successive chiamate. Costoro dunque sono portati a fidarsi di lui per il solo fatto di essere stati cercati e mandati nella vigna. Ultimi sotto il profilo cronologico, primi, forse, dal punto di vista della grazia.

Altro elemento significativo è il tempo. Il testo scandisce le ore della giornata e fa pensare che dopo gli uomini che si erano presentati in piazza nell’ora in cui solitamente si assumono i braccianti per la giornata, ne siano poi sopraggiunti altri.

Il padrone di casa infatti trova sempre qualcuno, quasi che questi uomini fossero alla ricerca o in attesa di un momento favorevole per la loro vita.

Come giustamente ricorda Isaia, cercate il Signore mentre si fa trovare (55,6). C’è per tutti infatti un tempo favorevole, un’occasione da non perdere, e il perdono divino è sovrabbondante per chi cerca, ma, soprattutto – fa capire la parabola di Matteo – per chi si lascia cercare, chiamare, ingaggiare.

Grazia, tempo e un lavoro che è già la ricompensa.

La rimostranza dei lavoratori della prima ora è la dimostrazione di un occhio malato (poneros), tanto da non vedere bene ed essere un cattivo occhio. L’invidia, del resto, può produrre gli effetti di una malattia e diventare una malattia cronica.

Lavorare per il Regno è dunque frutto della sollecita ricerca di un padrone buono che darà a tutti lo stesso salario. Si richiede di essere trovati in piazza a qualunque ora, quando il padrone verrà.

Gli operai dell’ultima ora hanno certamente faticato meno, ma han perso parte del loro tempo non avendo che fare, e gli operai della prima ora si considerino fortunati a non averne perso facendo cose di poco conto o bighellonando per la piazza. Tutti comunque hanno accolto l’invito del padrone a lavorare nella vigna, da sempre simbolo di Israele in quanto popolo di Dio.

Colpisce comunque il fatto che nessuno di quegli uomini abbia rifiutato l’invito del padrone: non i primi, e nessuno di quelli delle ore successive. Tutti, riconoscendo il momento favorevole e il privilegio del poter lavorare, sono stati assoldati per la vigna di Dio. In questo la condizione dei primi e degli ultimi si equivale.

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